La scomparsa di Rosa fu la causa di mille congetture finché una domenica l'anziano prete assicurò di aver visto il caprone maschio attraversare il paese al tramonto, segno di sventura.
Tutto accadde un sabato pomeriggio quando Rosa, la giovane muta, percorse la piazza polverosa fino alla fonte d'acqua, con i suoi piedi scuri e nudi e la brocca d'argilla sulla testa. Migliaia di farfalle gialle le svolazzavano intorno, mentre i suoi occhi si fermavano sulle montagne lontane e sul campanile di una sola torre che si alza ancora oggi sulla vecchia chiesa imbiancata con molti strati di calce. Il parroco osservò Rosa arrivare sulla strada all'ombra dei ficus, fra la polvere e gli scorpioni, sotto le nuvole peregrine.
Non portano niente di buono, quando sono tutte gialle..., rifletté.
La fonte in mezzo alla piazza, con le panchine logorate, era come sempre il centro di riunione di bambini e anziani, gli unici rimasti in paese da quando arrivò la siccità che colpì la zona devastando le coltivazioni. I giovani cercavano lavoro in città e non avevano più tempo per i luoghi della loro infanzia. Fra casette costruite con canne e fango da manine infantili, le vecchie raccontavano pettegolezzi, aspettando, da un momento all'altro, di sentire il rumore di rottami sgangherati del carro sciupato e malconcio che arrivava una volta la settimana.
L'autobus arrivò con ritardo, come d'abitudine, alzando una nube di polvere e i passeggeri scesero con borse, scatole, stoffe, fardelli, recipienti, galline, tacchini e conigli. Qualche giovane, dileguatosi dal paese per trovare miglior fortuna, era tornato in visita. Smontò anche una donna dalla veste lunga, stivaletti di cuoio, giacca di lana d'alpaca, collane di palline di vetro e lunghi orecchini di filigrana d'argento, oltre ad anelli e braccialetti di misure e forme peculiari. Scese lasciando, intorno, un odore penetrante d'erbe aromatiche.
Rosa aprì bene gli occhi, sorpresa, e le offrì la sua brocca con gentilezza. Fissava i propri piedi nudi, mentre sentiva la donna raccontare le nuove meraviglie della scienza a quelli che volevano ascoltarla. Lei vendeva pietre e cristalli magici che curavano ogni malattia e toglievano la depressione a chi era finito in disgrazia. Assicurava di aver trovato il modo per diventare incandescente e giocare col fuoco, facendo il bagno in olio di vetriolo.
A Rosa, la quale le aveva offerto acqua dalla brocca d'argilla, la donna regalò una pietra che, secondo quel che le raccontò, portava il suo stesso nome, Agata, e serviva per far diventare invisibile la persona che la portava. Nel ricevere l'oggetto prodigioso dalla mano inanellata della stravagante ed eccentrica maliarda, Rosa pensò che lei non avrebbe mai potuto viaggiare, a meno che non fosse accaduto per mezzo dell'incantesimo di un dono tanto bizzarro. Sarebbe rimasta tutta la vita all'ombra della vecchia chiesa di una sola torre, dai muri consumati dal salnitro, per pulire casa sua, accudire le bestie e i raccolti, senza conoscere forestieri, fra alte montagne e valli limpide, e non sarebbe mai andata in nessun luogo di perdizione, come diceva il prete, né altrove lontano dal paese polveroso, poiché il suo mutismo glielo impediva.
Diverse farfalle gialle si alzarono in aria, sorvolarono e si posarono sul tetto dell'autobus malconcio, che ritornava in città.
Io vorrei essere una di quelle farfalle, pensò Rosa con un repentino ed eccitante desiderio di fuggire, evadere, scappare da sé stessa per condurre quella vita concepita soltanto nei suoi sogni più deliranti.
Si allontanò dalla fonte della piazza e intraprese la strada verso casa, mentre la brocca dell'acqua le tremava sulla testa. Si fermò e la depose sul sentiero, intanto che stringeva fra le dita il dono magico della strana donna arrivata in paese. Avrebbe avuto un giorno il coraggio di separarsi dal suo mondo che si riempiva di grigio e di monotonia senza fine? Avrebbe scoperto dentro di sé la farfalla che era in lei e avrebbe volato più in là delle montagne? Aprì le braccia, strinse l'agata in mano e girò su se stessa ogni volta più leggera, mentre la voragine del suo desiderio estremo la faceva staccare da terra, levitare e dissolversi in aria, insieme alle farfalle gialle che volavano intorno all'autobus di ritorno in città.
Il prete, da lontano, intravide il miracolo, e la domenica seguente annunciò dal pulpito la levitazione di Rosa e la sua misteriosa sparizione. Naturalmente, scomunicò la fattucchiera Agata, portatrice di quell'infausto evento. Gli abitanti, pieni di sbalordimento per il miracolo oppure il castigo riservato a Rosa, non seppero bene come spiegarsi gli eventi.
Le pietre magiche di Agata ebbero da quel momento un successo incredibile e la chiamarono Incantatrice dal giorno in cui, ridendo a più non posso, accese il fuoco in una catinella piena di cotone maturo, attraendo il raggio del sole con una lente degli occhiali che il prete aveva dimenticati sulla banchina della piazza. La forestiera finì di vendere le sue pietre miracolose e meravigliose per diventare invisibile, nel villaggio. Dopo di che le vecchie donne del paese giurano fino al giorno d'oggi di averla vista montare su una mucca con grandi ali di farfalla, per alzarsi dal canneto verso un gruppo di dischi gialli nel cielo.
Nelle veglie intorno alla fontana, i pettegolezzi oggi affermano che Rosa perse la sua mutezza congenita e andò ad abitare in una grande città, vestita da zingara; assicurano inoltre che Agata abbia viaggiato in uno di quei dischi che la aspettavano lassù nel cielo, su una stella brillante da dove sospettano che sia arrivata fino a quel paesino polveroso, un sabato pomeriggio. Intorno alla fontana, sotto l'ombra della torre della chiesa, le anziane stringono in pugno le agate con la speranza di sparire da quel luogo, di liberarsi dei loro tristi destini, dei tanti anni, e di ritornare giovani e belle in qualche lontano pianeta dell'universo.
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