Cibo, cucina, feste e banchetti nel Medio Evo e nel Rinascimento - Seconda parte

traduzione italiana a cura di Gianluca Turconi

Dalla conquista dell'Europa da parte della frutta asiatica all'epica lotta delle istituzioni francesi contro i maiali randagi a Parigi e alla potenza delle corporazioni dei macellai e dei salumieri nel Medio Evo, in uno spaccato di microstoria con citazioni da fonti originali.

Frutta

L'Europa occidentale era originariamente molto povera di frutta e la situazione migliorò solo con le importazioni dei Romani, principalmente dall'Asia. L'albicocca arrivò dall'Armenia, il pistacchio e la prugna dalla Siria, la pesca e la noce dalla Persia, la ciliegia dal Cerasus, il limone dalla Media, la nocciola dall'Ellesponto e la castagna da Castana, una città della Magnesia. Siamo debitori dell'Asia anche per la mandorla; la melagrana, secondo alcuni, venne dall'Africa, per altri da Cipro; la mela cotogna da Cidone, a Creta; l'oliva, il fico, la pera e la mela dalla Grecia. Gli statuti di Carlo Magno ci mostrano che quasi tutti questi frutti erano coltivati nei suoi giardini e che alcuni di loro erano di diverse specie o varietà.

Coltivazione della vite nel Rinascimento - Immagine in pubblico dominio

Coltivazione della vite in una miniatura tratta dal calendario di un breviario, in manoscritto, del XVI secolo.

Passò, comunque, un considerevole periodo prima che i migliori e più succulenti prodotti da giardino fossero ottenuti dalla natura con mezzi artificiali. Perciò nel XVI secolo troviamo Rabelais, Charles Estienne e La Framboisiere, medico di Enrico IV, che lodano la pesca Corbeil, che era di una qualità inferiore e quasi selvatica, e la descrivono come avente "polpa solida e asciutta, non aderente al nocciolo." La coltivazione di questo frutto, non più grande di una prugna rosata, era stata allora, secondo Champier, appena introdotta in Francia. Si deve qui rimarcare che Jacques Coythier, medico di Luigi XI, per ottenere il favore del proprio signore, che era molto ghiotto dei nuovi frutti, come stemma si diede un albero di albicocche, per il quale fu scherzosamente chiamato Abri-Coythier. (N.d.T. Gioco di parole col termine "abricot", albicocca in francese)

Si deve ammettere che grandi progressi erano stati fatti nella coltivazione della prugna e della mela; Champier dice che le migliori prugne erano le reali, le perdrigon e le damas di Tours; Olivier de Serres ne menziona diciotto tipi, tra le quali, comunque, non troviamo la celeberrima Regina Claudia, che deve il suo nome alla figlia di Luigi XII, prima moglie di Francesco I.

[...]

La mela cotogna, che era comunemente coltivata nel Medio Evo, era considerata come il più utile dei frutti. Non solo era alla base delle conserve dei contadini di Orleans, chiamate cotignac, una specie di marmellata, ma era anche servita con la carne stagionata. La mela cotogna del Portogallo era la più stimata, mentre il cotignac di Orleans aveva tale reputazione che casse di questa frutta erano sempre date a re, regine e principi alla loro entrata nelle città di Francia. Fu la prima offerta fatta a Giovanna d'Arco quando portò i rinforzi a Orleans durante l'assedio inglese. Erano conosciute molte qualità di ciliege, ma ciò non impedì alla ciliegia di bosco o selvatica di essere apprezzata sulle tavole dei cittadini; mentre la cornouille o ciliegia selvatica corneliana era difficilmente toccata, tranne dai contadini; da ciò discende l'espressione proverbiale, di particolare uso a Orleans, quando una persona fa un commento sciocco, "ha mangiato le corneliane", cioè parla come un campagnolo.

Nel XIII secolo, le castagne di Lombardia erano vendute per le strade, ma nel XVI secolo essere erano state sostituite dalle castagne del Lionese e di Auvergne e si potevano trovare sulle tavole reali.

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I portoghesi si attribuiscono l'onore di aver introdotto le arance dalla Cina; comunque, in un rendiconto della casa di Humbert, Delfino di Viennois, nel 1333, cioè molto prima delle spedizioni portoghesi in India, è fatta menzione di una somma di denaro pagata per trapiantare degli aranci.

Al tempo di Bruyerin Champier, medico di Enrico II, i lamponi erano ancora completamente selvatici; lo stesso autore afferma che le fragole di bosco erano state appena introdotte a quel tempo nei giardini, "per cui", egli dice, "sono di grandezza maggiore, sebbene esse abbiano perso al medesimo tempo in qualità."

La vite, acclimatata e diffusa dai Galli, da quando i seguaci di Brenno l'avevano riportata dall'Italia, cinque secoli prima dell'era cristiana, non cessò mai di essere produttiva e arrivò persino a costituire la ricchezza naturale del paese. Nel XVI secolo, Liebault enumerò diciannove tipi d'uva e Olivier de Serres ventiquattro, tra le quali, nonostante le eccentricità dei nomi antichi, crediamo di poter rintracciare la maggior parte di quelle piante che ancora oggi sono coltivate in Francia. Per esempio, è conosciuta l'eccellente vite di Thomery, presso Fontainebleau, che produce in abbondanza la migliore uva da tavola. Essa era già in uso durante il regno di Enrico IV.

Ai tempi dei Galli, la consuetudine di essiccare l'uva esponendola al sole o a una certa quantità di calore artificiale, era già praticata e, poco dopo, gli stessi mezzi furono adoperati per conservare le prugne, un'industria nella quale in seguito la gente di Tours e Rheims avrebbe eccelso. Essiccare le mele in un formo fu un'altra consuetudine diffusa e costituiva una prelibatezza conservata per i banchetti invernali e primaverili. Frutta essiccata fu anche importata dall'estero, come è menzionato nel "Libro delle grida di strada a Parigi".

"Figues de Melites sans fin,
J'ai roisin d'outre mer, roisin."

("Fichi di Malta senza fine,
ho uva d'oltremare, uva.")

Carne macellata

Macellaio di maiali nel Medio Evo - Immagine in pubblico dominio

Il macellaio di maiali, fac-simile di una miniatura contenuta nella Regola dell'Abbazia di Solignac (XIV secolo)

Secondo Strabone, i Galli erano grandi consumatori di carne, specialmente di maiale, fosse fresca o salata. "I Galli," ci dice, "allevano così tante greggi e, soprattutto, così tanti maiali, da rifornire non solo Roma, ma tutta l'Italia, con grasso e carne salata." Il secondo capitolo della legge Salica, comprendente diciannove articoli, si occupa interamente delle pene per il furto di maiale. E nelle leggi dei Visigoti troviamo quattro articoli sullo stesso soggetto.

In quei giorni remoti, in cui la terra era ancora coperta da enormi foreste di querce, vi erano grandi facilitazioni per l'allevamento di maiali, la cui predilezione per le ghiande era ben conosciuta. Perciò i vescovi, i principi e i signori permisero l'allevamento di numerose mandrie di maiali nei propri domini, sia con lo scopo di rifornire le proprie tavole sia per le fiere e i mercati. Nel periodo successivo, divenne d'uso per per ogni casato, tanto in campagna quanto in città, allevare e ingrassare un maiale che veniva ucciso e salato in un determinato periodo dell'anno; quest'uso sopravvive ancora in diverse province. A Parigi, per esempio, c'era difficilmente un borghese che non avesse almeno due o tre maiali. Durante il giorno era concesso a queste sgradevoli creature di aggirarsi per le strade che, comunque, aiutavano a mantenere pulite mangiando rifiuti di ogni sorta gettati dalle case.

Uno dei figli di Luigi il Grosso, nel passare in Rue du Martroi il 2 Ottobre 1131, tra l'Hotel de Ville e la chiesa di San Gervaso, si fratturò il cranio in una caduta da cavallo causato dalla corsa di un maiale tra le gambe della sua cavalcatura. Questo incidente portò alla prima ordinanza emanata dai sindaci che proibì l'allevamento di maiali in città. L'uso, comunque, profondamente radicato da secoli, resistette all'ordinanza e a molte altre sullo stesso soggetto che la seguirono; addirittura troviamo, sotto Francesco I, il rilascio di una licenza al boia che gli conferiva il potere di catturare tutti i maiali randagi che avesse trovato a Parigi e di portarli all'Hotel Dieu, dove avrebbe ricevuto cinque sous in argento o la testa dell'animale.

Si racconta che i seguaci di Sant'Antonio, in virtù del privilegio legato alla leggenda popolare del patrono, che era generalmente rappresentato con un maiale, si fossero opposti all'ordinanza e avessero a lungo mantenuto il diritto esclusivo di permettere ai loro maiali di vagabondare per le strade della capitale.

L'ostinata determinazione con cui tutti provarono a evadere le ordinanze amministrative su questo argomento è spiegata, in effetti, dalla predilezione del popolo francese per la carne di porco. Essa appare abbastanza strana in un tempo in cui questo tipo di cibo si supponeva generasse la lebbra, una malattia allora molto diffusa in Francia.

La carne di maiale costituiva la portata principale in molti banchetti domestici. Non c'era grande festa in cui prosciutti, salsicce, e pudding nero non fossero serviti a profusione su tutte le tavole. E poiché nel giorno di Pasqua, che concludeva le ristrettezze della Quaresima, vi erano grandi festeggiamenti, nell'occasione, questo cibo costituiva il piatto più importante. È possibile che la necessità di rifornimento per il consumo di quel giorno abbia generato la celebre fiera del prosciutto che era, ed è ancora, tenuta annualmente nel giovedì della settimana della Passione davanti a Notre Dame, dove commercianti da ogni parte della Francia, specialmente dalla Normandia e dalla Bassa Bretagna, si radunano con i loro maiali.

Misure sanitarie furono prese a Parigi e in varie altre città per prevenire che insorgessero effetti negativi dall'enorme consumo di carne di porco; pubblici ufficiali, chiamati languayeurs, esaminavano gli animali per assicurarsi che non avessero ulcere bianche sotto la lingua, le quali erano considerate il segno che la loro carne era in grado di trasmettere la lebbra a coloro che se ne fossero cibati.

Per lungo tempo la vendita di carne di porco fu riservata ai macellai, come per il resto della carne. Il porco fresco o salato era sempre venduto crudo, sebbene in un periodo successivo alcuni rivenditori, che svolgevano i propri affari principalmente tra le classi inferiori del popolo, presero a vendere porco cucinato e salsicce. Essi furono chiamati charcuitiers o saucissiers. Questo nuovo commercio, che era molto lucrativo, fu iniziato da così tante persone che il Parlamento fu obbligato a limitare il numero dei charcuitiers, i quali alla fine formarono una corporazione e ricevettero i loro statuti, confermati dal Re nel 1475.

Tra i loro privilegi vi era quello di vendere aringhe e altro pesce di mare a Lent, nel periodo in cui la vendita di maiali era strettamente proibita. Nonostante avessero il monopolio della vendita del porco cucinato, era loro proibito di comprarne la carne da altri se non i macellai, i quali erano i soli ad avere il diritto di uccidere i maiali. Fu solo nel 1513 che ai charcuitiers fu permesso di comprare al mercato e vendere carne cruda, in concorrenza con i macellai che, come conseguenza, rinunciarono gradualmente a uccidere e vendere maiali.

Sebbene il consumo di carne macellata non fosse così grande nel Medio Evo come ai giorni nostri, il commercio di un macellaio, al quale spettavano straordinari privilegi, era cionondimeno uno tra quelli che realizzava i profitti più alti.

Il Sacro Bue celtico - Immagine in pubblico dominio

Il Sacro Bue. Monumento celtico trovato a Parigi sotto il Coro di Notre Dame nel 1711.

Sappiamo quale parte fondamentale i macellai abbiano giocato nella storia municipale di Francia, come anche del Belgio, e sappiamo quanto importante fosse la loro influenza politica, specialmente nel XV secolo. L'esistenza del grande mattatoio di Parigi risale al periodo più remoto della monarchia. La parrocchia della corporazione dei macellai, precisamente quella di St. Pierre aux Boeufs in città, sul fronte della quale erano scolpiti due buoi, esisteva già prima del X secolo. Un monumento celtico fu scoperto nella parte più antica di Parigi, con un basso rilievo rappresentante un toro selvatico che trasporta 3 gru in piedi tra rami di quercia. Archeologicamente, si è scelto di riconoscere in questa scultura un'allegoria druidica che ci è giunta sotto forma del carro trionfale del Sacro Bue. I macellai che per secoli, almeno in Francia, uccisero solo pecore e maiali, si dimostrarono molto gelosi dei propri privilegi e non ammisero alcun straniero nella loro corporazione.

La proprietà dei banchi al mercato e il diritto di essere ammesso come mastro macellaio all'età di sette anni e un giorno appartenevano esclusivamente ai discendenti maschi di poche ricche e potenti famiglie. Solo il Re di Francia, su loro accessione, poteva creare nuovi mastri macellai. Dalla metà del XIV secolo la Grande Boucherie era il luogo di un'importante giurisdizione, composta da un sindaco, un mastro, un procuratore e un avvocato; aveva anche un consiglio giudiziario davanti al quale i macellai potevano portare i loro casi e un appello che poteva essere preso in considerazione unicamente dal Parlamento. Oltre a questa corte, che doveva decidere casi di cattiva condotta da parte degli apprendisti e tutti i loro appelli contro i maestri, la corporazione aveva un consiglio in Parlamento e un altro allo Chatelet che era destinato a occuparsi degli interessi dei macellai ed era da loro pagato.

[...]

In altri luoghi i macellai furono ben lontani dall'acquisire l'importanza che essi ebbero in Francia e Belgio, dove si consumava molta più carne rispetto alla Spagna, all'Italia e persino alla Germania. Ciononostante, in quasi tutti i paesi esistevano certe regolamentazioni, talvolta eccentriche, ma generalmente mantenute in vigore con la forza, per assicurare un rifornimento di carne della migliore qualità e salubrità. In Inghilterra, per esempio, ai macellai era permesso di uccidere i tori solo dopo che questi avessero combattuto con i cani, senza dubbio con l'intenzione di ottenere carne più tenera. A Mans, era riportato nelle regolamentazioni per il commercio che "nessun macellaio dovrà essere tanto stolto da vendere carne che non sia stata precedentemente vista viva da due o tre persone che testimonieranno sotto giuramento e, in ogni caso, essi non la venderanno finché le persone non avranno reso dichiarazione completa."

Alle molte regolamentazioni che influivano sugli interessi del pubblico si deve aggiungere quella che proibiva ai macellai di vendere carne nei giorni in cui l'astinenza dal cibo animale era ordinata dalla Chiesa. Queste regolamentazioni si applicavano meno ai venditori rispetto ai consumatori che, disubbidendole, erano passibili di multa o imprigionamento o punizioni corporali severe, per mezzo di frustate, o la messa alla berlina. Troviamo che Clement Marot fu imprigionato e quasi bruciato vivo per aver mangiato carne di porco a Lent. Nel 1534, Guillaume des Moulins, Conte di Brie, chiese il permesso che sua moglie, allora ottantenne, cessasse di digiunare; il Vescovo di Parigi concesse la dispensa solo a condizione che l'anziana dama prendesse i suoi pasti in segreto e fuori dalla vista di chiunque e digiunasse comunque di venerdì. "In certe città," dice Brantome, "ci furono processi come a Lent. Una donna che vi aveva assistito andò a casa per cenare con un quarto d'agnello e un prosciutto.

Il profumo si diffuse per le strade e la casa fu occupata. Stabilito il fatto, la donna fu presa e condannata a camminare per la città col suo quarto d'agnello sullo spiedo sopra le spalle e il prosciutto appeso intorno al collo." Questa specie di severità aumentò durante i tempi di dissenso religioso. Erasmo dice "Colui che ha mangiato carne di porco invece di pesce è preso e portato alla tortura come un parricida." Un editto di Enrico II, 1549, proibì la vendita di carne in Lent alle persone sprovviste di certificato medico. Carlo IX proibì la vendita di carne agli Ugonotti e fu ordinato che il privilegio di vendere carne durante i periodi di astinenza dovesse appartenere esclusivamente agli ospedali. Fu dato ordine a coloro che rivendevano carne di prendere nota dell'indirizzo di tutti gli acquirenti, anche nel caso avessero presentato un certificato medico, cosicché si potesse verificare la loro effettiva necessità di cibarsi con carne. Successivamente, la certificazione medica dovette essere autorizzata da un prete, specificando la quantità di carne richiesta. Persino nei casi in cui l'uso di carne macellata era concessa, maiale, pollame e selvaggina erano strettamente proibiti.

Testo francese originale in pubblico dominio tratto da "Modi, costumi e abbigliamento durante il Medio Evo e il periodo rinascimentale", di Paul Lacroix, curatore della Biblioteca Imperiale dell'Arsenale, Parigi.

Traduzione italiana copyright 2013 Gianluca Turconi.

Le immagini riportate su questa pagina sono tratte dall'opera originale di Lacroix, in pubblico dominio

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