La vita dell'imperatore austriaco Francesco Giuseppe che condusse le sorti dell'impero Austro-Ungarico dal 1848 fino alla sua nemesi durante la Prima Guerra Mondiale. Dall'amore contrastato verso la famosa principessa Sissi alla disfatta dell'Impero cominciata con l'attentato di Sarajevo nel 1914, passando per una possibile alleanza anglo-austriaca anteriore al conflitto, scopriamo i molti punti in cui la storia mondiale avrebbe potuto cambiare il proprio corso.
- Prima parte
- Seconda parte (questa pagina)
Una salda alleanza
Segnato nella vita personale, l'Imperatore tentò di consolarsi cercando il bene del proprio paese. L'Austria, battuta dalla Prussia nel 1867, aveva perso buona parte del proprio prestigio internazionale e soprattutto era circondata da nazioni ostili. A Sud l'Italia e l'Impero Ottomano, a Est la Russia, a Ovest la Germania. Eppure, Francesco Giuseppe riuscì ad allearsi, smentendo i suoi detrattori politici che lo dipingevano come un inetto, proprio con le due nazioni che lo avevano sconfitto nel 1866. E' utile soffermarsi prima sull'alleanza con la Germania. Il patto di alleanza con lo scomodo vicino fu una questione più di simpatia personale che di ragione politica. In effetti, fintanto che Bismarck e il re di Prussia Guglielmo I rimasero in vita, la Germania fu vista come un'acerrima nemica. Solo con la morte del sovrano prussiano e la successione del figlio Guglielmo II, le cose cambiarono completamente.
Il Kaiser Guglielmo II. La sua amicizia personale con Francesco Giuseppe influenzò notevolmente i rapporti politici tra Germania e Austria-Ungheria. (Immagine in pubblico dominio, fonte Wikipedia)
Quest'uomo era molto più giovane di Francesco Giuseppe, eppure il vecchio imperatore vedeva in lui il prototipo del buon sovrano. Egli incarnava i tre principi su cui, secondo il pensiero asburgico, si basava la dignità imperiale: austerità della persona, rispetto delle tradizioni, governo retto e giusto del popolo. Guglielmo II possedeva, in effetti, tali qualità e Francesco Giuseppe ne fu attratto irresistibilmente. L'accordo di amicizia prima e di reciproca difesa poi comportò però delle gravi conseguenze a livello internazionale. Anzitutto la inimicizia tra Germania e Russia non poteva sopportare un'alleanza con l'Austria, perciò lo stesso zar si rifiutò di rinnovare il patto di non aggressione che esisteva con Vienna, ravvivando il pericolo alle frontiere orientali. Inoltre, la Germania e l'Austria avevano interessi contrari per quel che concerneva la politica estera. Mentre Guglielmo II spingeva per un allargamento delle frontiere in Alsazia e oltremare, in Africa, Francesco Giuseppe non aveva alcun interesse nell'espansione coloniale anche perché la limitata potenza marittima austriaca faceva propendere l'imperatore per un saldo potere continentale, da guadagnare a scapito dell'Impero Ottomano.
Dal momento che gli Austriaci e i Russi avevano un nemico in comune, i Turchi appunto, una retta politica estera avrebbe consigliato di mantenere buone relazioni con lo sconfinato stato moscovita. Invece, una simile condotta fu completamente disattesa. A ingarbugliare i rapporti con la Russia giunse la guerra russo-giapponese del 1905. Lo zar, nella sua corsa di conquista verso l'Oceano Pacifico, si era scontrato con la nascente potenza militare della nazione del Sol Levante e ne era uscito sconfitto. Lo smacco subito limitò per alcuni anni le azioni della Russia e ciò fece credere ai diplomatici austriaci che l'alleanza con la Germania si fosse rivelata la via giusta per salvaguardare gli interessi dell'Impero asburgico. Tuttavia, dopo quel breve periodo di malessere interno ed esterno, la Russia zarista ritornò a sognare una nuova espansione, non più verso Oriente, dove il Giappone si era dimostrato più forte, ma verso Occidente, ai danni dei Turchi e indirettamente degli Austriaci.
Guglielmo II si mostrava al mondo come un uomo sicuro della forza della propria nazione e pronto a farne sentire la voce ovunque egli ritenesse che potessero esistere degli interessi tedeschi. Era una reale conoscenza delle potenzialità della Germania o unicamente un bluff? La verità potrebbe risiedere in entrambe le risposte. La Germania era economicamente e militarmente meno forte della coppia di alleati Francia-Gran Bretagna e necessitava di un appoggio esterno per sostenere la sfida lanciata da Parigi e Londra. Un alleato che però non fosse né troppo forte né troppo invadente.
L'Austria era l'ideale, in quanto era in una fase di netta decadenza pur conservando una forza militare di tutto rispetto e, inoltre, lo scarso interesse per la conquista coloniale toglieva un concorrente nell'accaparramento delle materie prime africane. La simpatia che Francesco Giuseppe nutriva nei confronti del Kaiser fu, quindi, solo un vantaggio che si aggiunse alla precisa volontà di Guglielmo II di mantenere salda l'alleanza. La debolezza sia dell'Impero austriaco sia del suo imperatore fu dimostrata più volte a livello diplomatico in ogni occasione di crisi che si presentò fino dal 1905, anno della Conferenza di Algesiras, quando a Vienna si seguirono pedissequamente le decisioni che erano state prese a Berlino. Ormai, il destino delle due potenze centrali era indissolubilmente legato.
Una strana alleanza
Di tutt'altro genere furono i rapporti con l'altra nazione facente parte della Triplice Alleanza, l'Italia. Essa si era inserita in un accordo di amicizia con l'Austria e la Germania unicamente per un moto di risentimento nei confronti dell'alleata tradizionale, cioè la Francia. Il governo italiano negli ultimi due decenni del diciannovesimo secolo aveva intrapreso una politica di espansione coloniale in Africa, scegliendo la Tunisia, che dista poche centinaia di chilometri dalla Sicilia, come territorio privilegiato di infiltrazione politica. Nel 1881, approfittando della gravissima crisi finanziaria del Sultanato di Tunisi, lo stato transalpino riuscì a imporre il proprio protettorato. L'Italia si sentì tradita e, dopo aver raffreddato i rapporti con Parigi, si era spinta a firmare nel 1882 un trattato di difesa con le Potenze Centrali che sarebbe stato più volte rivisto e sottoscritto.
Così, tecnicamente, Austria e Italia erano alleate. Ciononostante, i rapporti tra le due nazioni furono sempre poco amichevoli. Francesco Giuseppe aveva incontrato personalmente Umberto I e Vittorio Emanuele III una sola volta e addirittura per quel che riguarda quest'ultimo, l'incontro era avvenuto durante i funerali dell'Imperatrice Elisabetta. L'imperatore austriaco non aveva mai restituito la visita in Italia per motivi di chiara politica estera. Secondo il suo pensiero, un imperatore cattolico non avrebbe mai potuto visitare Roma, la capitale del Regno d'Italia, ma anche la sede del Pontefice, senza oltraggiare il Vaticano, ancora nemico giurato dello stato che lo ospitava. Tuttavia, nonostante queste premesse poco esaltanti, Francesco Giuseppe e Vittorio Emanuele III ripeterono la propria reciproca fiducia nel rispettivo alleato, sia pubblicamente sia privatamente, almeno stando a quanto ci è raccontato dal Margutti. Se gli stessi sentimenti avessero guidato le azioni dei due governi, probabilmente parte degli errori che avrebbero condotto alla Prima Guerra Mondiale sarebbero stati evitati.
Da una parte, il Primo Ministro Giolitti a più riprese intrecciò contatti e abboccamenti con la Francia e la Gran Bretagna, dall'altra Aehrenthal non perse occasione per creare attriti con l'Italia. E' proprio la figura di quest'ultimo a ergersi, in negativo, sopra tutti i suoi contemporanei. In soli cinque anni di potere, dal 1906 al 1911, egli riuscì ad alienare ogni amicizia per l'Austria e a danneggiare quell'unico bene che ancora essa conservava a livello internazionale: la rispettabilità. Da un uomo di riconosciuta intelligenza e acume diplomatico ci si sarebbe aspettato ben altro, ma così non fu. Vediamo in sintesi quali furono i suoi errori.
La provincia ottomana della Bosnia-Erzegovina con il trattato di Berlino del 1878 era stata occupata dalla truppe austriache. La sovranità formalmente restava del sultano, ma il controllo diretto del territorio era in mano a Vienna. Nel 1907-08 la Turchia fu attraversata da grandi cambiamenti politici con l'ascesa al potere dei Giovani Turchi che pretendevano di riportare l'Impero Ottomano ai fasti di un tempo. Per ottenere ciò si dovevano eliminare le giurisdizioni che gli stati stranieri avevano sui propri cittadini in territorio turco e il controllo che quelle stesse nazioni avevano su città e regioni turche per tradizione. Per tentare un riavvicinamento con i nuovi governanti turchi, Aehrenthal propose un piano di aiuti economici che prevedeva la costruzione di una linea ferroviaria che attraversasse il Sangiaccato di Novibazar nel Kossovo e proseguisse poi fino a Istanbul. Fu sufficiente rendere pubblico il progetto (che mai fu portato a termine) per scatenare un putiferio. Nel trattato d'alleanza con l'Italia, al paragrafo 7, era espressamente previsto che le due nazioni non si impegnassero in azioni di espansione nei Balcani e la costruzione della ferrovia era vista come un accerchiamento della Serbia in vista di una sua sottomissione. Alla stessa conclusione non giunse solo l'Italia, ma anche la Russia. Aehrenthal era stato ambasciatore d'Austria in quel paese e credeva di conoscere a fondo la mentalità dello zar e in particolare del suo ministro degli esteri Izvolsky.
I due si incontrarono il 15 settembre 1908 a Buchlau, in una Conferenza di cui non esiste documentazione scritta. Da alcune testimonianze si può dedurre che Aehrenthal abbia offerto il libero transito alla flotta russa attraverso i Dardanelli in cambio del permesso dello zar di commettere un'azione chiaramente illegale secondo il Trattato di Berlino e cioè l'annessione ufficiale della Bosnia-Erzegovina all'Austria. Izvolsky negò più volte di aver mai dato quel consenso, né ufficiosamente né, tanto meno, ufficialmente. Sta di fatto che la Russia non mosse un dito per impedire il trasferimento della Bosnia all'Impero Austro-Ungarico.
La violazione di ben due trattati internazionali (il trattato di Berlino del 1878 e il Trattato d'alleanza con l'Italia), mise in crisi le relazioni diplomatiche con l'Italia. La denuncia del trattato di mutua difesa fu evitato per la mancanza di vere alternative per Roma. Se possibile, l'affronto fatto all'Italia nel 1911 fu ancora maggiore. Essa si era impegnata in una guerra contro la Turchia per impossessarsi della Libia, ritenuta l'unica valvola di sfogo per la sovrapproduzione commerciale italiana. Per tutta la durata del conflitto, che fu lungo e duro per entrambe le nazioni contendenti, sia l'ambasciatore tedesco sia quello austriaco a Istanbul istigarono il sultano a protrarre la guerra con ogni mezzo, arrivando al punto di foraggiare i rifornimenti militari. Francesco Giuseppe affermò più volte in pubblico di non comprendere per quale ragione il suo governo avesse un tale comportamento nei confronti di un alleato, ma la sua volontà contraria si fermò alle parole. L'Italia, che negli strati più bassi della sua popolazione non aveva mai sopportato l'amicizia con la vecchia nemica, si allontanò da essa in via definitiva.
Un'alleanza mancata
Il re di Gran Bretagna Edoardo VII. Fu sul punto di stringere un'alleanza con Francesco Giuseppe, la quale avrebbe potuto modificare gli equilibri di potere nell'Europa del primo '900. (Immagine in pubblico dominio, fonte Wikipedia)
Tra il 1905 e il 1908 e in misura minore tra quell'anno e il 1910, per l'Austria fu aperta anche la via di una terza alleanza che avrebbe mutato profondamente tutti gli equilibri continentali. Nel 1901 era morta la Regina Vittoria d'Inghilterra, con la quale Francesco Giuseppe aveva avuto solo rapporti formali, ed era salito al trono il figlio Edoardo VII. L'intelligenza e la sagacia politica del nuovo sovrano affascinarono l'Imperatore austriaco nella stessa misura in cui vi era riuscito Guglielmo II. Fino al 1904, questa affinità "elettiva" tra i due regnanti si era limitata allo scambio di cortesie quali la richiesta di suggerimenti militari che il re inglese, più giovane e rispettoso dell'esperienza del proprio interlocutore, sottoponeva con sempre maggiore frequenza a Francesco Giuseppe. Dalla data poc'anzi ricordata, Edoardo VII prese l'abitudine di trascorrere parte dell'estate in Austria, nella rinomata località termale di Marienbad. Le visite furono sempre in forma privata e si ripeterono per alcuni anni. Ogni volta che Edoardo giungeva in Austria, si affrettava a richiedere un colloquio a Francesco Giuseppe presso la sua residenza estiva di Ischl. Sappiamo, grazie alla testimonianza di Margutti, che nel 1905, nel bel mezzo della guerra russo-giapponese, i due sovrani rimasero a parlare da soli, senza alcun seguito, per un intero pomeriggio.
L'argomento della loro lunga chiacchierata fu il medesimo di altri colloqui informali: la possibilità di un'alleanza austro-inglese. Effettivamente, in quell'anno la situazione si prospettava favorevole a un simile azzardo, in quanto la Russia era stata sonoramente battuta dal Giappone e perciò non costituiva una seria minaccia. Quali erano i vantaggi che la Gran Bretagna poteva ottenere da un'alleanza con l'Austria-Ungheria? Sostanzialmente uno solo, ma di vitale importanza. Se Francesco Giuseppe avesse ceduto alle lusinghe di Edoardo VII, la Germania si sarebbe ritrovata completamente accerchiata e ridotta a più miti consigli. L'accordo ebbe grandi possibilità di verificarsi fino al 1908, quando Aehrenthal con la sua avventatezza, riuscì nel difficile compito di trasformare agli occhi inglesi la docile monarchia danubiana in una nazione espansionista e colonialista. Oltre tutto, nel momento della crisi bosniaca, la Germania non abbandonò mai l'alleato, dimostrandosi amica fidata. Francesco Giuseppe vide in quel comportamento la conferma della sua fiducia personale in Guglielmo II.
Qualche porta rimase ancora aperta fino a che Edoardo VII fu in vita. Alla sua morte nel 1910, il successore Giorgio V interruppe ogni tentativo di attrarre l'Imperatore Austriaco dalla propria parte. Così si cristallizzarono le posizioni, da una parte la Francia e la Gran Bretagna legate dall'etente cordiale (intesa cordiale) a cui si sarebbe presto aggiunta la Russia, dall'altra la Triplice Alleanza, zoppa per la malcelata ostilità dell'Italia.
Sarajevo: l'ora fatale
Gli equilibri balcanici, precari per natura, si ruppero irreparabilmente durante le guerre che nel periodo 1912-13 videro prima le piccole nazioni slave di quella regione allearsi contro l'Impero Ottomano e poi combattere tra loro per la spartizione dei territori strappati al nemico turco. Dal caos della guerra nacque una Serbia nazionalista e forte, grazie anche all'appoggio della Russia. Negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale, la politica del governo di Belgrado non fu molto dissimile dalla condotta dell'Italia. Esso supportò con ogni mezzo l'irredentismo delle popolazioni di lingua slava che vivevano all'interno dell'Impero asburgico, per concretizzare quel sogno della Grande Serbia che avrebbe insanguinato buona parte del ventesimo secolo. Se Vienna poteva anche tollerare una lieve ingerenza nei propri affari interni a patto che provenisse da un alleato qual era l'Italia, nessuno avrebbe mai sopportato un simile comportamento da parte dell'invadente Serbia. I rapporti personali tra Francesco Giuseppe e Pietro Karageorgevic, divenuto re di Serbia dopo l'assassinio di Alessandro Obrenovic, non avrebbero potuto essere peggiori neppure in tempo di guerra. L'Imperatore considerava il sovrano serbo alla stregua di un avventuriero privo di scrupoli. Eppure bisognava convivere con lo scomodo vicino.
Il Kronprinz (principe ereditario) austriaco Francesco Ferdinando. Il suo assassinio a Sarajevo scatenò una serie di eventi che avrebbe condotto alla Prima Guerra Mondiale. (Immagine in pubblico dominio, fonte Wikipedia)
Fu proprio per smorzare gli ardori dell'irredentismo slavo che fu organizzato il viaggio dell'Arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo, nella Bosnia occupata. L'erede al trono non era mai stato molto simpatico al vecchio zio Imperatore. Certo, condividevano le stesse idee conservatrici, ma Francesco Ferdinando le esponeva con un'ottusità che irritava anche l'illustre parente. Ad aggravare l'antipatia personale vi era stata anche l'ostinazione con cui il Kronprinz (principe ereditario) aveva preteso di sposare la contessa Sofia Chotek che, sebbene di nobili origini, non faceva parte di quella stretta cerchia di famiglie regnanti o principesche che conservavano il diritto di unirsi in matrimonio con la casata degli Asburgo. La dispensa imperiale alla fine era arrivata, ma Sofia non avrebbe mai potuto ottenere il titolo di Arciduchessa, né di Imperatrice. Non ce ne fu comunque bisogno, perché il marito fu assassinato nella città bosniaca durante quella visita ufficiale.
L'organizzazione e il perfezionamento dell'attentato hanno dei caratteri grotteschi. Gli attentatori, in tutto sei, ebbero modo di prendere tranquillamente il treno da Belgrado a Sarajevo, senza che nessuno si sentisse in dovere di perquisirli alla frontiera. Princip, colui che poi avrebbe compiuto materialmente l'assassinio, portava già con sé la pistola che avrebbe sparato.
Non che ce ne fosse bisogno, dato che il primo tentativo di uccidere l'arciduca fu fatto con una bomba. Uno dei componenti del gruppo armato, Cabrinovic, nella mattina del 28 giugno 1914, poté profittare dell'abitudine di Francesco Ferdinando di girare tra la folla senza scorta per scagliare contro la sua autovettura una bomba a mano che solo miracolosamente mancò il suo bersaglio distruggendo un'altra auto. L'attentatore, prima di essere linciato dalla folla inferocita, si diede la morte col cianuro, prevenendo gli interrogatori che avrebbe svelato la presenza di altri anarchici (o presunti tali) pronti a tutto.
Lo spavento personale della moglie Sofia non impedì a Francesco Ferdinando di proseguire la propria visita come programmato con un discorso da tenersi al Municipio di Sarajevo. Fu l'ultima volta che parlò in pubblico. Il buon senso avrebbe consigliato di abbandonare la città il più in fretta possibile una volta espletato il suo dovere ufficiale. Invece, fu solo concordato di cambiare l'itinerario dell'attraversamento del centro cittadino. Qui si inserisce il secondo elemento farsesco della tragica vicenda. L'autista personale dell'Arciduca non fu avvisato del cambiamento del programma e all'uscita del Municipio imboccò la strada prevista al mattino, riconducendo l'ignaro passeggero verso il suo destino. Ancora, Francesco Ferdinando avrebbe potuto salvarsi, perché la velocità dell'automobile era troppo elevata per consentire di sparare con precisione, ma l'autista, una volta avvertito dell'errore fermò l'auto per tornare indietro, proprio di fronte all'attentatore Princip. Sia l'Arciduca sia la moglie furono colpiti a morte, con precisione da tiratore scelto.
La nemesi austriaca
L'attentatore di Sarajevo, Gavrilo Princip, fotografato durante il periodo della sua detenzione (Nota di copyright)
Le conseguenze del terribile gesto non furono immediate. L'indagine austro-ungarica rivelò che alcuni dei cospiratori facevano parte dell'esercito serbo, ma non si ebbe modo di collegare il fatto con un ordine diretto proveniente dalle alte sfere del governo di Belgrado. Incredibilmente, l'attentato compattò tutte le etnie dell'Impero Asburgico, anche quelle di origine slava che ancora si identificavano nella figura dell'Imperatore e di conseguenza nel Kronprinz. A Vienna, la situazione era molto confusa. Dopo i funerali dell'Arciduca, fu convocata una Conferenza straordinaria dei Ministri dell'Austria e dell'Ungheria. In essa si formarono due correnti di pensiero. La prima che considerava assolutamente necessario punire con la forza la Serbia per l'affronto subito. La seconda che reputava ancora aperta la strada diplomatica che avrebbe dovuto condurre all'umiliazione serba, ma non allo scontro armato.
Fautore dell'ultima concezione fu il ministro ungherese Tisza che poteva contare sull'appoggio di Francesco Giuseppe. Il vecchio imperatore, come abbiamo ricordato, non nutriva affetto per il nipote ed era contrario alla guerra, per l'imprevedibilità dei risultati. I circoli militari garantivano però che un conflitto con Belgrado sarebbe rimasto localizzato, senza nessun intervento delle altre grandi potenze. Non si hanno notizie di quali fossero le informazioni su cui erano basate tali affermazioni, eppure dovevano avere qualche fondamento dato che esse presto si diffusero anche tra la popolazione.
Il grande impegno dei moderati guidati da Tisza ebbe successo nel ritardare una decisione affrettata, tanto che i lavori della Conferenza si protrassero per diverse settimane. Più i giorni passavano, più la posizione del governo austriaco peggiorava. L'immobilismo nei confronti della Serbia stava esasperando gli animi della popolazione che lo sentiva come un nuovo affronto. Di fronte alle insistenze dei "falchi", la delegazione di Tisza si dovette arrendere e accettare che fosse inviata alla Serbia una comunicazione ufficiale con le richieste austro-ungariche. Il ministro ungherese ottenne da Francesco Giuseppe che tale comunicazione conservasse il nome di Nota diplomatica. La finzione nominalistica non poteva nascondere che il documento era, in definitiva, un ultimatum. Ciò si desumeva dal breve tempo richiesto per la risposta, appena due giorni dalla data della consegna (25 Luglio 1914), e dal tenore del contenuto che era il seguente:
- Condanna ufficiale della propaganda anti-austriaca nel territorio serbo.
- Riconoscimento da parte della Serbia del coinvolgimento di ufficiali del proprio esercito nell'attentato a Francesco Ferdinando.
- Il governo serbo doveva provvedere con la massima celerità all'istituzione di una commissione d'inchiesta per la punizione di quei militari che fossero stati riconosciuti colpevoli di propaganda anti-austriaca. Alla commissione avrebbero partecipato anche dei funzionari austriaci di nomina imperiale.
- Le autorità e l'esercito austriaco avrebbero partecipato alla repressione dell'attività irredentista.
- Gli attentatori che si erano rifugiati in Serbia (Tankosic e Ciganovic) dovevano essere immediatamente arrestati e il processo si doveva svolgere in collaborazione con l'autorità giudiziaria austriaca.
- I funzionari amministrativi che si erano dimostrati pubblicamente a favore dell'irredentismo, dovevano essere deposti dai loro incarichi con effetto immediato.
- Tutte le condizioni della Nota dovevano essere rese pubbliche con una comunicazione ufficiale del governo serbo.
E' evidente come una qualunque nazione non avrebbe mai potuto accettare delle così grandi limitazioni alla propria sovranità. L'alternativa era la guerra. Un'alternativa ben chiara alla Serbia che, il giorno stesso della consegna della Nota, cominciò la mobilitazione generale dell'esercito. A Belgrado ci si aspettava un attacco austriaco poche ore dopo la scadenza del termine previsto per la risposta e non si voleva perdere tempo. Se i vertici militari del paese slavo avessero saputo in quale caos si dibatteva il governo austriaco, avrebbe avuto meno timori.
Francesco Giuseppe aveva accettato di firmare la Nota solo dopo ampie garanzie che nessuna tra Francia, Gran Bretagna e Russia avrebbe obiettato. Invece la fulminea mobilitazione dell'esercito zarista lasciava intravedere l'esatto contrario. Le truppe asburgiche non erano pronte. Solo il giorno 27 fu ordinata una mobilitazione parziale, chiamando alle armi uomini a sufficienza solo per fronteggiare il nemico a Sud, lasciando sguarnito il fronte orientale. L'imperatore, mal consigliato, credeva ancora che la Russia non avrebbe dichiarato guerra all'Austria. Nella notte tra il 27 e il 28 Luglio si svolsero le ultime febbrili trattative per scongiurare il conflitto, senza risultati. Il mattino seguente la dichiarazione di guerra alla Serbia divenne realtà.
Dalle memorie del Margutti possiamo trarre una frase del conte Paar, stretto collaboratore dell'Imperatore, che rispecchia i sentimenti di molti illustri politici austriaci del tempo nei confronti di Francesco Giuseppe: "Tutto questo può anche essere giusto, ma [...] a 84 anni non si sottoscrive un manifesto di guerra!"
Tutto ciò che seguì quella data - il rapido susseguirsi delle dichiarazioni di guerra tra le nazioni dell'Intesa e della Triplice, le mobilitazioni generali delle popolazioni del continente europeo e i massacri che cominciarono sulle vaste pianure d'Europa - esula dall'oggetto di questo scritto e non verrà trattato. Ci soffermeremo solo sulla considerazione che quando il 21 Novembre 1916 l'Imperatore Francesco Giuseppe morì, egli lasciò l'Austria in una posizione di forza, in difesa solo sul fronte italiano, ma senza affanno. La Russia era stata ricacciata dai territori dell'Ungheria di cui si era impossessata nei primi mesi di guerra e la Serbia era sul punto di capitolare. Nuovi alleati (la Bulgaria e l'Impero Ottomano) avevano rafforzato le Potenze Centrali e il futuro pareva roseo. Egli non seppe mai che il 28 Luglio 1914 aveva firmato la condanna a morte della propria nazione.
Tracciare un bilancio della vita di Francesco Giuseppe può essere difficile. Il suo regno durò 68 anni, costellati di guerre e distruzioni. Personalmente amava la pace, ma fu spinto più volte alla violenza e alla guerra da una concezione arretrata delle relazioni internazionali. Fu un buon capo di governo? Non si può affermarlo. Fu un buon sovrano per il proprio popolo? Neppure. Sarebbe però ingiusto ritrarlo come il modello ante litteram di "Uomo senza qualità" descritto da Robert von Musil. Egli fu, soprattutto, un uomo che sopportò stoicamente i dolori personali e condusse l'Austria nel modo migliore che le qualità concessegli dal Destino, o chi per esso, gli consentivano.
- Prima parte
- Seconda parte (questa pagina)
Nota di copyright: l'immagine indicata è utilizzabile liberamente per qualsiasi scopo, privato o commerciale, purché si riporti un collegamento web a Photos of the Great War
Fonti e letture consigliate:
"L'imperatore
Francesco Giuseppe", Alberto Friederich von Margutti, Fratelli Melita
Editore;
"Il tramonto di un impero: la fine degli Asburgo", Edward
Crankshaw, Mursia Editore;
"Cecco Beppe regnò per 68 anni, ma non in casa sua.", Sergio Stocchi, Historia Editrice Quadratum.
Copyright © 2006-2024 Gianluca Turconi - Tutti i diritti riservati.