David Ben Yehuda non era pazzo. Sentiva delle voci, ma non era pazzo. Aveva affinato quel senso a tal punto che poteva percepire il momento in cui una foglia, ingiallita e fragile, si distaccava dalla quercia e cominciava la sua lenta discesa, ondeggiando nell'aria, sospinta dal vento.
Per questo dico che non era pazzo. Sentì i cavalli prima che fossero visibili sulle colline, molto prima che guadassero il fiume. Sapeva chi li montava e cos'erano venuti a fare. E quando lo seppe corse e corse, e si catapultò nella casa del maestro, senza toccare la mezuzah se non col pensiero, mentre si faceva strada tra le sedie e le persone, fino a far cadere a terra il rabbi.
- Sei pazzo? - disse il maestro quando poté rimettersi in piedi. Contemplò il magro e sgraziato David, il suo discepolo preferito, con un severo sorriso. Sapeva che David non era pazzo, ma in qualche modo doveva moderare gli eccessi del ragazzo. Quella volta seppe, lo seppe subito, che non si trattava di una questione di poca importanza. Naum Ben Simon lesse sul viso di David come se si fosse trattato di un rotolo della Torà: qualcosa di molto grave stava accadendo, davvero molto grave.
- E' terribile - articolò David. - Il conte Emich di Leisigen.
Certe parole sono fuoco, sono acido, sono veleno. Nessun Giudeo di Renania ignorava chi fosse Emich di Leisingen, il conte bandito. Lui e i suoi uomini avevano razziato la regione in molte occasioni. Le sue bande facevano ciò che volevano, sempre in malo modo. Ma questa volta era peggio. Il rabbi vide le croci sfolgoranti negli occhi di David, percepì l'odore del sangue e udì i lamenti; anche lui era stato un giovane imprudente ed estatico. Ma questa volta era diverso. Le voci si erano rincorse e tutti sapevano che i nobili si preparavano a riprendere Gerusalemme. La sua Gerusalemme? La Nostra Gerusalemme! Forse l'avrebbe recuperata per loro? Il rabbi tornò a guardare David.
- Dove andiamo? - gemette il maestro. - Saranno dappertutto e diranno che abbiamo ucciso il loro Signore e che siamo colpevoli. Non esiste alcun luogo dove fuggire.
Fu il turno di David. Guardò il rabbi come se non lo conoscesse e sputò le parole quasi con rabbia.
- Mi hai insegnato delle menzogne? - Era maturato di dieci anni in due minuti. David segnalò i libri impilati sopra il tavolo, e quelli che riempivano le librerie. - Sono tutte menzogne? La saggezza, escrementi di un cane rognoso? La Cabala, sogni, deliri? - Respirò profondamente, quasi stesse soffocando. - Mi avete mentito per tutto questo tempo?
Naum Ben Simon comprese ciò che pretendeva David e rispose con l'unica risposta che poteva dare.
- Non può essere che così. Dio deve volerlo, Egli deve ispirarci. Stai parlando di questo?
- Parlo di questo - disse David, e invecchiò di altri dieci anni. - Dio vuole che siamo massacrati, che gli uomini del conte ci sgozzino e bevano il nostro sangue?
- Se lo permetterà... sarà la sua Volontà, e noi dovremo accettarla. - Il rabbi guardo il soffitto, ma David comprese che il suo sguardo poteva attraversare le travi e le tegole.
- Anche se mi permetterà di uscire di qui - riprese David, furioso, stringendo i denti - sarà la sua Volontà.
- Non lo farai - disse il rabbi, incupito.
David gli diede le spalle. Naum Ben Simon capì che era suo dovere rispettare il desiderio del ragazzo e uscì dalla stanza, lasciandolo solo. Non sarebbe stato lui a uccidere la speranza, sebbene non ci fosse futuro per i giudei di Spira.
La porta si chiuse e il suono dei passi del rabbi si allontanarono nel corridoio. David invecchiò di tutti gli anni che gli mancavano per raggiungere la saggezza e si perse tra le pieghe della conoscenza. Permise che il suo udito lo guidasse fino ai luoghi in cui crepitavano i comandi e le proporzioni; udì le cifre e assaporò i segni, lasciandosi trasportare verso le profondità del meccanismo su cui si basa l'armonia del cosmo e della vita. Finalmente lo vide e lo toccò: lì stava, assorto, quasi indifferente, a giocare con esseri e soli. E lui, David, l'insignificante apprendista di Spira, poté avvicinarsi e localizzare i suoi segni. Non seppe mai se lo aveva ingannato o se il Manipolatore si fosse limitato a consentirgli l'intrusione.
Ma David aprì gli occhi e non fu più nello studio del rabbi, non fu più a Spira; il suo fine udito non captava i movimenti degli assassini del conte che veniva a decapitare i giudei, aiutati da una croce senza carità né compassione.
La sera aveva lasciato il passo a un luminoso mattino. A distanza, dietro le colline, si intravedevano sottili colonne che tossivano fumo. Avanzò verso la cima e guardò la valle. Era un villaggio, uno strano villaggio circondato da un muro di filo spinato. Aguzzò la vista e ascoltò le voci. Grida e lamenti. Ordini e imposizioni. Ma non comprendeva le parole. Somigliavano vagamente alla lingua che era solito parlare. Cominciò a scendere la collina e le forme si trasformarono in persone, per la maggior parte vestite con divise a strisce verticali, e altri, robusti e autoritari, che usavano vestiti scuri e cappelli di metallo. David non era stupido e capì immediatamente che vi era qualcosa di orribile in quel luogo. Scosse la testa e sorrise. Non potevano essere peggiori del conte Emich di Leisingen e dei sui banditi. Sveltì il passo e si diresse con risolutezza al portone d'entrata, dove con grandi lettere di strane forme avevano scritto in un tedesco riconoscibile: "il lavoro rende liberi".
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