Quando nel 1818 vide le stampe, il poema del poeta romantico John Keats, Endymion, fu immediatamente sepolto dalle critiche. Molte di queste talmente sarcastiche e impietose da non risparmiare commenti al vetriolo neppure sulla vita personale dell’autore. La più famosa quella apparsa fra le pagine del Blackwood’s Edinburgh magazine, che definì il poema come caratterizzato da un senso di “imperturbabile e perfetta idiozia”. Addirittura, si consigliava all’autore di tornare alla propria attività di farmacista, a patto di fare un uso più moderato di sedativi e sonniferi.
Il sonno di Endymion, opere dell'artista Anne-Louis Girodet de Roussy-Trioson (1767–1824)
A oggi, sebbene consapevoli di tutti suoi limiti, Endymion appare uno scritto imperniato non soltanto di uno straordinario ed evocativo lirismo, ma anche di un messaggio profondo e personale sul cammino esistenziale seguito dall’autore. Endymion non è semplicemente il mito di un sogno astratto e trascendentale inseguito dall’omonimo poeta pastore, ma l’intimo manifesto di un poeta che insegue un modello di perfezione il quale – come dimostrerà la vita stessa di Keats – lo porterà alla malattia e al logoramento esistenziale.
La poesia di Keats
La poesia di Keats arriva tragica e abbacinante come una meteora, nella stagione dei poeti romantici inglesi. I temi declamati nei suoi versi, che raggiungono la massima perfezione stilistica nelle odi, sono i classici tòpoi romantici: la ricerca della bellezza come bisogno viscerale; il fascino evanescente del sogno; la natura come limite all’espressività del poeta. Tuttavia, a un lettore più attento non sfugge come il tema centrale dell’opera di Keats non sia nient’altro che la poesia stessa.
Per tutta la vita, l’autore inseguirà un modello di lirismo talmente alto che la sua stessa spiritualità – e salute fisica – ne sarà stroncata. Un ideale di bellezza ricercato con così estenuante passione da abbattersi sulla cagionevole salute del poeta.
All’epoca del suo primo sonetto – pubblicato sul The Examiner nel 1816 – Hunt ce lo descrive come un giovane speranzoso e ribelle, con una personalità orgogliosa e combattiva, ma vulnerabile fisicamente e vittima spesso di sciagure ed eventi avversi. In particolare, quello che emerge in modo evidente nella vita di Keats è un senso perenne e amaro di insoddisfazione che lo porterà a lottare strenuamente per il podio dei poeti, misurandosi con versi che non considera mai all’altezza.
Il solo poeta autodidatta fra i romantici inglesi
A incidere su questo costante senso di inadeguatezza fu probabilmente l’estrazione sociale. Keats crebbe in un ambiente poco fertile per le lettere e la famiglia non incoraggiò mai il suo sogno di poeta. Inoltre, rispetto ai poeti coevi, Keats non godette mai di una solida istruzione poetica. Si formò pressoché da solo, da autodidatta, inseguendo i miti di Spenser e del poeta suicida Thomas Chatterton.
A distinguerlo dagli altri romantici inglesi, benché i temi abbracciati siano più o meno gli stessi, è soprattutto l’atteggiamento spirituale. Se nei versi di Wordsworth domina un Io romantico ed esasperato – il quale vorrebbe imporsi e sopraffare la natura, abbattendone addirittura i limiti – in Keats la poesia è un immergersi continuo in vaghezze e pieghe intime e metafisiche. La ricerca di un sogno astratto, di una spiritualità talmente eterea e illibata da apparire come una fuga dal reale; esperienza che, nelle opere finali, si ridimensionerà in una consapevolezza rassegnata dei limiti dell’umana esistenza.
La poetica di Keats sembra sfidare non tanto i limiti della natura, quanto i limiti della sua stessa espressività, cercando disperatamente nuove cifre stilistiche per narrarne l’immensità e migliorare l’appagamento spirituale del poeta.
Endymion nasce come una sfida
Prima di Endymion, Keats aveva già pubblicato una raccolta di versi. Tuttavia, come emerge dal carteggio con suo fratello George, il giovane non si sentiva affatto sicuro della sua capacità come poeta:
“Per quanto riguarda il tuo definirmi un Poeta, non posso rispondere se non dicendo che l’alta idea che ho della gloria poetica non mi fa pensare che essa si manifesti torreggiando troppo in alto su di me. In ogni modo, non ho diritto di parlare finché non avrò concluso il mio Endymion che sarà un saggio, una prova del mio potere di immaginazione e soprattutto della mia inventiva. Cosa non comune, in quanto devo realizzare 4000 versi a partire da un mero spunto e riempirli di poesia” [nota 1].
Come emerge da questa corrispondenza, Endymion rappresenta soprattutto una sfida, una prova importante per misurare il senso poetico di Keats.
“(...) Un poema lungo è una prova di inventiva che credo sia la stella polare della Poesia, come la fantasia ne è la Vela e l’immaginazione il Timone. Hanno mai scritto i nostri grandi poeti brevi frammenti? Intendo in forma di racconto? Questo stesso artificio sembra non più ultimamente ritenuto l’eccellenza poetica” [nota 2].
Endymion è il mito di un mondo arcadico, dove il vate-pastore che dà il nome all’opera si muove in un modo etereo alla ricerca del suo amore – Cinzia, la Dea della Luna – conosciuta in un sogno.
Il mito aveva sempre esercitato un certo fascino su John Keats: il primo contatto arrivò con le letture scolastiche. Successivamente, filtrato e reinterpretato attraverso Ovidio, Shakespeare e Milton, lo stesso diventa manifesto della stessa vita di Keats, dominata dalla ricerca estenuante di un ideale supremo: in questo caso, un’idea di poesia elevata, ispirata alla perfezione dei classici e delle figure arcadiche.
L’opera: un’ascesa lirica verso l’ideale
Tutta l’opera è un palpito continuo e affannoso alla ricerca di un ideale mitico di bellezza. I primi versi di Endymion ne esprimono lo spirito in modo icastico: “Una cosa bella è una gioia per sempre”.
E il viaggio verso questa bellezza sarà introdotto dal primo incontro di Endimione con la Dea Cinzia, “in un magico letto di sacro dittamo”. Di qui in poi, inizierà un lungo eremitaggio, fra la veglia e il sonno, gli inferi e il regno sottomarino di Nettuno, alla ricerca della sua angelica figura dileguatasi in cielo. L’inseguimento di un amore puro e trascendentale, la cui carica spirituale sarà enfatizzata anche dalle figure di Adone, Glauco e della stessa Venere.
Il finale metterà in campo ancora i due mondi contrapposti in cui è diviso Endimione: quello spirituale, elevato e poetico – rappresentato da Cinzia – e quello terreno, opprimente e materiale, incarnato dalla figura di una bella indiana che si contrappone a Cinzia.
È un lungo sospiro poetico che non può essere ridotto alla mera ricerca di un amore carnale e idealizzato, o all’ascesi eterea verso un mondo vagheggiato e superno. La figura di Cinzia rappresenta molto più che un semplice sentimento d’amore: Lei è il sogno vagheggiato dal poeta, il mondo classico a cui aspira e di cui vorrebbe vestire i suoi versi, la Musa stessa e l’ideale di perfezione a cui John Keats vorrebbe ispirarsi.
Il poeta John Keats, ritratto da William Hilton (1786–1839).
Una grande prova per Keats
Partorire Endymion fu per John Keats una grande prova. Non solo per la maestosità dell’opera – composta di 4 libri e 4000 versi complessivi in distici eroici – ma perché Keats, confrontandosi continuamente con questo ideale di perfezione, fu preda di numerose insicurezze. Nella prima prefazione dell’Endymion, mai pubblicata, John Keats scrive:
“È stata una lotta impari. Prima di cominciare non mi sentivo capace di giungere alla fine; e nel procedere i miei passi erano incerti. Questo poema, dunque, deve essere considerato piuttosto come una prova che come una cosa compiuta: un povero prologo a quello che, dovessi vivere, spero umilmente di realizzare. Per dovere verso il pubblico non avrei dovuto pubblicarlo per un anno o due, conoscendone tutti gli errori, ma davvero non posso: a furia di ripetizioni i brani che preferisco suonano insulsi alle mie orecchie, e preferirei redimermi con un nuovo poema se questo non dovesse suscitare interesse” [nota 3].
Nonostante tutto, le critiche sorpresero enormemente John Keats che probabilmente se le aspettava più morbide. Se è vero però che l’opera presenta alcuni difetti – una certa immobilità narrativa, i continui svenimenti, alcune prolissità e immagini troppo eteree e inconsistenti – le stroncature furono decisamente più pungenti di quanto il poema meritasse.
E questo fu probabilmente determinato dal fatto che l’autore, di estrazione sociale bassa, con simpatie liberali e autodidatta, fu preso di mira dagli ambienti conservatori.
Tanti i momenti lirici elevati: il sacrificio al Dio Pan ai piedi del Monte Latmo, il primo incontro con Diana, il pellegrinaggio negli inferi e nel regno di Nettuno, anche se, come sottolinea Shelley, sono “profusi con inesperta dovizia”. I versi sono composti in un linguaggio aulico e straordinariamente evocativo e musicale.
Sebbene non possa considerarsi l’opera migliore di Keats, resta comunque la più rappresentativa di tutta la sua poetica: del confronto continuo con un ideale di poesia sempre più alto, capace di esprimere tutta la complessità della condizione umana in rapporto alla natura e alla spiritualità.
I poeti di allora additarono le stroncature a Endymion a causa della malattia di John Keats – morì di tisi a Roma nel 1821 – ma noi sappiamo che il poeta inglese non si scoraggiò mai. Al contrario, perseguì ostentatamente la ricerca di un linguaggio poetico elevato, sempre più adatto al suo empito tormentato ed emozionale, raggiungendo la perfezione con le odi, la tragedia Otho the great e The fall of Hyperion.
In questo senso, Endymion non è semplicemente l’opera vessillo della tensione artistica ed esistenziale di John Keats, ma un episodio letterario che ci dimostra quanto sia importante non lasciarsi abbattere dalle critiche e perseguire nel proprio ideale, anche a costo di mettersi contro il mondo.
Una lezione per tutti gli aspiranti scrittori e non solo.
Note
[1] Citazione tratta dalla lettera a B. Baley, 8 ottobre, 1817.
[2] Ibidem.
[3] In Keats, the critical heritage, cit. p. 76.
Fonti e letture consigliate
John Keats, Endimione, introduzione e traduzione di Caroina Fucci, 2009, Barberaeditore.
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