Tanti auguri di Buon horror Natale!
Qualcuno glielo aveva spiegato: perché due persone fossero felici, era necessario che un certo numero di coppie soffrisse.
Una legge crudele e insensata, sì; ma fondamentale perché la natura funzionasse veramente.
D’altra parte, per l’Universo non eravamo altro che insetti, creature insignificanti sotto la volta vuota e indifferente delle stelle.
Se la vita andava bene oppure male, non era che per un fortuito avvicendarsi di fatti, nessi causali che si intrecciavano inconsistenti in un mondo che appariva imperscrutabile.
Certo, uno poteva manipolare le leggi in suo favore. Era nelle sue possibilità, al Cosmo risultava indifferente chi fosse felice e chi no.
Iris sospirò.
Doveva ammetterlo: le due persone che glielo avevano detto non è che fossero proprio eccezionali. Qualche difficoltà a confessarlo c’era, visto che si trattava dei suoi genitori, ma era innegabile che non godessero di una buona fama.
Anche le circostanze in cui si erano suicidati le apparivano ignote.
Nessuno riusciva a comprendere la ragione per cui avevano lasciato lei, Iris, da sola, in un’età tanto delicata.
– Quei due fannulloni, Corvaro e Malina, nascondevano un sacco di segreti – urlava la nonna, ogni volta che saltava fuori il discorso – anche se sei sangue del loro sangue, non devi per forza volergli bene.
Iris, tuttavia, li ricordava come una coppia felice e ben assortita. Sicuramente, di amore ne capivano più di chiunque altro.
Non aveva idea del perché avesse riesumato “Le fatture di Corvaro e Malina”, vecchio librone ingiallito contenente tutti i loro deliri magici.
Iris si era tenuta sempre lontana da quella roba.
Magari proprio perché, nel periodo di Natale, il suo fidanzato storico Alberto aveva deciso di lasciarla per un’altra?
– Tu sei strana – le aveva detto. – Mi metti in imbarazzo. In certe situazioni, addirittura mi spaventi. Una sociopatica!
Strana? Aveva soltanto buttato un po’ di lassativo sulle pietanze di un buffet. Le davano fastidio tutti i discorsi idioti che berciavano i parenti di lui.
Che sarà stato mai? Una mezz’oretta in bagno e si erano tutti ripresi!
Bene, gliel’avrebbe dimostrato, allora, quanto potesse essere stramba una così.
Ora le luci dell’albero di Natale le lampeggiavano davanti. Sfumature livide e sognanti di porpora, verde e indaco.
Sembravano così magiche...
Che tristezza, ora avrebbe potuto ammirarle insieme ad Alberto. Non riusciva proprio a pensarci, Iris. Dentro di lei c’era un vuoto che avrebbe colmato soltanto col ritorno di lui.
L’idea che altre coppie, in quel momento, potessero starsene intorno all’albero a festeggiare, a scartare regali e a scambiarsi effusioni al ritmo delle canzoni di Frank Sinatra, la faceva affogare in un Natale viola, dove c’erano soltanto dolore e nostalgia.
Dalla finestra guardava i fiocchi di neve cadere e ne avvertiva il suono rintoccare nel cuore, quasi mandandolo in frantumi.
Sì, mentre gli altri vivevano le loro storie d’amore, nel periodo più bello dell’anno, lei era a casa da sola con la nonna. Una vecchia dalla pelle coriacea che non faceva altro che rimproverarsi su come avesse cresciuto quel bel mascalzone di suo figlio e di quale orrenda moglie lui avesse trovato.
– Dannazione! Deve aver ereditato il carattere da quel lavativo di tuo nonno – inveiva, sbattendo nervosamente il battipanni. – Certo non da me. Lui se n’è andato, lasciandomi da sola a crescere Corvaro. All’inizio era giusto un po’ eccentrico, tuo padre. Ma poi, quando ha incontrato quella Malina...
Stringeva le dita fino a farsi sanguinare i palmi, quando ne parlava.
Se Iris avesse potuto scegliere un giorno in cui far tornare Alberto, questo sarebbe stato Natale.
Non ne esistevano altri in cui si potesse essere veramente felici.
Così, mettendo su una playlist di Natale, fatta di Brenda Lee, Frank Sinatra ed Ella Fitzgerald, Iris si mise a elaborare il suo idrolato di amori ricuciti.
Mischiò ravanello e artemisia in quella poltiglia viola all’interno del paiolo; alla fine, aggiunse la coda di opossum, sollevando un fumo livido e spettrale.
Ci aveva messo un po’ a rimediarla, ma poi ne aveva scorto uno proprio lì, sul ciglio della strada, con le budella che fuoriuscivano, ma la coda miracolosamente rosea e integra.
Allarmata dall’odore penetrante, la nonna era entrata nella stanza e aveva incominciato a sbraitare:
– Anche tu prepari quegli intrugli? Oh, cielo, stai imboccando la strada dei tuoi genitori!
Con un colpo di dita, Iris le aveva cucito la bocca. Punte arrugginite erano spuntate sulle labbra, piantando fiori perlacei di sangue.
Uno dei tanti incantesimi che aveva letto su “Le fatture di Corvaro e Malina”.
Iris scoppiò in una risata acuta. Non l’avrebbe mai detto, ma le dava una sensazione sinistra e inspiegabile di potere.
Un tomo interessante, sul serio. Ce n’erano a bizzeffe di cose che avrebbe potuto fare. La nonna nel frattempo si contorceva in lamenti mugolanti, le maniche piantate sulle labbra che si sbrindellavano nel tentativo di ripulire il sangue.
– Non parli più, eh, vecchiaccia?
Be’, ora aveva la conferma di essere “strana”. Pensava che soltanto i suoi genitori potessero compiere certi giochini. Un po’ li aveva invidiati per questo; adesso, però, le sembrava di odiarli di meno, soprattutto se le loro fatture erano in grado di far tornare Alberto.
Mancava una notte a Natale.
L’idrolato di amori ricuciti era capace di risolvere tutto nel giro di poche ore.
A quel punto, Iris aggiunse una piuma di cocorita alla pozione; quest’ultima assunse una gradazione rosa shocking, un odore antico e mellifluo strepitò fumoso.
Prese il mestolo e iniziò a mescolarla.
Il movimento del composto seguiva flussi tumultuosi e vorticanti; sussulti e direzioni del tutto inusuali.
Si sentì il suono di un carillon.
Una folgore rossa esplose dal composto e Iris fu trascinata nel paiolo.
Si trovava in una camera da letto, tutta addobbata a festa.
Dozzine di ninnoli sistemati sopra le mensole; di fronte a lei, una coppia di ragazzi che discutevano, lui con un maglione natalizio, lei con una camicia di flanella.
Iris provò a nascondersi, ma si rese subito conto che non ce n’era bisogno. Poteva attraversare gli oggetti: era diventata una specie di ectoplasma.
– Mi stai trascurando – sottolineò la ragazza. – Ammettilo, ormai è da un po’ che succede!
– Non è vero – negò lui abbassando lo sguardo.
Iris provò uno strano piacere a sentirli litigare; poi, ecco che comparve sul letto un reggiseno rosso.
La ragazza sussultò.
– Questo – domandò sollevandolo – cosa sarebbe? Lo sapevo che mi stavi tradendo. Bel giorno ti sei scelto per farmelo sapere. Passerai il Natale da solo.
Il ragazzo si mise una mano sugli occhi, schiacciato dal senso di colpa, poi la scena si dissolse.
Quando si ricompose, era la cena della vigilia.
Una coppia, in compagnia di tutti i parenti, gustava un antipasto di mare.
Davvero appetitoso: un’insalata di totani e calamari, la scorza luminosa del limone.
Poco distante, un uomo vestito da Babbo Natale giocava con i bambini.
– Insomma – gridò qualcuno rivolgendosi alla coppia – quando vi sposate?
– Molto presto – gongolò lei.
– Forse mai!
Lui sbarrò gli occhi nel momento in cui proferì quella frase: gli era sfuggita dalle labbra senza volerlo.
La ragazza si alzò irritata, le labbra che tremavano; lo lasciò lì, in mezzo a tutti i parenti, in un silenzio profondo e imbarazzante.
Iris passò tutta la notte così: visitando coppie.
Ormai era una specie di Babbo Natale che, invece di distribuire regali, elargiva rotture sentimentali.
L’ultima visita, tuttavia, fu diversa.
La ragazza aveva sviluppato un odio talmente profondo per il ragazzo che la tradiva che, con folle premeditazione, aveva avvelenato tutti i parenti alla cena di Natale. I commensali tossicchiavano paonazzi, gli occhi esausti che scoppiavano fuori dalle orbite; con la bava e il sangue che eruttavano dalla bocca, boccheggiavano convulsi sopra il linoleum.
La scena si concluse con i Carabinieri che irrompevano nel salotto.
– Questo non è per niente un buon Natale, signorina – aveva declamato teatrale il maresciallo.
In ultimo, Iris vide lui, Alberto.
– Ho commesso un errore – mormorava alla nuova fidanzata – devo tornare da lei.
Iris non si sentì molto felice quando Alberto ritornò.
Era perseguitata da incubi: persone che gemevano, gente a cui aveva sottratto la felicità.
– Non volevo ucciderli – gridava quella ragazza davanti ai Carabinieri – è come se qualcosa mi avesse spinto.
Le vittime si contorcevano disperate nei suoi sogni.
– Perché ci hai fatto questo? – prorompevano contro Iris – noi eravamo felici.
Sangue e viscere che fiottavano putrefatti dalle bocche.
Nel sogno, intanto, Alberto rideva e la abbracciava.
Come poteva essere felice?
Capiva, ora, perché i genitori si fossero suicidati.
Iris non avrebbe commesso lo stesso errore. Avrebbe provato a rimediare.
Fu una cena di Natale povera, la loro, ma non meno triste di quelle che aveva visto.
Uccise Alberto senza pietà, davanti agli occhi terrorizzati della nonna. Questa, privata della parola, era stata legata a una sedia, costretta a guardare.
Al risveglio, la mattina di Natale, Iris vide la nonna sorridente e capì che tutto era tornato come prima.
Non c’era scritto sul libro, ma quello era l’unico modo di rompere quanto aveva fatto.
Alberto non era più con lei, ma tutti gli altri erano tornati a una vita felice, come svegliatisi da un brutto sogno.
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