"L'uguaglianza è tutto."
Ferraguzzo
Copertina originale della prima edizione di Gormenghast.
Seconda Guerra Mondiale. Un giovane artista inglese chiamato alle armi sfrutta ogni secondo del proprio tempo libero per scrivere un romanzo. Egli non sta scrivendo le proprie memorie, non sta raccontando le proprie esperienze sul campo di battaglia, ma è impegnato nella stesura di una storia fantastica, ambientata in un luogo di fantasia e, dunque, ascrivibile forse nel genere fiabesco. Egli non può sapere che contemporaneamente un altro intellettuale inglese sta componendo un romanzo "epico-cavalleresco" privo di ogni legame con la realtà. Nessuno dei due è cosciente del fatto che stanno creando un nuovo genere letterario e non possono certo immaginare che un domani i loro romanzi saranno guardati come i capisaldi letterari del genere fantasy.
I due autori sono Tolkien e Peake. Se però Tolkien, merito anche della cinematografia, oggi è noto in tutto il globo ed è riconosciuto ovunque come il grande scrittore che è stato, Mervyn Peake è ancora trascurato al di fuori del mondo anglosassone. In Italia, in effetti, sono ben pochi a conoscerlo. Eppure Peake ebbe qualità letterarie e artistiche che forse superarono lo stesso Tolkien, ma probabilmente è per questo che i suoi romanzi rimangono "grandi opere di nicchia". Nella trilogia di "Gormenghast" (il cui primo romanzo fu appunto scritto durante la guerra) non esiste alcun tentativo di raggiungere un linguaggio semplice e diretto, come invece si può riscontrare in alcune opere di Tolkien come "Lo Hobbit". Peake utilizza uno stile denso, dettagliato, colmo di tanti dettagli visivi al punto da rendere ogni descrizione un vero e proprio disegno mentale. Egli difatti fu anche un grande illustratore (una delle sue opere più celebri fu l'edizione illustrata di "Alice nel paese delle meraviglie") e perciò sfrutta il proprio occhio attento ai colori e alle forme per creare uno stile personalissimo, tanto colmo di particolari da far scivolare a volte la trama in secondo piano.
La trilogia di "Gormenghast" - suddivisa in "Titus Groan" (Tito di Gormenghast, ed. italiana), "Gormenghast" e "Titus Alone" (Via da Gormenghast, ed. italiana) - però non è soltanto un meraviglioso esercizio di stile, tanto complesso quanto delizioso, ma anche una perfetta metafora di tutta la storia umana e della società. I personaggi che si muovono sulla scena sono una folla variopinta, in numero così grande da rendere difficile stabilire chi sia il protagonista (dovrebbe esserlo Tito, ma la scelta non è così scontata), e forse la verità è che il protagonista è Gormenghast stesso, l'enorme castello in cui si svolgono le vicende, talmente vasto da non essere conosciuto da nessuno nella sua interezza. Questo bastione racchiude in sé un intero popolo di figure bizzarre che, appunto, diventano il simbolo del mondo umano intero.
Troviamo innanzitutto Sepulcrio de' Lamenti, settantaseiesimo conte di Gormenghast, un uomo silenzioso e malinconico. Egli, assieme alla moglie Gertrude (enorme, seguita da uno strascico di gatti bianchi e costantemente distaccata dal mondo), sono la perfetta metafora del potere supremo, né buono né malvagio, totalmente separati dal mondo e pronti a soccombere dinanzi al contatto con la cruda realtà (Sepulcrio), o ad assumerne il controllo con forza e giustizia incrollabile e impietosa (Gertrude).
C'è poi la principessina Fucsia, quasi sempre in compagnia dell'anziana badante, Mamma Stoppa. Questi due personaggi sono invece l'esatta rappresentazione della giovinezza e della vecchiaia nella loro accezione "debole". Fucsia, sempre immersa nelle proprie fantasticherie, non si misura, o non vuole misurarsi, con la propria inevitabile crescita, difatti nei modi apparirà sempre come una bambina. Nel momento però che gli eventi la costringeranno a divenire adulta, all'improvviso scoprirà di essere troppo fragile e si suiciderà in preda alla meno classica delle delusioni d'amore: quella per il "malvagio" della situazione.
Mamma Stoppa invece è una vecchina che fa le sue poche faccende prive di interesse, passa il proprio tempo a piangersi addosso, a sostenere che tutti siano contro di lei, a vedere continui impedimenti alla propria felicità e ad affermare la propria infinita pazienza. Una vecchiaia stanca, debole, che si assume con falsa umiltà molti più meriti di quelli che ha realmente.
Glass-blowers 'Gathering' from the Furnace (1943), altra opera artistica di Peake che mostra bene la sua capacità visiva di creare, anche in situazioni comuni come una fornace con soffiatori di vetro, una rappresentazione descrittiva al limite del fantastico.
Arriviamo quindi ai Maestri del Cerimoniale, prima Agrimonio e poi suo figlio: il nano storpio Barbacane. Costoro costringono tutti i personaggi del castello a obbedire a un cerimoniale continuo, dettagliato sino alla follia, ma assurdo e privo di ragioni. Nessuno si domanda il perché debba indossare proprio quell'abito, o perché il conte debba passare per quel corridoio se piove e non per un altro, l'importante è rispettare le regole. Le metafore celate in questi comportamenti sono tanto evidenti da essere geniali: vi si scorge la naturalezza con cui tutti noi facciamo cose assurde ogni giorno, soltanto perché la società ce le mostra come ovvie da secoli.
Infine troviamo i due personaggi che possono ritenersi i protagonisti: Ferraguzzo e Tito.
In entrambi è riscontrabile un principio affine: il bisogno giovanile di distinguersi, di "fare qualcosa" della propria vita, ma questi concetti assumono pieghe opposte nei due, difatti queste figure diventano presto necessariamente nemiche.
Ferraguzzo è il bisogno giovanile e umano di emergere, di scalare il potere. Partendo da sguattero nelle cucine, egli vuole raggiungere il tetto di Gormenghast: difatti è l'unico ad arrivare alla sommità dell'enorme castello e da lì imbastirà i propri piani di conquista. Egli vuole soltanto aumentare la propria autorità, senza badare alle conseguenze suscitate dalle sue azioni. Con intelligenza tagliente questo personaggio, a mio parere il più riuscito e interessante, porterà alla morte del conte, dei due Maestri del cerimoniale, della povera Fucsia (convinta invece del suo amore nei propri confronti) e si scontrerà infine con Tito.
Quest'ultimo invece, l'autentico protagonista della storia, è un giovane che ha bisogno di lasciare la propria casa. È stanco dei rituali immemori, delle cerimonie senza senso, ed è quel tipo di ragazzo che vuole distinguersi, ma in modo positivo; un concetto però inconcepibile a Gormenghast e nella società stessa. Sua madre, con grande saggezza, gli dirà infatti che può andare via, ma che infine "tutto conduce a Gormenghast", dunque al mondo e agli uomini. Un altrove è impossibile anche solo da pensare.
Ci sarebbero molti altri personaggi, come il maggiordomo Lisca, sempre attento a difendere la giustizia a ogni costo, anche quando essa è indifendibile; oppure il Poeta, noto soltanto al conte, molto celebrato, ma praticamente ignoto al resto del castello (in effetti l'arte è rispettata da tutti più per timore reverenziale che per autentica conoscenza, e tra il popolino sono ben pochi quelli che la apprezzano); ho comunque parlato di tutte le figure più importanti che si muovono in questa storia.
Mervyn Peake, da noi ancora troppo poco noto, merita dunque di essere scoperto e riscoperto, e mi auguro che un giorno vada a guadagnare completamente quella celebrità letteraria che merita.
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