"Veicoli per andare sott'acqua? Servirebbero solo ad
annegare gli equipaggi."
(H.G.Wells)
"Ho letto i suoi libri: molto strano, molto
inglese..."
(Jules Verne)
23 marzo
Risalendo rue des Ostages la carrozza
imboccò boulevard de Longueville, e dopo averne percorso
un breve tratto si fermò davanti a una casa di mattoni
rossi, disposta su due piani, prospiciente alla ferrovia. Il solo
tempo alla ribalta di aprirsi, e al passeggero di scendere, che
la frusta del vetturino schioccò e la vettura, scivolando
sul selciato umido, si allontanò in tutta fretta nella
notte.
Il passeggero, un uomo dall'aspetto severo e posa militaresca
bussò alla porta, stringendosi nel nero pastrano che lo
riparava dal vento gelido della Somme. Per sua fortuna l'attesa
fu breve, e quando la porta si aprì, cigolando, si
ritrovò ad incrociare il volto gentile di un giovane di
bassa statura che mostrando un tiepido sorriso sotto folti baffi
neri si presentò come Zilippimus Nadar, il domestico. -
Buona sera - sussurrò, sporgendosi in avanti. - Vi stavamo
aspettando.
L'uomo si produsse in un leggero inchino; di rimando Zilippimus
Nadar si fece da parte pregandolo di entrare.
- Come sta? - chiese senza preamboli l'uomo, assaporando nel
contempo il tiepido calore che regnava all'interno della
casa.
Il domestico scosse il capo, sconsolato. - Le sue condizioni sono
peggiorate. - Dopo una breve pausa, aggiunse: - tuttavia
c'è tempo.
Subito dopo invitò l'ospite a porgergli il pastrano, e
nell'esatto momento in cui egli se lo tolse, gli occhi di
Zilippimus Nadar si posarono sull'uniforme da ufficiale
dell'esercito coloniale francese, che l'uomo indossava con
evidente orgoglio.
- Avete fatto buon viaggio? - chiese, cercando di stemperare la
tensione del momento.
L'uomo gli posò una mano sulla spalla. - Avrei preferito
arrostire al sole del deserto, pur di non rientrare in Francia in
un giorno come questo.
- Lui sarà felice di vederla - lo rincuorò
Zilippimus Nadar, ricacciando nello stomaco il groppo che gli si
era formato in gola.
L'oscurità era attenuata dal bagliore
tenue di candele di sego che ardevano su un candelabro a tre
fiamme posato sopra a un cubo metallico, accanto a una caraffa e
un bicchiere sbeccato. Nonostante l'ottima qualità dei
moccoli, la luce non era sufficiente a illuminare per intero la
figura di un vecchio morente.
Dopo aver bussato, Zilippimus Nadar entrò nella stanza
precedendo l'uomo giunto dalle assolate terre d'Africa.
Quest'ultimo - non appena fu dentro - si tolse il berretto, che
rilasciò nell'aria una leggera nube di polvere. Il
domestico notò che anche i capelli dell'ufficiale,
ricciuti e di un nero corvino, erano ricoperti da un sottile velo
di sabbia.
Tutto a un tratto dal fondo della stanza si levò una
flebile voce: - Chi è?
- Ci sono visite... - rispose Zilippimus Nadar.
Il vecchio fu colto da un violento attacco di tosse. Allora il
domestico si precipitò al suo capezzale, pronto a
qualsiasi evenienza, ma il Maestro, ignorandolo, ordinò
all'uomo di avvicinarsi.
Con passo incerto, e il cuore che gli batteva all'impazzata,
l'uomo venne avanti. In vita sua aveva affrontato avventure
incredibili e pericoli di ogni genere, ma adesso - in quel luogo
e in quel momento - sentiva di aver smarrito la sua proverbiale
sicurezza.
- Avvicinatevi - ordinò nuovamente il Maestro.
L'uomo si sporse sul letto. - Sono qui per servirla -
sussurrò.
Fu allora che Jules Verne si ritrovò a incrociare il volto
di un caro e vecchio amico. - Ettore Servadac! - esclamò.
- Mon Dieu, siete esattamente come vi ho
immaginato...
Gli occhi del capitano Servadac si accesero di nuova luce. -
Anche voi siete tale e quale all'uomo che pensavo sareste stato:
un vecchio barbuto, d'aspetto docile, creatore di mondi
straordinari.
Jules Verne scosse il capo, come a rifiutare l'alta
considerazione espressa dal capitano Servadac. - Sto morendo e
non c'è nulla che io possa fare per impedire al destino di
compiersi. - Era un diabete mal curato ad averlo ridotto in
quelle condizioni. - Ma come si dice... sapersi rassegnare
quando non si può fare altrimenti.*
Ettore Servadac sorrise. - E questo è il nostro
caso* - aggiunse. -
Ben-Zuf: capitolo ottavo, pagina cinquantaquattro!
Nella mente di Jules Verne presero forma i ricordi di un felice
passato. - Scrivendo quel dialogo non sospettavo che un giorno
sarebbe risuonato così profetico.
Il capitano Servadac avrebbe voluto rispondere, ma il Maestro lo
anticipò. - Quando si è prossimi alla morte
è tempo di bilanci - disse. - Non posso andarmene da
questa terra col dubbio di aver deluso i miei viaggiatori.
Ettore Servadac gli strinse la mano e per qualche istante la sua
mente tornò alle mirabolanti avventure vissute tra le
pagine del libro. - Ho viaggiato attraverso il mondo solare -
dichiarò con enfasi - e al contrario di altri non l'ho
fatto in ottanta giorni, per scommessa o per confutare teorie
scientifiche.
Non sono stato sparato da un cannone, tanto meno costretto a
esplorare gli abissi marini rinchiuso in un angusto sommergibile
ai comandi di un uomo in guerra con il mondo intero. - Quella che
esprimeva era sincera gratitudine. - Lei mi ha donato la vita! -
Servadac scosse il capo. - Io non ho lo spessore morale e
l'eleganza di Phileas Fogg o le capacità scientifiche del
capitano Nemo. Sono soltanto un semplice ufficiale di una
sperduta guarnigione militare, protagonista di un sogno che si
ripete ogni qualvolta si aprono le pagine del libro. - A quel
punto strinse la mano del Maestro. - Io esisto grazie alla sua
smisurata fantasia: in tutta sincerità cosa potrei
chiederle di più?
Il volto di Jules Verne si accese di una gioia ormai sopita. In
cuor suo sapeva che le gesta di Servadac non avevano raggiunto la
notorietà di avventure ben più famose; tuttavia era
orgoglioso di aver dato alle stampe "Le avventure del capitano
Servadac attraverso il mondo solare".
- Sono contento che tu sia qui - confessò Jules Verne. - E
Ben-Zuf, il tuo prode attendente, come se la passa?
Il capitano Servadac alzò gli occhi al cielo. - A
Montmartre, tra le gambe di qualche grassa sgualdrina! Jules
Verne annuì. Poi chiamò a sé Zilippimus
Nadar, ma il domestico era già uscito dalla stanza:
qualcuno, di sotto, bussava alla porta.
Vestiva abiti eleganti l'uomo che dopo esser
sceso dalla carrozza, e averla vista allontanarsi
nell'oscurità della notte, gettò l'ennesima
occhiata al quadrante del suo antico orologio da tasca; oggetto
di raffinata fattezza. Con gesto repentino lo ricacciò
nella tasca del doppiopetto, si aggiustò sul capo la tuba
che calzava con gran classe, e riprese a picchiettare la porta
con la punta metallica del suo bastone da passeggio la cui
impugnatura, in avorio scolpito, riproduceva il globo terrestre.
Al suo fianco un uomo di bassa statura, certamente il domestico,
lanciava maledizioni alla servitù della casa, colpevole a
suo avviso di non essere all'altezza della situazione.
- Non ricordo l'usanza francese di far attendere gli ospiti
all'addiaccio! - protestò il domestico. In quel preciso
istante la porta si aprì, e il nobiluomo impugnò
nuovamente l'orologio. - Trentasette secondi: un ritardo
inqualificabile!
- Buona sera, signori - rispose Zilippimus Nadar, come se nulla
fosse. - Entrate pure.
Il nobiluomo si fermò al centro di un piccolo salotto
arredato con esotica eleganza. Le pareti erano adornate con
splendidi quadri raffiguranti scene di viaggi straordinari, il
pavimento ingentilito da tappeti orientali di rara bellezza. Il
nobiluomo si guardò attorno mentre il suo domestico si
bloccò di colpo, il volto contratto in un'espressione di
puro stupore.
- Lo vede anche lei? - borbottò. - Quel tizio è
tale uguale a me!
Il nobiluomo non parve meravigliato dall'incredibile somiglianza
tra i due. - Direi che abbiamo scoperto quale sia stata la fonte
d'ispirazione del Maestro nel crearti - constatò, porgendo
a Zilippimus Nadar mantello, tuba e bastone. - Lui come sta? -
chiese infine.
- E' debole e malato - rispose Zilippimus Nadar - ma sarà
molto felice di incontrarvi. - Detto questo invitò
entrambi a seguirlo al piano di sopra.
- Phileas! - esclamò Jules Verne,
contenendo a fatica l'emozione del momento. - Passepartout, anche
tu qui!
- Sempre al fianco del signor Fogg! - rispose con un certo
orgoglio il domestico.
Jules Verne si passò la lingua sulle labbra screpolate. -
Ho sete!
Zilippimus Nadar prese la caraffa sul comodino, riempì il
bicchiere e si precipitò al capezzale dell'illustre
padrone il quale, dopo essersi dissetato, si scusò con
loro. - Mi spiace di aver interrotto la vostra impresa -
disse.
Phileas Fogg, uno dei più stimati membri del "Reform club"
di Londra, scrollò le spalle. - Non importa. Basta
tener conto della differenza* - rispose.
Jules Verne sorrise nel sentir pronunciare quelle precise parole
dalla viva voce di Fogg che, nel frattempo, aveva gettato
un'occhiata infastidita al capitano Servadac.
Nell'immaginario di Jules Verne, Phileas Fogg avrebbe mal
sopportato il dover condividere lo stesso spazio vitale con un
personaggio il cui viaggio straordinario aveva venduto un quarto
delle copie del ben più famoso "Il giro del mondo in 80
giorni". Ora, la fantasia sembrava aver lasciato posto alla
cruda realtà; quindi Jules Verne decise di rassicurarlo. -
Resti sempre uno dei miei favoriti - disse, trattenendo a fatica
l'ennesimo attacco di tosse.
- Non lo metto in discussione - precisò Phileas Fogg - ma
rimango della mia idea!
Jules Verne si rese conto che era inutile intavolare una
discussione con un uomo pervaso da una supponenza tipicamente
anglosassone, anche se era egli stesso ad averlo creato
così. - Dimmi la verità - riprese, incrociando il
volto infastidito di Phileas Fogg - avremmo potuto farcela in
meno di ottanta giorni se solo avessimo escogitato qualcosa di
più rapido e futuribile, non credi? Allora sì che
non saremmo stati battuti!
Passepartout rimase di stucco: quelle sul volto del suo padrone
erano forse lacrime?
- Non sarà una Yankee a mettere in discussione la
nostra impresa straordinaria! - rispose Phileas Fogg.
- Il viaggio di miss Bly1 è
del tutto privo di fascino e classe!
Durante la notte, Zilippimus Nadar scese numerose volte al piano
di sotto. Nel giro di poche ore, infatti, in boulevard de
Longueville giunsero viaggiatori straordinari di ritorno da
viaggi straordinari: dal professor Otto Lindembrok, suo nipote
Axel e il gigante islandese Hans - riemersi in tutta fretta dalle
profondità della terra, equipaggiati di piccozze, pile di
Bunsen, declinometri e inclinometri - al capitano John Hatteras,
imbacuccato in pelli di foca, di ritorno dalle lande ghiacciate
del polo.
V'erano gli eleganti membri del Gun Club di Baltimora,
capeggiati dal giovane Michel Ardan, come eleganti apparivano il
professor Samuel Fergusson, il suo domestico Joseph Wilson e
l'amico cacciatore Richard Kennedy, di rientro dai cieli
dell'Africa equatoriale. Gli occhi di un incredulo Jules Verne
inquadrarono sul fondo della stanza la figura severa
dell'ingegner Robur, l'unico a non essere giunto in carrozza.
Improvvisamente il vecchio romanziere sentì crescere
dentro di sé una strana eccitazione all'idea che la
popolazione di Amiens avrebbe scorso nel cielo della
città, in perfetto volo stazionario reso possibile dalle
numerose eliche di sospensione, quella meraviglia di tecnologia
aeronautica chiamata Albatros. Accanto a Robur, Jules
Verne intravide la sfuggevole sagoma del Professor Ox che, spalle
alla parete, era intento a progettare il modo più rapido
ed efficace per immettere ossigeno nella stanza. Illuminati dai
tenui barbagli delle candele, Verne incrociò i volti
sorridenti del capitano Harry Grant e dei suoi inseparabili figli
Mary e Robert, mentre alle loro spalle Michele Strogoff, che
aveva interrotto il suo avventuroso viaggio attraverso le steppe
ghiacciate della Russia pur di non mancare all'appuntamento,
disquisiva di chissà quali argomenti con Sèbastien
Zorn, giunto ad Amiens in compagnia dei colleghi del quartetto
orchestrale di Miliard-City.
A pochi passi dalla finestra, Cèsar Cascabel e il conte
Mathias Sandorf, discutevano sulle condizioni di salute del
Maestro. In verità i due sembravano nutrire un certo
pessimismo mentre dello stesso parere non sembrava l'uomo in
djellaba e turbante che stava al loro fianco: era
Kèraban, il mercante turco famoso per aver compiuto a
piedi l'intero periplo del Mar Nero pur di non dover pagare un
pedaggio irrisorio imposto a chi voleva attraversare il Bosforo
da Scutari a Costantinopoli. Accanto a lui, un giovane bretone
meglio noto come mastro Antifer non sembrava interessarsi
oltremodo delle condizioni di salute del Maestro. Il ragazzo era
impegnato in un'accesa discussione con Sauk - figlio del
Kamylk-Pascià - riguardo a una generosa eredità
mentre accanto a loro Ben-Omar, ambiguo notaio, gesticolava
animatamente nel disperato tentativo di far valere il proprio
diritto di mettere le mani sul prezioso lascito del Califfo
egiziano.
Jules Verne non fu capace di trattenere l'emozione nello scoprire
che amici di una tale risma gli sarebbero restati accanto
nell'ultimo viaggio straordinario della vita.
Per tutta la notte Zilippimus Nadar fece la spola tra le cucine e
la stanza, dispensando a quegli ospiti straordinari stuzzichini
appetitosi e ottimo vino: anche in quelle ore dolorose, casa
Verne era un luogo accogliente e raffinato.
D'improvviso, Jules Verne notò un uomo che sino a quel
momento si era mantenuto in disparte. Sembrava quasi che si fosse
materializzato dal nulla; certamente quel tizio non aveva
intrapreso alcun viaggio straordinario. Resosi conto di essere
stato scoperto, l'uomo - col volto celato da bende e occhiali con
lenti oscurate - si avvicinò al letto e, togliendosi
rispettosamente il suo nero cappello a larghe tese, disse: - E'
un vero onore poterla incontrare di persona.
- Lei chi è? - balbettò Jules Verne, mantenendosi
sulla difensiva.
- Uno come tanti - rispose l'uomo - giunto ad Amiens a proporle
un affare vantaggioso.
Jules Verne sospirò. Non era certo la prima volta che
riceveva la visita di un avvoltoio in cerca di soldi. - Per
queste cose si rivolga al signor Jules Hetzel, il mio
editore.
Il signor Griffin, questo era il suo nome, trasse un respiro
profondo prima di esporre il vero motivo di quella visita. - Mi
perdoni ma forse sono stato frainteso. Il mio Maestro, la cui
fama è ben nota nel resto del mondo, mi ha inviato qui per
offrirle la possibilità di ritornare al passato! - Dopo
essersi sincerato di aver ottenuto la sua attenzione,
continuò:- Egli vi concede l'opportunità di
rimediare a una morte che, mi scuso per l'irrecusabile
franchezza, sembra imminente.
La mente di Jules Verne rifiutava una cialtroneria come quella.
Tuttavia, il vecchio romanziere decise di stare al gioco. E
così, fissando il non-volto del signor Griffin, chiese
quale sarebbe stato il prezzo da pagare per sfuggire alla
morte.
- In cambio di un secondo giro di giostra, Lei si impegna a non
scrivere i suoi "Viaggi Straordinari"! - rispose il signor
Griffin, sporgendosi sul letto. - Poiché è
obiettivo del mio Maestro l'essere ricordato come il solo e unico
precursore di una narrativa straordinaria...
- Io non ho nulla da spartire con lui - dissentì Jules
Verne. - Le mie storie si basano su teorie scientificamente
plausibili, mentre i libri del suo cosiddetto "Maestro"
abbracciano la sfera dell'immaginario e del fantastico; come lo
è, e non poterebbe che non esserlo, il viaggio nel
tempo.
Poiché lui stesso era la prova inconfutabile della
possibilità di muoversi attraverso la quarta dimensione,
il signor Griffin si guardò bene dello scardinare le ferme
convinzioni del suo illustre interlocutore. - Vogliamo parlare
allora dell'esotica e inverosimile discesa nel centro della
terra? - ribatté all'improvviso. - Dinosauri
antidiluviani, oceani sotterranei; senza dimenticare che i
protagonisti finiscono per essere sputati dalla bocca di un
vulcano, a bordo di una zattera! - Attese qualche istante prima
di sferrare la seconda stoccata. - Per non parlare di un veicolo
subacqueo che compie addirittura ventimila leghe sotto la
superficie del mare sfruttando l'energia fornita da batterie di
sodio-mercurio! - Il signor Griffin sapeva bene che una macchina
come quella sarebbe stata realizzata in futuro, il 3 agosto 1958
avrebbe navigato sotto i ghiacci del polo, tuttavia non
mollò la presa. - Andiamo, vuole farmi credere che tutto
questo è scientificamente plausibile?
Infastidito, Jules Verne decise di mettere fine allo spiacevole
teatrino. - Non ho intenzione di intavolare una discussione con
Lei. - Il vecchio romanziere si sforzò di apparire
tranquillo. - La ringrazio per la cortese visita, ma il nostro
incontro è terminato.
Preso atto del rifiuto, il signor Griffin decise di togliere il
disturbo. - Nel ventinovesimo secolo quest'affare
funzionerà alla grande - disse, fermo sulla porta,
riferendosi al cubo di metallo che fungeva da comodino. - Parola
di un amico viaggiatore...
- E' un piano-calcolatore-elettronico2 - rispose Jules Verne. - Un regalo di un
vecchio amico giornalista. Dovrebbe essere una macchina in grado
di risolvere complicate equazioni matematiche in brevissimo
tempo, ma non ne ha mai voluto sapere di funzionare...
Attraverso una grata metallica, posta sul lato frontale del cubo,
il signor Griffin intravide rotori meccanici, rulli e schede
perforate: il cuore stesso della macchina calcolatrice. - Saranno
macchine come questa a gestire il mondo, ma lei non vivrà
abbastanza da goderne i benefici. - affermò infine il
signor Griffin, per poi dileguarsi con la stessa rapidità
con cui era apparso.
Quando gli occhi di Jules Verne misero a
fuoco il mondo circostante, si ritrovarono ad incrociare il dolce
volto di Honorine, la moglie devota che gli era rimasta accanto
per tutta la vita.
- Ho fatto un sogno bellissimo - sussurrò, fissando il
soffitto della stanza. - Il migliore che si possa fare in punto
di morte.
Honorine deglutì nervosa. - Non devi parlare così,
Jules - disse con la voce rotta dall'emozione. - Erano qui, lo
sai? - continuò il marito. - I miei viaggiatori
straordinari erano qui, intorno a me! Honorine cercò di
non piangere; ultimamente le accadeva spesso. Si sforzava di
apparire tranquilla agli occhi del suo Jules, pur sapendo che la
morte glielo avrebbe portato via.
- Phileas Fogg è il gentiluomo che ho sempre immaginato
che fosse - riprese Jules Verne. - Mi ha perdonato il suo
matrimonio con la giovane Aouda che, è stato lui stesso a
confessarmelo, odia sin dalla pagina del loro primo incontro. -
Passandosi una mano sul volto, continuò. - C'erano anche
il capitano Servadac, il professor Fergusson, Robur...
In pochi secondi elencò i nomi di tutti i presenti, stando
bene attento a non svelare lo strano incontro con il fantomatico
signor Griffin.
- Ma non sembri pienamente soddisfatto - lo interruppe Honorine,
decisa ad assecondarlo. - Qualcuno non si è presentato
all'appello, vero?
- Nemo! - confessò Jules Verne mordendosi le labbra.
Honorine trasse un profondo sospiro. Per lei, che aveva trascorso
tutta la vita accanto ad un uomo di profondo intelletto, era
insopportabile constatarne l'inarrestabile degrado psichico. In
ogni caso decise di sostenerlo fino alla fine. - E' probabile che
non sia riuscito ad attraccare in un porto sicuro -
ipotizzò con scarsa convinzione.
- No - replicò Jules Verne. - Lui non è uomo che
commette errori, e poi dimentichi che possiede la nave più
incredibile che si possa immaginare. - La sua mano strinse
dolcemente quella della moglie. - Morirò senza potergli
dare l'ultimo saluto, ecco la verità! - Il volto del
vecchio romanziere rivelò il dolore del momento. - Non mi
perdonerà mai di averlo creato in quel modo: un uomo
dannato, solitario, in guerra con il mondo intero!
- Ora è meglio che riposi - lo redarguì Honorine
rimboccandogli le coperte. - Non ti fa bene agitarti in questo
modo.
Esausto, Jules Verne chiuse gli occhi e riflettendo sulla bieca
offerta del signor Griffin sussurrò: - Solo la morte
cancella i sogni, e un giorno Wells lo capirà.
La donna rimase accanto al letto per alcuni minuti. Poi si
alzò dalla sedia e raggiunse la finestra. Il tramonto
scendeva sulla città mentre Honorine Morel, ammirando la
magnifica cattedrale di Notre Dame, chiese al Signore di
terminare il lavoro.
24 marzo
Jules Verne morì nelle prime ore del pomeriggio. Accanto a lui i famigliari, la moglie e la sorella Marie. In seguito Marie dichiarò alla stampa che le ultime parole del fratello erano state per Lei. - Sono contento di vederti, hai fatto bene a venire...**
MORTO JULES VERNE
Il romanziere scriveva due opere all'anno per $4.000 (articolo apparso sulle pagine del New York Times del 24 marzo 1905)
Londra, 1946
- C'era da aspettarselo da un Francese! -
tuonò Herbert George Wells dopo aver gettato a terra
l'ennesima copia ingiallita del New York Times. - Lo ucciderei
con le mie stesse mani se con il mio gesto non provocassi
un'alterazione irreparabile nel continuum spazio-tempo!
L'insigne romanziere, ormai gravemente ammalato, era costretto a
letto da diverse settimane. I medici non gli avevano lasciato
molte speranze riguardo una possibile guarigione. Respirando a
fatica, lanciò una gelida occhiata agli amici seduti al
suo capezzale. - Non posso costringerlo ad accettare l'affare, ma
incoraggiarlo sì! - Chiuse gli occhi, e il suo
volto assunse un'espressione grave. - Portate con voi un Morlok e
un ibrido di Moreau: sono creature dotate di un indiscutibile
potere dissuasivo...
- E se non accetta neanche stavolta? - azzardò l'uomo
invisibile.
- Quando vedrà la moglie fatta a pezzi - rispose H.G.Wells
- gli sarà più facile comprendere il quadro
generale della situazione...
- Bene, allora si parte - concluse il viaggiatore del tempo,
preoccupato all'idea di raggiungere nuovamente l'anno
802,701.
Amiens, 23 marzo 1905
In piena notte un uomo bussò alla
porta. Zilippimus Nadar fece appena in tempo a presentarsi che un
felino dalle fattezze umane gli si scagliò contro. Il
domestico si ritrovò improvvisamente faccia a terra con
artigli affilati alla gola. Un istante dopo, il signor Griffin
comparve sulla soglia. - Gran brutta notte, eh? -
ridacchiò, prima che la voce gli si tramutasse in sibilo.
- Sono qui per affari...
Zilippimus Nadar cercò di liberarsi dal ferino aggressore
senza riuscirvi. Ormai era rassegnato a morire, quando da un
angolo buio del salotto si materializzò la possente figura
di un uomo che, imbracciando uno strano fucile a propulsione
pneumatica, fece fuoco. L'ibrido di Moreau fu raggiunto da una
sventagliata di pallini a carica elettrica che lo fulminarono
all'istante. Subito dopo l'uomo puntò l'arma verso la
porta e fece nuovamente fuoco. Questa volta a cadere fu il
Morlock che il viaggiatore del tempo teneva alla catena. Con
incredibile destrezza, l'uomo ricaricò nuovamente l'arma -
sul cui calcio metallico era impressa la frase " Favet
Neptunus eunti3 " - e premette
il grilletto. Ma il signor Griffin e il viaggiatore del tempo, a
quel punto, erano già scomparsi.
- Alla buon'ora, Capitano Nemo! - protestò Zilippimus
Nadar, ferito e dolorante. - Il Maestro sarà felice di
vedervi...
LONDRA - H. G. Wells, famoso scrittore, storico e sociologo inglese, considerato una delle più importanti figure della letteratura contemporanea, è morto questo pomeriggio nella sua casa in Hannover Terrace, Regents Park, Londra, all'età di 79 anni.
(stralcio dell'articolo di Forrest J. Ackerman & Arthur Louis Joquel apparso sulle pagine del New York Times il 13 agosto 1946***)
IN MEMORIAM
HERBERT GEORGE WELLS (1866 - 1946)
JULES VERNE (1828 - 1905)
Note:
* Brani tratti da "Le avventure di Ettore Servadac attraverso il mondo solare" e "Il giro del mondo in ottanta giorni".
** Le ultime parole di Jules Verne sul letto di morte. Da "Jules Verne, sognatore e profeta di fine millennio", Herbert R. Lottman, Le scie Mondadori.
*** L'articolo di Forrest J. Ackerman & Arthur Joquel, tradotto e adattato da Emilio Di Gristina, è reperibile sulle pagine del sito uraniasat.altervista.org
1 - Nel 1899 la giornalista del "World" Elizabeth Cochrane, con lo pseudonimo di Nellie Bly, compie il giro del mondo di Phileas Fogg in 72 giorni, 6 ore e 11 minuti. A finanziare l'impresa è il proprietario del giornale lord Joseph Pulitzer.
2 - Computer d'ispirazione Verniana che appare nel racconto "Una giornata di un giornalista americano nell'anno 2889".
3 - Nettuno favorisce il viaggiatore
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