Un'introduzione ai buchi neri, dalle teorie classiche alle più recenti, passando per gli avvenimenti che potrebbero accadere al loro interno, in una scienza teorica alle soglie della fantascienza.
Il termine buco nero fu coniato da John Wheeler negli anni '60 per descrivere una regione del nostro spazio-tempo ben determinata e capace di attrarre gravitazionalmente ciò che la circonda al punto da non permettere nemmeno alla luce di fuoriuscire dal suo nucleo.
Ma in concreto, cosa sono i buchi neri? In una sola parola: stelle. O più precisamente ciò che potrebbero diventare le stelle al termine del loro ciclo vitale.
Entrando nel particolare, una stella non è altro che una grossa nuvola di idrogeno che, grazie alla gravitazione, tende a condensare fino a quando l'idrogeno fonde trasformandosi in elio. L'attività di fusione genera energia, in massima parte sotto forma di radiazioni elettromagnetiche, la quale tende a espandere la stella, compensando la gravitazione che, come detto, tende invece a condensarla. Esaurito l'idrogeno come combustibile, comincia la fusione dell'elio ottenuto in precedenza, con un forte aumento dell'energia emessa. Nel ciclo, la nostra stella campione romperà l'equilibrio gravitazione-energia e si espanderà in una gigante rossa.
A questo punto, esaurito anche l'elio, si presenteranno tre possibilità, legate alla massa rimasta alla stella:
- Sotto 1,2 masse solari, collasserà in una nana bianca, un astro di 5/6000 km di diametro con un'altissima densità, nell'ordine delle tonnellate per cm3;
- Tra 1,2 e 3,5 masse solari, si otterrà una nana bianca con una forza gravitazionale talmente elevata da avere al proprio interno solo neutroni. Saremmo cioè di fronte alle stelle a neutroni;
- Oltre 3,5 masse solari, la forza gravitazionale non permetterebbe neppure la sopravvivenza dei neutroni e si arriverebbe alla creazione dei buchi neri.
Evoluzione originaria del concetto di buco nero
Sebbene il nome attuale dei buchi neri sia dovuto a Wheeler, la loro concezione teorica è molto risalente nel tempo. La si può rinvenire addirittura alla fine del XVIII secolo. Infatti, Pierre Laplace nel suo Sistema del mondo (Libro V, capitolo VI, 1798) intuiva che: «Una stella luminosa, della stessa densità della Terra e il cui diametro fosse 250 volte maggiore di quello del Sole, non permetterebbe, in conseguenza della sua attrazione, ad alcuno dei suoi raggi di arrivare fino a noi; è perciò possibile che i più grandi corpi luminosi nell'universo, per questa causa, siano invisibili»
Rappresentazione grafica della deformazione spazio-tempo per una stella normale.
I tempi erano certamente prematuri per staccarsi dalla teoria della gravitazione classica di Newton e si dovette aspettare Einstein e la sua teoria della relatività, con cui descriveva la gravità come una curvatura dello spazio-tempo causata dalla presenza di materia, per andare avanti nel campo dei buchi neri. Su queste basi, nel 1916, Karl Schwarzschild si propose di calcolare i campi gravitazionali stellari e arrivò a una soluzione matematica per la determinazione di una cosiddetta singolarità, in pratica un punto centrale rispetto a un buco nero nei pressi del quale e dentro il quale siamo al cospetto di un singolare approccio al tempo e allo spazio.
Per Schwarzschild intorno ai buchi neri esiste un'area sferica (vedremo in seguito perché la considerò tale) che avrebbe come limite esterno una fascia di non ritorno o orizzonte degli eventi, passato il quale nulla, compresa la luce, potrebbe fare altro se non andare verso il nucleo del buco nero.
Cerchiamo di dare qualche delucidazione in merito.
Ogni corpo dotato di forza gravitazionale ha anche una propria velocità di fuga, vale a dire una velocità oltre la quale è possibile staccarsi da tale corpo e procedere lontano da esso. Per la Terra essa è pari a 11,2 km al secondo. Qualsiasi oggetto che volesse staccarsi dalla Terra e volesse dirigersi nello spazio dovrebbe quindi prodursi in una velocità superiore agli 11,2 km al secondo. La velocità di fuga è una variabile dipendente dalla massa e dalla distanza dal nucleo gravitazionale.
Rappresentazione grafica di una singolarità.
Con masse tanto imponenti quanto quelle dei buchi neri si raggiungerebbero velocità di fuga maggiori della velocità della luce all'interno del limite dell'orizzonte e, non potendo nulla viaggiare oltre tale limite, la materia e la luce stessa sarebbero inevitabilmente destinate a finire nel nucleo. Tirando le somme, con una forza di gravità e una velocità di fuga sempre crescenti man mano che ci si avvicina al nucleo, avremmo una deformazione spazio-temporale che graficamente potrebbe essere rappresentata come un imbuto terminante nella singolarità centrale (il buco in senso lato) al cui interno non si può vedere nulla perché la luce non può sfuggirgli e perciò nessun evento è visibile dall'esterno (il nero).
Vi sono altre particolarità che potremmo scoprire passando l'orizzonte degli eventi. Per esempio, che la materia, tra la singolarità e l'orizzonte, è soggetta a forze gravitazionali di marea del tutto simili alla reciproca influenza tra Terra e Luna che provoca le maree, su due ordini di grandezza differenti, come è ovvio. Dall'applicazione di queste forze, la materia risulterebbe «allungata» o distorta tra un punto A vicino al nucleo e un qualsiasi punto B lontano da esso, ma sempre all'interno dell'orizzonte, in quanto in A la forza gravitazionale sarebbe maggiore che in B.
In quest'ottica, l'esistenza di un orizzonte degli eventi ci solleva però da un timore catastrofico come il considerare i buchi neri alla stregua di potenti aspiratori cosmici in grado di attrarre tutta la materia dell'universo. Ciò sarebbe impossibile perché se non si supera l'orizzonte degli eventi si potrebbe sempre sfuggire alla singolarità e, fintanto che ci si tiene a debita distanza, non vi sarebbero pericoli.
Per quel che riguarda la distorsione temporale interna ai buchi neri, le cose si complicano non poco. Abbiamo detto che grazie a Schwarzschild è stato dimostrato matematicamente che passato l'orizzonte degli eventi non si può far altro che procedere verso il nucleo. Quindi, qualunque velocità possibile in un universo basato sulla relatività si impieghi e qualunque direzione si scelga, la singolarità sarà la sola destinazione possibile. Applicare questo concetto al tempo in una singolarità significa che esso potrà fluire in un'unica direzione, il futuro, per l'impossibilità della materia di retrocedere e ripassare l'orizzonte degli eventi.
La soluzione Einstein-Rosen e il paradosso di Hawking
Tuttavia, le equazioni di Schwarzschild prevedevano alcune semplificazioni: che i buchi neri fossero perfettamente sferici, che non ruotassero e che non avessero carica elettrica. Di fronte a buchi neri aventi una propria rotazione, carica elettrica e forma diversa dalla sferica, sarebbe invece possibile non andare incontro alla singolarità per il semplice fatto che essa non esisterebbe, nel senso di un punto terminale dell'imbuto nucleo-orizzonte degli eventi.
Einstein, in collaborazione con Rosen, diede difatti una spiegazione molto differente al fenomeno dei buchi neri prendendo spunto da una peculiarità della sua equazione della relatività generale: la simmetria rispetto al tempo. Presa una soluzione dell'equazione, si può cioè immaginare che il tempo scorra indietro anziché in avanti e si otterrà un'altra soluzione matematicamente valida.
Da ciò discende che in presenza di un buco nero capace di attrarre la materia in sé senza rilasciarla, si può immaginare un buco bianco in grado unicamente di emettere materia. La soluzione dell'equazione di un buco nero data da Einstein e Rosen prevedeva proprio la presenza di un buco bianco e di un buco nero collegati da un tunnel gravitazionale o wormhole che potrebbe mettere in comunicazione due parti differenti del nostro universo o persino due universi differenti, nel senso che la parte dello spazio-tempo presente all'uscita dal buco bianco sarebbe collegata al nostro universo attraverso il solo buco nero e non sarebbe raggiungibile in altro modo.
Rappresentazione grafica di un tunnel gravitazionale o wormhole, secondo la soluzione Einstein-Rosen.
Un buco nero in rotazione ha anche un effetto collaterale molto meno rassicurante dell'esempio previsto e calcolato da Schwarzshild. Il movimento angolare eventualmente ereditato dalla stella originaria sarebbe sì in grado di farci evitare la singolarità, tuttavia, al medesimo tempo, creerebbe un'area esterna all'orizzonte degli eventi, definibile come ergosfera, la cui principale caratteristica sarebbe l'instabilità gravitazionale, con materia attratta nel nucleo e altra capace di sviare quel destino procedendo lungo l'asse di rotazione del buco nero. L'idea del grande aspirapolvere cosmico non era poi tanto lontana dal vero.
Anzi, è proprio grazie a tale comportamento che è possibile rilevare, con la ragionevole certezza data dai radiotelescopi, la presenza di buchi neri in alcuni sistemi stellari binari, nei quali è rimasta visibile un'unica stella che perde materia in favore di un «qualcosa» a essa vicino, avente una massa indiscutibilmente da buco nero.
Rappresentazione artistica di un sistema binario buco nero-stella, immagine in pubblico dominio per gentile concessione della NASA.
La soluzione Einstein-Rosen richiamata sopra salvaguarderebbe, sulla falsariga del «nulla si crea, nulla si distrugge» anche l'entropia del nostro universo. Ammettere che la materia possa arrivare alla distruzione totale in una singolarità senza cedere nulla in cambio porterebbe a inconcludenti stalli teorici.
Eppure fino al 1974 la teoria classica sui buchi neri prevedeva che essi non emettessero radiazioni di alcun genere. In quell'anno, Stephen Hawking, procedendo dalla sua precedente dimostrazione che l'area totale dell'orizzonte degli eventi non poteva mai diminuire e applicando la teoria dei campi quantici alla curvatura spazio-temporale nei pressi dello stesso orizzonte, scoprì che i buchi neri possono emettere un tipo di radiazione termica.
Sfortunatamente, in quanto tale, questa radiazione sembra contrastare nettamente con il principio della meccanica quantistica denominato unitarietà. Esso, in un'espressione semplificata, consiste nella probabilità totale di ogni possibile evoluzione e deve corrispondere sempre al 100%. In teoria, conoscendo la posizione di ogni singola particella nello spazio-tempo dovremmo essere in grado, andando a ritroso, di conoscere la storia del nostro universo fino alle sue origini.
Una radiazione proveniente da un buco nero, nonostante secondo Hawking sia originata appena al di qua dell'orizzonte degli eventi, comporterebbe una perdita di informazione perché non potremmo mai collegarla a ciò che non possiamo vedere al di là dell'orizzonte. La perdita di informazione e la possibile lenta evaporazione di buchi neri di dimensioni molto ridotte, a causa della predominanza di questi effetti meccanico-quantistici su quelli gravitazionali, è stato appunto denominato Paradosso di Hawking.
Agli inizi del 2004 un gruppo di studio dell'Università dell'Ohio, negli Stati Uniti, guidato da Samir Mathur ha mostrato che applicando ai buchi neri un modello strutturale basato sulla teoria delle stringhe - nella quale le particelle basilari della materia non sarebbero particellari come nei classici atomi, ma piuttosto delle lunghe corde o stringe in continua vibrazione - sarebbe possibile giustificare la radiazione di Hawking con tale vibrazione e, pertanto, avere informazioni su quanto è entrato nell'area dell'orizzonte degli eventi e successivamente fuoriuscito, pur in maniera mischiata o confusa.
Lo stesso Hawking, nel medesimo anno, ha cambiato la propria posizione avvicinandosi a quanto affermato da Mathur. Al contempo, Hawking ha inoltre spiegato come la soluzione del wormhole visto sotto forma di tunnel tra due universi differenti non sia più sostenibile se l'informazione viene effettivamente restituita al nostro spazio-tempo dal buco nero.
Si entrerebbe in esso come materia e si uscirebbe sotto forma di radiazione termica. Non sarebbe una grande esperienza se dovesse accadere a un essere umano. Per un autore di fantascienza è invece una nuova idea che apre altre strade alla fantasia.
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