Yuri Malacorte era un poliziotto da dieci anni e solitamente perquisiva chi tremava, blaterando di allucinazioni e raccontando storie assurde.
Si trattava con certezza di tossici persi nei loro viaggi chimici.
Ma per un ribaltamento del Karma, questa volta era lui in quel ruolo.
E sia le visioni sia l'episodio inverosimile erano assolutamente reali.
Aveva subito un rapimento alieno e ora vedeva le persone affiancate da una bara verdastra, al fianco di chiunque incrociasse.
Era come diceva Rilke: ognuno si portava dietro dalla nascita la propria morte, ma in un senso macabro e letterale.
Il fatto era accaduto una settimana prima, mentre rientrava a notte fonda dal servizio.
Yuri era incupito e incazzato, come d'abitudine, del resto.
C'era sempre qualcosa per essere incupito e incazzato, nel suo lavoro. Violenza o droga o qualche collega corrotto. Oppure i tre elementi insieme, giusto per gradire.
Fuori, tra le casupole diroccate, la notte continuava a fluttuare immobile. Eppure sapeva che la notte usava mascherarsi per nascondere ciò che di malato albergava in lei, per proteggere ciò che viene fatto di innominabile nelle sue ore e che di giorno non può essere neppure sospettato.
Una notte milanese, con l'aria densa e inquinata che svolazzava tra i tetti come una libellula nera e, in lei, un poliziotto cinico e sociopatico.
Di certo, non poteva amare i suoi simili, con ciò che vedeva ogni giorno.
Rientrava a piedi, i pugni rabbiosi stretti in tasca, passi veloci sul marciapiede di periferia, opaco come una corazza d'insetti.
E nei suoi pensieri, quella notte, c'era rabbia per due colleghi corrotti della narcotici e nessuno spazio per inabissamenti metafisici.
Fino a quando non vide una luce smeraldina, sopra il tetto di un casermone popolare.
Una chiazza luminosa che si muoveva rapidamente nell'aria notturna.
Un cilindro sospeso in aria, alonato da luce ambrata che si protendeva verso il suolo.
Yuri capì che quella luce si avvicinava a lui e che da quell'UFO, Dio come gli suonò strana quella parola nella sua mente, si concentrava un'attenzione aliena nei suoi confronti.
Si voltò per fuggire, mentre si sentiva ingoiare da un torpore onirico.
Alzò il capo e si vide all'interno di una sala dalle pareti metalliche, sentendosi annebbiato. Faticava a connettere.
Dalle pareti fuoriuscì una nebbiolina brillante, un vapore dorato che si raggrumò davanti ai suoi occhi appannati.
Il chiarore fluorescente contornò due figure antropomorfe e si solidificò.
Yuri si ritrovò, con la gola secca e il cuore martellante come una batteria elettronica, a fissare due umanoidi dalla pelle rossa, nudi, sempre che quella fosse la loro pelle, e immobili a tre metri da lui.
I loro crani erano allungati verso l'alto, gli occhi molto larghi, coperti da una patina che cambiava colore, da verde a dorato.
Avevano labbra sottili, altezza media e snelli.
Yuri non ebbe forza per dire una parola. Ci pensarono i suoi ospiti.
- Non temere, vogliamo solo parlarti - disse uno.
Aveva una voce priva di tono, piatta.
- Abbiamo dei nemici in comune - aggiunse l'altro.
Continuarono così, alternandosi.
- Veniamo dalla stella di Gamma Corvi. Siamo i Goblin e siamo in guerra da milioni d'anni con gli Dei Orrorifici - proseguì il primo.
Gamma Corvi, Goblin, Dei Orrorifici.
Yuri intuì che stessero usando quei nomi per dare un significato a lui comprensibile a creature e luoghi al di là delle sue capacità razionali.
- Da quando Essi, i Profondi, estesero il dominio al nostro cosmo - riprese il secondo alieno.
Incredulo, Yuri spostò lo sguardo tra i due alieni.
- Abbiamo scoperto che sono tornati da voi. Sconfiggeteli o dovremo distruggere questo mondo.
- Co... come distruggere...? - farfugliò Yuri.
- Essi allungano il loro potere nei vostri sogni, in ciò che chiamate incubi - lo istruì il primo, impassibile dietro gli occhi scintillanti come rari minerali.
- Avrai il potere di vederli e potrai avvisare gli altri umani. Servitevi della scienza arcana che abbiamo impiantato su questo mondo secoli or sono, ciò che voi chiamate magia, per ricacciarli da dove provengono. Altrimenti dovremo fermare il loro diffondersi sacrificando la vostra razza - concluse il secondo, un attimo prima di sparire come sogno fuggente.
Yuri rimase da solo nella camera metallica. Aveva ancora mille domande da porre, non gliene concessero nemmeno una.
Un flash purpureo si dilatò dagli occhi a ogni nervo.
Svenne.
Si risvegliò sdraiato sul marciapiede umido, poco lontano da casa sua.
Scosso e intontito, si rialzò.
Reagì presto con imprecazioni e calci al muro, chiedendosi cosa cazzo fosse successo.
Si disse di aver avuto un episodio di narcolessia, un travisamento sensoriale, uno sbroccamento cervellotico.
Reagì, come era sua abitudine, con un fiotto di rabbia compressa.
Era accaduto, comunque.
Rientrò a casa, dove lo attendeva Boris, il gatto persiano bianco, che lo fissò a lungo, interrogativo.
Yuri cominciò un suo lento revisionismo della realtà.
Stress, nient'altro che stress. Ecco a cosa ti porta farti il culo tra spacciatori e ladri!, pensò.
Si versò una massiccia dose di vodka.
Non è successo un cazzo... Per pochi minuti mi sono collassati i nervi... Stanchezza, sì, stanchezza... Forse dormivo in piedi. E comunque sia è stata una stronzata momentanea.
Si sdraiò sul letto.
Prima di addormentarsi sentì una fastidiosa pulsazione dietro i globi oculari. La pressione sanguigna doveva essergli schizzata alle stelle.
Intontito, al risveglio, si accorse subito che qualcosa non andava.
Che sogno del cazzo ho fatto, pensò immediatamente prima di aprire gli occhi.
Poi li sgranò per lo stupore.
Minuscole fiammelle color malva e rosso scintillavano nei soprammobili e nel pelo di Boris che zampettava sulla moquette.
Sobbalzò sul letto, bestemmiando e sfregandosi gli occhi, ma tutto restò inalterato.
O meglio, tutto era leggermente alterato: minuscole configurazioni luccicanti si agitavano sulla superficie degli oggetti, grappoli di puntini luminosi che si accendevano e spegnevano.
Yuri corse alla finestra, la spalancò.
Alla luce del giorno l'effetto ottico permaneva. Sulla prospettiva dei tetti c'era un velo lucente, come minuscoli cristalli fiammati incastonati su tegole e travi.
Sbigottito ripeté come una litania, a voce alta: - Che cazzo succede? Che cazzo mi prende?
Ovunque voltasse lo sguardo vedeva lo scenario famigliare punteggiato di luce, come un quadro fauvista luminoso e tridimensionale.
Si stropicciò gli occhi a più riprese, ma l'effetto psichedelico non passò.
Si era impiantato in lui, come una percezione addizionale e permanente.
Tanto confuso quanto spaventato, Yuri si vestì e uscì.
Doveva parlarne con qualcuno, anche se non sapeva con chi.
Mentre camminava, notò che su alcune porte di palazzi brillavano geroglifici sinistri, come murales fluorescenti visibili solo a lui.
E poi la gente...
I passanti, senza esclusione, erano seguiti da quelle maledette bare fluttuanti, color smeraldo.
Come ombre che si stagliavano a fianco delle persone, galleggianti sopra la folla inconsapevole, invisibili compagni, per chiunque, tranne per lui,
Yuri avanzò a passi pesanti, osservando gli studenti che entravano al liceo, le loro risate gli giunsero svuotate, mentre li vedeva seguiti dal proprio catafalco.
Una ragazza bionda ricambiò irritata la sua occhiata insistente, ignorando che non era la sua minigonna che guardava a bocca aperta, ma la bara che la seguiva come un bassotto al guinzaglio.
A fatica, Yuri cercò di razionalizzare.
Rifletté che non era impazzito, perché la trama dei suoi pensieri era coerente, lucida come sempre.
Era la percezione visiva a essere sballata e gli mostrava moduli ripetitivi di allucinazione.
Puntini luminosi, bare fluttuanti sulla gente e geroglifici sui portoni.
Si avvicinò a un palazzone livido per osservare meglio questi ultimi.
Erano tre simboli, triangoli rovesciati in cui erano inscritti un drago, una minuscola mummia e una coda di scorpione.
Segni grafici stilizzati, con ghirigori angolosi.
Emettevano una lieve fluorescenza bluastra, come pesci abissali.
Provò a sfiorarli, ma erano evanescenti come gas nobili ed erano sinistri, gravidi di una minaccia che non riusciva a definire.
Tornò a guardare la strada, vedendovi sovrapposte scene visionarie.
Un uomo elegante uscì da un taxi, trascinandosi alle spalle una bara poco più piccola di lui. Una donna con un Labrador uscì da un portone scarabocchiato dalle rune fantasma.
Yuri si sforzò di recuperare calma e concentrazione, inspirò più volte, poi riprese a camminare, facendo finta di non vedere la sarabanda delirante attorno a sé.
Gli venne in aiuto il cinismo che aveva già sviluppato rigogliosi in ventotto anni di vita.
Doveva sopravvivere a quella pazzia.
Riuscì ad adattarsi e muoversi con disinvoltura tra persone sovraesposte a un carnevale macabro.
Arrivò al comando di polizia sui Navigli dove lavorava.
- Sei in ritardo e hai la faccia di merda! - lo accolse appena entrato Masini, il commissario.
- Ho un inizio di influenza, credo. E un gran mal di testa - provò a giustificarsi Yuri, sforzandosi di non fissare la bara che Masini si portava dietro come uno zaino.
- Ovvio, nella testa hai solo merda e muffa. Ora alza il culo che devi fare il giro.
Yuri sapeva di non esser ben visto, era stato sottoposto a diverse sanzioni disciplinari. Aveva estorto denaro ad alcuni travestiti e spacciatori, e aveva fama di esser corrotto. La cosa aveva sempre solleticato il suo humor, visto che sapeva cose imbarazzanti su molti colleghi che lo evitavano.
Si sarebbero dovuti togliere strati su strati di marciume per trovare in lui la ferita che lo aveva incattivito: quando era rimasto impotente di fronte a un collega morente per la coltellata di un teppista.
Una concatenazione di speranze si era sgretolata da allora, lasciando un nichilismo rancido su tutto.
Conosco bene la faccia di un cinico, in ogni cesso c'è uno specchio.
Era la frase che si ripeteva da anni e vi si atteneva.
Immaginò che la ronda quella mattina sarebbe stata insopportabile con ciò che vedeva. E non sbagliava.
Dal finestrino della volante osservò persone seguite da quell'invisibile simbolo mortifero, nebulose scintillanti sull'asfalto e marchi spettrali sulle porte.
Nel frattempo teneva una conversazione scurrile con l'agente Digilio che era alla guida.
Apparentemente una giornata di routine, dove riuscì a tenere nascosta l'ansia che lo corrodeva ogni volta che spostava lo sguardo.
Ogni movimento dell'occhio aumentava la tensione.
Quello di stanotte non è stato un sogno, ho davvero incontrato quei cazzo di Goblin! E mi hanno fatto qualcosa agli occhi..., pensò angosciato, mentre Digilio gli raccontava i dettagli piccanti della sua serata al night in centro.
I Goblin gli avevano detto che avrebbe dovuto individuare qualcosa o meglio qualcuno. Gli Dei Orrorifici, chiunque fossero. Non sapeva né cosa né come guardare.
Verso l'ora del tramonto incominciò a recuperare speranza. Le allucinazioni si affievolirono, le bare galleggianti sbiadirono, assieme agli altri effetti ottici.
Calata la sera, le uniche impressioni visive anomale furono i murales luminosi.
Per il resto, tutto era tornato normale.
Quando terminò il servizio si sentì abbastanza sollevato. Quella mezza normalità gli offrì un abbraccio sicuro.
Non aveva voglia di rientrare a casa.
Mangiò un panino gommoso in un bar vicino alla Stazione Centrale e camminò per ore, cercando di riordinare la successione dei fatti, chiedendosi a più riprese se dovesse andare da un neurologo o da un'esorcista. E, soprattutto, se le impressioni illusorie fossero definitivamente scomparse.
Consumò le suole delle scarpe, senza meta, ricordando le vivide stranezze del giorno e osservando con astio i segnali sui portoni.
Ho avuto davvero un incontro del terzo tipo?, si domandò innervosito. E di che cazzo parlavano, Dei Profondi in guerra con loro?
Si sedette su una panchina in Piazzale Meda.
Era esausto, ma rasserenato dall'affievolirsi delle allucinazioni.
Fu allora che vide il peggio.
Davanti al portone in legno di un palazzo a venti metri da lui, si levò dal suolo, con un sibilo, una cabina cubica.
Era larga tre metri circa e alta altrettanto, in metallo scuro, scolpita con arabeschi simili ai graffiti sulla porta.
Essa si aprì e ne uscirono tre figura inumane che lasciarono Yuri paralizzato dalla ripugnanza.
Erano umanoidi, alti circa due metri, indossavano dei cappotti di pelle color porpora, carichi di catenelle e bandoliere.
Le teste, simili a quelle di grotteschi elefanti, di colore livido, con tre proboscidi simili più a code di scorpione.
Le teste da pachidermi erano in certe zone lacerate e gocciolanti di un liquido denso, ed erano tatuate con linee discontinue. Al centro comparivano tre occhi interamente verdi.
Le silhouette surreali avanzarono verso il portone.
Reggevano tra le mani catene e affari simili a motoseghe. Camminavano lentamente, una lentezza da carnefici.
In quella camminata da boia, Yuri ebbe ancora tempo per osservarli, inorridito, memorizzando ogni particolare del loro aspetto.
Le grandi orecchie da elefante erano macchiate da chiazze verdastre di decomposizione, la proboscide centrale era scarlatta e dalla parte inferiore della testa sporgevano varie zanne inanellate.
Sparirono per un paio di minuti all'interno del palazzo, attimi per Yuri dilatati dalla paura.
Perché non mi alzo e me la do a gambe levate, si chiese attonito. Perché?
Sapeva la risposta, in fondo. Voleva sapere se quegli esseri erano i Profondi di cui gli avevano parlato.
Con tranquillità mortale, i tre esseri uscirono dal palazzo trascinandosi dietro due persone, incatenate per i polsi, con un uncino che trapassava il mento. Faceva male solo a vederlo.
Inorridito, Yuri vide l'uomo e la donna trascinati brutalmente da una delle creature che reggeva la catena.
L'essere innaturale li mise in mezzo al terzetto: due accesero le motoseghe, uno aprì il pesante libro nero.
Le motoseghe non mandavano alcun suono, tutta la scena era al silenziatore. Si udiva solo un mormorio sibilante generato dal mostro che leggeva, mentre gli altri due si accanivano sulle vittime.
Le motoseghe le decapitarono e sventrarono.
Yuri, ammutolito dalla nausea, osservò ogni particolare, anche perché i tre mostri emettevano una leggera fluorescenza verdognola.
Quando vide la pozza di sangue allargarsi sotto le braccia mutilate della donna, si alzò e scappò.
Pochi passi di corsa, fino ad arrestarsi di fronte a un altro ascensore che emergeva dal suolo.
Tagliò correndo in una via laterale e vide altri due teriantropi, quegli ibridi a metà strada tra uomini e Dio solo sapeva cosa, accanirsi con motoseghe su due adolescenti.
Poi si bloccò di botto.
Una compagnia di filippini era uscita da un ristorante, passando con noncuranza sulla scena del delitto.
Attraversarono i mostri e i cadaveri senza vederli.
Yuri trattenne il respiro, cercando di calmare la bufera nei nervi.
Li vedeva solo lui.
La scoperta gli strappò una risata isterica che non lo rese particolarmente ben visto dalla comitiva di passaggio.
Si spostò in una via più affollata.
Si accorse che da ogni portone segnato venivano trascinati fuori prigionieri umani, su cui quelle forme abominevoli infierivano.
Camminò lentamente, sforzandosi di far finta di nulla, per lasciarsi dietro quelle scene.
Diede una spallata a un tipo, cercando di evitare una testa che rotolava.
In un'occasione, fu così vicino al terzetto mostruoso che poté leggere il titolo del libro da cui recitavano una litania.
Alchemycum Venetianum.
Poi riprese a correre, perché quegli esseri lo avevano notato e si erano voltati verso di lui, osservandolo con freddi occhi lucenti.
Corse fino a trovare un taxi. Vi salì, ignorando le occhiate diffidenti dell'autista davanti a quel cliente pallido e stravolto.
Diede balbettando l'indirizzo di casa e poi si mise a guardare fuori dal finestrino le impalpabili violenze perpetrate all'ombra dei lampioni.
Percepì la logica sbiadire, il panico sparpagliarsi in ogni muscolo, il respiro veloce quanto i battiti del cuore.
- Si sente bene? - chiese il tassista.
- No, amico, sono in una storia di merda, in un bunker di merda!
Quel tizio doveva averne viste anche di peggio e non diede gran peso al suo sfogo.
Quasi sbattuto giù dal taxi davanti casa, salì di corsa le scale e si mise alla finestra.
Li vedeva nitidamente nella strada male illuminata: alte figure d'orrore che torturavano persone tremanti.
Tra i tormentati, riconobbe Ivana, la giornalaia di zona, decapitata da un fendente di motosega.
- Non sono allucinazioni - si convinse Yuri, infine. - Sono troppo ordinate e dettagliate, qualsiasi cazzo di cosa stia accadendo è reale. Qualcosa di reale che non appartiene alla realtà... Qualcosa di merdosamente reale che vedo solo io!
Sentì acutamente che i fiordi della notte erano diventati minacciosi, che qualcosa di lurido e impuro premeva su di lui e sulla Milano addormentata e ignara.
Come se la notte fosse stata uno spartito vuoto su cui qualcuno scarabocchiava note acute e stridule come urla.
I tre mostri sulla strada sollevarono contemporaneamente le teste elefantine verso di lui, osservandolo inespressivi, sopra il corpo dilaniato di Ivana.
La loro non era né curiosità né timore. Si sarebbe detto fosse tranquilla consapevolezza della sua presenza. E ciò lo agitò ancora di più.
Yuri abbassò la tapparella, sentendosi scorrere scorpioni congelati lungo la schiena.
Quando il mondo si costella di incubi, la mente reagisce in tre modi possibili: negazione, nevrosi o cianuro.
Appena sveglio, Yuri attraversò i primi due, in rapida successione di nudi e aguzzi pensieri. Sebbene accecato dalla paura, le visioni non si smorzarono e procedettero ininterrotte.
Scese in strada, dopo aver chiamato il commissariato per chiedere un giorno di ferie.
Vide Ivana, solare e graziosa, indaffarata a vendere quotidiani.
Era viva, tersa e vitale come ogni mattina.
Le si avvicinò.
- Ciao Ivana, sempre bellissima! - la lusingò, nel tentativo di dimenticare la sua testa che rotolava sull'asfalto la sera prima.
Lei fece una smorfietta compiaciuta.
- Grazie, soldatino. Pure tu non sei male.
Spesso flirtavano, ma non era ciò a cui mirava Yuri, almeno non stavolta.
Titubante, le chiese: - Passata bene la serata?
Cercò di ignorare la bara verde e le fiammelle che la contornavano.
Lei aggrottò la fronte, solo per un istante.
- Insomma... Dormo male, ultimamente.
La ragazza si girò a dare il resto a una signora.
Yuri insistette: - Insonnia?
Ivana tagliò corto: - No, sogni del cazzo!
Non voleva parlarne, si capiva dai suoi occhi smarriti.
Consapevole di quanto fosse difficile anche solo immaginare ciò che aveva visto nei suoi incubi, Yuri si allontanò, dopo un ultimo saluto distratto, osservando l'asfalto luccicante come se fosse cosparso da un velo di polvere disneyana.
Stanotte ha avuto solo un incubo..., pensò, forse leggo nel pensiero e mi sintonizzo sui sogni delle persone... Forse anch'io faccio solo incubi!
Evitò di striscio una donna grassa che portava sulle spalle una bara grossa quanto lei.
Allora perché non mi sveglio?
Era colpa dei Goblin. Quegli esseri dal nome ridicolo gli avevano aperto gli occhi su quella realtà parallela e ora non era più capace di chiuderli.
Non voleva altro che questo, chiudere gli occhi e smettere di vedere.
Si diresse al bar Baraonda.
Si ricordava di aver visto sezionare il cameriere, un ragazzo pieno di piercing che dormiva nel retrobottega. Avevano abbastanza confidenza da discutere di alzatacce e problemi vari.
Tuttavia, Yuri decise di cambiare approccio.
Ordinò un caffè, poi gli chiese: - Sai, Alex, ultimamente dormo male. E tu?
Per una frazione di secondo il ragazzo si rabbuiò.
- Capita anche a me, a volte. Forse troppo spesso, di recente. È perché facciamo una vita di merda...
Yuri inalò aria, senza far uscire parole. Non avrebbe ottenuto altro neppure da Alex. Era più facile far parlare gli ultrapregiudicati.
La gente non parla volentieri dei propri incubi.
Ci si sveglia spossati, indolenziti, intimoriti da presagi notturni, ma rapidamente si rimuovono i cattivi sogni, per affrontare il giorno.
Mentre ci si lava i denti, ci si ripete che i sogni solo fogne subconsce che eruttano mentre abbiamo gli occhi chiusi e che bisogna essere attivi e svegli per affrontare i veri incubi: il mutuo, le bollette, il partner da tradire, i patti da violare e le bugie per difendersi.
La vita normale, per intenderci.
Yuri lo capì, mentre la confusione mentale fermentava e le viscere si liquefacevano nell'ambiente mutato.
No, la gente non amava raccontare i sogni cattivi.
Vide entrare nel bar una vecchia conoscenza: un cencioso forestiero che aveva le tasche piene di palline incellophanate, con droghe assortite.
A volte lui era suo cliente in commissariato, in altre occasioni era Yuri a pagare per scrollarsi di dosso lo stress di giornate noiose.
Un'occhiata d'intesa e lo scambio di poche banconote al riparo da occhi indiscreti conclusero l'affare.
Tenendo stretta la coca in mano, Yuri rientrò a casa, incrociando il suo portiere.
- C'è puzza di merda sulle scale! - gli disse volgarmente, per stuzzicarlo sul sangue rappreso che vedeva ovunque, dal marciapiede al pianerottolo.
- Dipenderà dagli inquilini... - rispose l'altro, sbadigliando.
- Ehi, ci abito anch'io che sono un tutore della legge.
- Allora ci dovrebbe essere abituato - sentenziò il portiere, la cui risata sguaiata lo accompagnò fino in casa.
Non si era affatto abituato, né durante il suo lavoro, né in quel crescente delirio.
La cocaina, invece di rischiarargli il pensiero, lo gettò in un tritacarne d'ansia.
- Torneranno stanotte? - si chiese Yuri a voce alta, reggendosi la testa tra le mani. - Tortureranno anche me in sogno?
La coca amara gli serrò le mascelle.
Era abituato alle vigliaccherie e malignità di una metropoli moderna, ne era infettato. La scissione tra un io diurno e difensore del patto sociale e un ego assetato di denaro, di coca e patti illeciti era storia antica per lui.
Passò il giorno in casa, tra domande insensate e staffilate di panico, mentre Boris lo osservava interrogativo.
Arrivò il tramonto, dando al cielo il colore di stracci sporchi. E poi calò la notte, a metà tra il romantico e il punk.
Senza sapere dove, Yuri trovò il coraggio di avvicinarsi alla finestra, tirò su la tapparella e guardò fuori.
Era mezzanotte, aveva la sensazione di qualcosa di nero e immenso che lo osservava con odio.
La strada fu vuota, finché due ascensori uscirono dall'asfalto.
I denti di Yuri scricchiolarono come se stesse masticando cubetti di ghiaccio.
Vide nuovamente le teste d'elefante, simili a parodie di Ganesh dalla carne verminosa, avvolti in trench di cuoio e carichi di strumenti di tortura.
Martoriarono otto persone, tra cui Ivana, senza fretta o passione.
Replicarono le crudeltà della notte precedente: trascinarono gli otto sventurati fuori di casa, incatenati. Mentre uno degli esseri ammuffiti e fosforescenti reggeva un testo arcano, gli altri affondavano con rapidi fendenti le motoseghe nelle carni delle vittime.
Nonostante il silenzio, quando la sega si abbatté sulla spina dorsale di Ivana, Yuri sentì un rumore, come lo spezzarsi di una canna di bambù.
Il suo corpo snello fu sezionato in quattro parti, come una carota tagliuzzata da esseri sepolcrali.
Macchie oleose di sangue si allargarono attorno agli scempi perpetrati, qualcosa di vari corpi rotolò sulla strada.
Yuri aveva la lingua incollata al palato, a guardare con occhi sbarrati al massimo un notturno snuff movie visionario.
Mentre risalivano negli ascensori gli orrori semiumani alzarono lo sguardo verso di lui.
Lo spavento lo serrò come un compattatore di spazzatura. Ora parevano irritati dalla sua insistente osservazione.
Abbassò rapidamente le persiane.
Si piegò sulle ginocchia gemendo, il soffio della pazzia era come la carezza di una piuma lieve.
Dopo un'ora, si mise al PC.
Cercò su Google il titolo del libro che i mostri leggevano nel corso delle torture.
Trovò solo un'informazione scarna, nel blog di un appassionato di occultismo.
Alchemycum Venetianum, testo ermetico stampato nel 1757 a Venezia, scritto dal barone Gerolamo Sinistrari. Commentario pasticciato sul demonologo indiano Ravana e sul Great Grimoire medievale, esistente in 4 copie.
Lesse un breve estratto, tre righe di parole insensate, in una sorta di pseudo greco, borborigmi incomprensibili.
- Questo non mi aiuta un cazzo, parlo solo due lingue: italiano e italiano con minacce e porcherie.
Fu l'ultimo pensiero, prima di addormentarsi sulla tastiera, sfinito.
Dormì a lungo.
Senza sogni.
Solo con la sensazione di essere accompagnato da qualcosa di nauseante.
Si svegliò con un verso infastidito, portandosi le mani alla testa arruffata.
Appena desto, ebbe un palpito di nevrosi, si sentì braccato da inquietudini informi.
Terminò la coca e uscì di casa, il campo visivo accelerato che coglieva simultaneamente tutte le varianti anormali dello scenario.
Disorientato dalle aggiunte alla realtà che cominciava a non considerare più tale, si diresse verso l'edicola.
La folla gli era sempre stata indifferente, file interminabili di sconosciuti, senza contatti o scopi, su cui emergere, mentre ora era fonte di timori deformi, con i loro corredi sepolcrali e i flash eterici e intermittenti.
Superò la fila dal giornalaio e disse a Ivana: - Esci un attimo, devo parlarti subito.
Lei lo guardò preoccupata:- Yuri, che faccia hai? Sembri uscito da un tritacarne.
- Ci sei quasi...
- Aspetta un attimo che finisco con i clienti.
- Ho detto subito! - Yuri fu abbastanza serio da convincerla.
Ivana uscì dal gabbiotto e gli si parò davanti, incrociando le braccia. Più persone in fila si lamentarono.
- Allora? Cosa c'è di cosa importante da farmi perdere pure qualche cliente?
Yuri si strofinò con forza il naso e gli occhi, poi le disse d'un fiato: - Hai sognato stanotte?
La ragazza sbuffò e disse: - Ancora con questa domanda? Ma devi giocare al Lotto?
- Dico davvero.
Ivana batté il tacco dello stivale a terra e si guardò attorno.
- Boh, che cazzo ne so... Adesso lasciami stare che ci sono clienti!
Un pulviscolo violetto brillò tra loro due, Yuri vide la bara di Ivana fluttuarle sopra il capo e la rabbia gli esplose dentro, come un sogno agitato.
L'afferrò per un braccio, strattonandola.
- Non è uno scherzo! Che cazzo hai sognato stanotte? - le urlò in faccia violentemente. - Dimmi che cazzo hai sognato!
- Lasciami, esaurito! - La donna si divincolò, ma non se ne andò. Dovette addirittura dire che era tutto a posto a un uomo sulla cinquantina ancora in coda all'edicola giusto per poterla soccorrere, nel caso si fosse reso necessario.
- Cosa hai sognato? - insistette Yuri.
- Ho sognato che venivo stuprata e gettata in un pozzo! - strillò infine Ivana, sconvolgendo Yuri e il buon samaritano che decise di aver ascoltato anche troppo e se la filò lungo il marciapiede. - Sei contento? Adesso vattene, stronzo!
Ivana rientrò piangendo nell'edicola.
Svuotato, Yuri rimase immobile, mentre alcuni passanti attirati dall'ultimo grido lo guardavano sprezzanti, schiacciati dallo stemma incorporeo della loro morte.
Incubi, sono incubi..., pensò Yuri, dopo quella conferma. Si allontanò lentamente, la pressione anomala che sgretolava altre porzioni di lucidità mentale.
Era perfettamente conscio di quello che gli stava accadendo: stava impazzendo, velocemente.
Uno scivolare a spirale, senza passi o sospiri, verso il pozzo dove le visioni lo spingevano. In bilico a osservare la realtà senza censure o abbellimenti, era prossimo a cedere, sotto la pressione di rivelazioni senza paraocchi.
Era il dono o la maledizione lasciatogli dai Goblin. Lui vedeva.
Per tentare di mettere una distanza di sicurezza dai tormenti delle allucinazioni, si lasciò andare a un attacco di furia: colpì istericamente con una dozzina di pugni i simboli arcani su un portone, smettendo solo quando le nocche spellate lasciarono macchie di sangue sul muro.
- Merda, merda, merda!
Urlò, portandosi le mani alle tempie martellanti.
Volarono zigzaganti alcune ore caotiche e alla fine decise che doveva fare come gli avevano detto i Goblin: parlare con chi contava, raccontare ciò che vedeva, a costo di passare per pazzo.
Aveva il numero diretto del suo commissario capo. Lo chiamò e con voce atona gli chiese di incontrarsi in giornata.
Il dottor Caronia non fece domande, perché naturalmente non gli raccontò la storia per telefono.
- Possiamo vederci nella zona industriale di Muggiò, verso le undici - rispose, con tono impassibile. - Devo fare un sopralluogo, ma posso incontrarla subito dopo, Malacorte. Non prima delle ventitré, mi dispiace. Ci si vede ai capannoni che abbiamo perquisito il mese scorso, ricorda?
- Sì, perfettamente. Lei non ha idea di cosa devo dirle.
- Qualsiasi cosa sia, sembra davvero importante - replicò Caronia a voce leggermente più bassa.
- Lo è.
Yuri spese il resto della giornata tra le odiate visioni che si sovrapponevano a cose e persone, un luna park psichedelico e fiammeggiante, mentre si ripeteva a memoria un riassunto dell'accaduto da spiattellare a Caronia, rivedendolo nei dettagli fino a rendere appannato ogni pensiero.
Recandosi all'appuntamento vide dall'autobus gruppetti di mostri circondare e sezionare esangui dormienti.
Stragi notturne a cui non poteva assuefarsi.
Ora avrebbe cercato di renderne partecipe un pezzo grosso e si chiese ancora come fare a farglielo credere.
Mi dirà che sono da rinchiudere... Non mi crederà mai..., rimuginò
Rifletté sulla facilità con cui aveva ottenuto quel colloquio, senza alcuna obiezione. Caronia doveva aver pensato che avesse da dirgli qualcosa sui colleghi sotto inchiesta per corruzione. Quando avesse sentito la sua vera storia, sarebbe sicuramente scoppiato il finimondo.
Sempre burbero e intrattabile, Caronia era un vero pezzo di merda, ma faceva bene il suo lavoro, quando ci era costretto.
Yuri scese alla periferia di Muggiò e s'infilò in un vicolo scuro, chiuso tra due magazzini. In fondo poteva vedere la sagoma muscolosa di Caronia.
Lo raggiunse. Quest'ultimo lo salutò gravemente, con un cenno del capo.
Indossava un piumino verde scuro. Aveva un volto largo, a cui facevano da cornice una fronte stempiata e pochi capelli brizzolati, occhi scuri e sporgenti e un paio di baffoni dello stesso colore delle iridi.
- Scusi se le ho dato appuntamento qui, ma ho capito che era una cosa urgente... - disse il commissario accendendosi una sigaretta.
- La ringrazio - replicò Yuri, sentendo che c'era nell'aria frizzante della sera qualcosa di cattivo che si dipanava lentamente. - In effetti devo raccontarle una cosa molto strana.
- Avanti, parli pure. - lo incoraggiò Caronia.
Yuri trattenne il respiro, per un attimo.
Si schiarì la voce, poi riassunse il suo incubo, dapprima tentennando, poi con sempre maggior sicurezza.
Raccontò dell'incontro coi Goblin, delle visioni, dei mostri torturatori, delle decorazioni ed emblemi soprannaturali che vedeva affiancati al mondo comune.
Caronia lo osservò attentamente, senza alcuno sguardo incredulo o sarcastico. Lo stava ascoltando veramente.
Non lo interruppe mai, ascoltò solamente, teso e immobile come un'ombra.
Yuri terminò: - Mi creda, non sono ammattito, ma sarei impazzito davvero se non ne avessi parlato con qualcuno...
- E lei ha scelto me - fece Caronia. La brace della sua sigaretta disegnò nell'aria una runa casuale, quando la gettò via.
Fu in quell'istante che Yuri comprese di aver fatto un grosso errore a contattarlo.
- Senta, commissario, è stato solo uno scherzo del cazzo. Sa, com'è, ho perso una scommessa coi colleghi in centrale... - si sforzò di improvvisare.
Caronia lo sorpresa su tutta la linea: - I Goblin sono davvero teste di cazzo, ma non contano, i Profondi li spazzeranno via come niente.
Yuri non capì. - Come... scusi?
- I Profondi, gli Orrorifici. Quelli che vedi tutte le notti, stupido idiota!
L'alienazione che gli mise in corpo quella svolta nel discorso portò Yuri a vacillare. Guardò per un attimo all'incrocio illuminato alle spalle di Caronia.
Un movimento rapido di macchie scure: Profondi che trascinavano qualcuno.
- Ogni notte sacrificano i sognatori, i loro corpi astrali e nessuno sa niente. Capisci, Malacorte?
Lo sguardo del suo superiore era divenuto penetrante, annerito da sottintesi. Yuri si sentì circondare dall'oscurità.
- Senza saperlo, i Goblin hanno reso Loro un ottimo servizio.
- Per... Perché?
Passò un camion che nascose alla sua vista il rituale sanguinoso poco lontano.
- Perché un uomo, quando Loro si voltano a fissarlo, dopo il terrore iniziale può fare solo una cosa.
Yuri deglutì a secco, sentendo la propria voce sfalsata e remota.
- E cosa?
- Inchinarsi e adorarli come Dei, perché lo sono!
La realtà della zona industriale sfumò in mille tinte d'oscurità.
- Vengono da universi dove il Male è un costrutto organico e non morale - proseguì Caronia - e sono sulla terra da millenni. Si decompongono senza fine e sono la negazione cruenta delle leggi naturali. Ecco perché ci si deve inchinare al loro sguardo. Ma tu non l'hai fatto, sei fuggito.
La paura avvolse Yuri con un abbraccio più stretto di quello della notte.
- Tu no, suppongo. Vero, Caronia?
Erano passati a un'inusuale confidenza che aggiunse ancor più stranezza a quello scambio di battute.
Il commissario sbuffò, alzando le spalle. - Come migliaia d'altri. Loro vogliono il Silenzio, nient'altro. Squartare dormienti senza che nessuno lo sappia, solo col ricordo confuso di un incubo. E hanno bisogno di uomini come me che mettano a tacere quegli errori di natura come te che non capiscono ciò che devono fare davanti ai Profondi.
Si udirono fruscii nell'erba attorno.
Il respiro di Yuri si appesantì, accompagnando un senso di disillusione, di stanchezza.
- E tu, Malacorte, col tuo stato di servizio e i tuoi precedenti, decidi d'un tratto di voler fare l'eroe... Ironico.
Anche Yuri colse qualcosa di ironico: se esistevano connivenze con la mafia, ridicolo pensare non ci fossero con divinità oscure. C'era chi comandava e chi prendeva ordini, come in ogni fatto della vita.
- Esistono solo Loro, Malacorte - proseguì Caronia. - L'universo è corrotto e Loro ne sono i malvagi proprietari... Si può scegliere se adorarli o morire. - Il commissario allargò le braccia. - Il senso della vita è tutto qui.
Il rumore nell'erba divenne più netto.
Erano passi.
Yuri provò un senso di attesa vischioso e paralizzante.
I passi si avvicinavano, sempre più pesanti.
Sentì un sapore lanoso in bocca, rivide la sua vita trascorsa, come una confusa tavolozza di grigi e rossi.
Incompiuta, inconcludente, ma vicina alla conclusione.
Non aveva mai voluto vivere da eroe, eppure, a quanto pareva, sarebbe morto così.
Caronia lo fissò con compassione. - Un poliziotto cocainomane, con brutti precedenti... Ti troveranno qui domattina e finirai nella cronaca nera locale. Avrò molto da spiegare, ma sempre meno di quanto avresti voluto raccontare tu. - Soffiò aria dalle narici, scuotendo il capo. - Si parlerà di regolamenti di conti, di vecchi rancori... La solita roba, insomma.
Yuri abbassò il capo, svuotato e stanco come si può essere al capolinea d'una vita sbagliata.
Sapeva cosa c'era dietro agli incubi, ma non l'avrebbe certo salvato.
- E gli agenti alle mie spalle non lasceranno tracce, giusto?
I passi si fermarono.
- No, niente impronte o indizi. - disse Caronia, inginocchiandosi nel fango. - Quelli dietro di te non sono poliziotti...
Il sibilo di una motosega urlante di milioni di anime perdute fu l'ultimo suono udito da Yuri, nel Silenzio.
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