«Nel cuore di ogni uomo c'è un nervo segreto
che risponde alle vibrazioni della bellezza».
(Christopher Morley)
Un'enigmatica bellezza antica.
Possiamo considerare la bellezza, nella sua mutevolezza e nelle sue molteplici declinazioni, una debolezza irrinunciabile, «la meraviglia della meraviglie» come la definì Oscar Wilde? E perché no! Seppur in modo diverso, tutti siamo sensibili al bello.
Ogni epoca - e ogni cultura - si è rispecchiata in un ideale di bellezza, mai univoco e quasi sempre ispirato alla figura femminile.
In realtà sarebbe corretto parlare di "canoni estetici" dall'epoca classica in avanti - prima della quale si cercava di rendere piacevole l'aspetto fisico senza perseguire un vero e proprio "ideale" -, tenendo a mente però che l'estetica antica esprimeva una riflessione sul bello in cui il concetto di bello non coincideva con quello attuale (rispecchiandosi non soltanto nella proporzione delle forme fisiche e nella piacevolezza dei tratti ma anche nelle qualità morali della persona). Come scrisse Platone, «Ciò che è bello, è buono». Detto questo, vediamo quali furono i segreti di bellezza delle donne dell'antichità.
Un viaggio tra unguenti, infusi, profumi e cosmetici del mondo antico.
Sebbene la Bibbia menzioni la pratica del trucco, pare che gli accessori che ne testimoniano l'utilizzo risalgano al 5000 a.C. Si tratta di spatoline per i belletti, piccole giare, fialette e tavolozze di pigmenti.
Antico Egitto
Nefertiti, la regina egizia considerata la più bella dell'antichità.
Nel 3000 a.C. il trucco era appannaggio della casta sacerdotale che ne faceva un uso rituale. L'antica cosmesi aveva significati diversi: rituali, funerari, magici, terapeutici e ornamentali, anche se questi ultimi si imposero in una fase successiva. Non deve stupire che gli unguenti utilizzati per la mummificazione dei corpi dei defunti fossero impiegati anche per massaggiare il corpo dei vivi dopo il bagno. Accanto ai prodotti per il tempio, si diffuse in seguito l'uso dei cosmetici anche per la vita quotidiana, e non soltanto per le classi più abbienti.
Secondo le testimonianze degli archeologi, al tempo di Nefertiti (intorno al 1360 a.C.) le donne egizie (ma anche gli uomini) si lavavano ogni mattina con una miscela di acqua e carbonato di calce e si sfregavano il corpo con l'argilla proveniente dai fanghi del Nilo. Al bagno seguiva un massaggio con olio vegetale mischiato a erbe aromatiche per ammorbidire la pelle. Uno dei primi segreti di bellezza al femminile, se vogliamo definirlo tale, fu una "maschera" a base di uovo di struzzo sbattuto con latte, argilla, olio e farina.
Durante la fase del trucco - che almeno fino all'Antico Regno (2700 a.C.- 2200 a.C. circa) non variò secondo il sesso mentre più tardi si distinse nei colori per uomini e donne -, la pelle veniva spalmata con un fondo tinta di colore giallo ocra, gli zigomi messi in risalto con ocra rossa, gli occhi orlati dal khol nero (polvere di galena, derivante da un minerale a base di solfuro di piombo), le palpebre dipinte con ombretti e le vene delle tempie sottolineate di azzurro (in origine il monopolio della preparazione dei belletti apparteneva ai sacerdoti, poi divenne prerogativa di una corporazione laica). Le unghie venivano colorate con l'henné e i seni truccati con una cipria dorata. Una pesante parrucca, solitamente riservata ai dignitari e alle loro famiglie, ricopriva teste dai capelli considerati troppo fini.
Un oggetto da toletta molto diffuso era lo specchio (risulta che gli specchi, ovvero superfici di metallo perfettamente lisce, esistessero già dall'Antico Regno sebbene fossero appannaggio dei ricchi).
Le antiche egizie si depilavano utilizzando creme fatte di "ossa di uccello bollite e tritate, sterco di mosca, succo di sicomoro, gomma e cetriolo scaldati e applicati" (come riporta Le cone d'onguent gage de survie in Buleetin de l'Instut français d'Archeologie Orientale di Nadine Cherpion, 1994). I profumi, dei quali fecero largo uso, inizialmente venivano confezionati con resine gommose alle quali si univano schegge di legno aromatico, e in seguito con oli e sostanze fragranti (come cinnamomo, cassia, mirra, resine) o floreali (gigli, maggiorana, fiori di henné) ai quali era aggiunto del vino. Uno dei prodotti più utilizzati era il cono di profumo, posto sulla testa in modo che potesse diffondere la fragranza su capelli e vestiti.
Il largo impiego di cosmetici, unguenti e profumi incrementò i commerci con i paesi che producevano spezie, incensi e fragranze.
Tutto questo ci dice che, sebbene non ci fossero canoni estetici definiti, gli egizi attribuivano una grande importanza alla cura e alla pulizia del corpo, intimamente collegata alla purezza dello spirito. E questo spiega la costruzione dei bagni nelle case (di nobili, funzionari e talvolta anche dei lavoratori).
«Gli Egizi preferiscono essere puliti piuttosto che belli» scrisse Erodoto.
Numerosi reperti archeologici ci offrono testimonianza dell'antico uso dei cosmetici anche presso Sumeri, Ittiti, Assiri e Babilonesi.
Grecia
La Venere di Milo.
Mentre nella Grecia pre-classica il concetto di bellezza era piuttosto vago, in quella classica (dal V sec. a.C.) assumeva toni più delineati esprimendosi nelle misure, nell'armonia e nella simmetria di forme morbide, associate a qualità di grazia ed equilibrio.
Nella Grecia antica, fino al III a.C. secolo, le donne utilizzavano unguenti per il corpo, si spazzolavano i denti ma si truccavano poco e niente (giusto le sopracciglia disegnate a tratto unico). In seguito, con l'importazione di belletti e profumi da parte di mercanti egiziani ed asiatici, si lasciarono trascinare dal fascino del trucco.
Il cosmetico più diffuso era la biacca (pigmento costituito da carbonato di piombo) che dava alla pelle un colore bianco. Per colorare le guance si usava invece il rosso del minio (ossido di piombo di colore arancione), oppure quello che si otteneva da pigmenti vegetali o dall'alcanna (un'alga marina). Mentre il rosso si applicava sulle labbra e sulle guance con un pennello, su ciglia e sopracciglia si passava uno strato di polvere nera di antimonio.
La trasmissione delle ricette dei segreti bellezza avveniva di madre in figlia, grazie all'opera di confezionatori che frequentavano gli ingressi dei ginecei dove le donne dell'alta società realizzavano le loro creme.
Nella fase decadente ellenistico-romana, che iniziò con la morte di Alessandro Magno (323 a.C.) e terminò con l'inizio dell'impero di Augusto, anche le donne delle classi più modeste si truccavano.
Come testimoniano le numerose rappresentazioni della classica acconciatura "a pieghe" anche i capelli venivano curati; assai frequente la loro colorazione, specialmente di biondo, e la loro profumazione con la lavanda.
Roma
Dopo che conquistarono la Grecia (146 a.C.), i Romani assorbirono le usanze dei greci e di conseguenza anche i loro canoni estetici. La matrona dell'epoca repubblicana (a partire dal 509 a.C.) era rozza come la donna della Grecia arcaica, ma quella dell'Impero (a partire dal 29 a.C.) faceva uso di cosmetici, belletti e profumi. Lo stereotipo della bellezza femminile nell'antica Roma era incentrato su una figura dell'incarnato chiaro e dalle forme opulente, che pinguedine e dieta pesante non faticavano a mantenere.
La toeletta della patrizia romana era paragonabile a un vero e proprio tour de force: si dedicava a lunghi bagni (non avendo ancora fatto comparsa il sapone, si utilizzavano detergenti come creta finissima o farina di fave), esfoliazioni della pelle, depilazione (con una pasta a base di olio, pece resina e sostanze caustiche), massaggi (in genere con olio d'oliva), trucco e acconciatura. Tutte queste operazioni mobilitavano un gran numero di schiave.
Le cure di bellezza delle patrizie romane in un dipinto di Juan Giménez Martin.
I segreti di bellezza: i capelli venivano infoltiti con dei posticci e acconciati in modo elaborato con riccioli sovrapposti, i denti strofinati con polvere di corno, l'alito profumato con il prezzemolo, brufoletti e imperfezioni nascosti dietro finti nei. Durante la fase del trucco, il volto veniva schiarito con la nivea cerussa (una pericolosa pomata derivata dalla biacca), gli occhi scuriti dall'antimonio, e le guance e le labbra tinte con l'alcanna, con il succo delle more di gelso oppure con la sandracca (il pericoloso solfuro di arsenico). Tutto il necessario cosmetico era preparato fresco da schiave specializzate.
Poppea è passata alla storia per i suoi bagni nel latte d'asina; l'effetto desiderato era quello di rassodare e ammorbidire la pelle. Meno nota invece la sua ricetta per la maschera di bellezza preparata impastando lo stesso latte a della mollica di pane.
Oltre a paste e infusi vari ottenuti con gli ingredienti più strani (testicoli di toro, api affogate nel miele, uova di formiche pestate, grasso di pecora, burro, fave, ceci,...) un ruolo importante fu svolto dalle Terme, tra cui quelle di Caracalla, vero e proprio apogeo della cosmesi dell'antica Roma.
Con il progressivo affermarsi del Cristianesimo il trucco fu schernito e considerato peccaminoso e i gesti legati all'abbellimento, inseriti in un contesto di pratiche profane.
Oriente
L'architettura delle terme romane ispirò il bagno turco, nato dall'incontro tra la cultura Occidentale e quella Orientale.
Nel V secolo, tra Fes e Costantinopoli si contavano migliaia di bagni turchi e hammam. Nella luce soffusa dei bagni, la donna utilizzava il sapone nero per eliminare le impurità della pelle e l'henné bianco per rendere più dorata la carnagione e brillanti i capelli. Olio di argan e argilla erano i complementi per la cura della pelle. I denti venivano sfregati con la scorza di radici di noci, le labbra rese rosse dall'akar rosso e gli occhi contornati con il Khol.
Bigliografia
Dominique Paquet, Miroir, mon beau miroir. Une histoire de la beauté, Parigi, Ed. Gallimard, 1997.
Nathalie Chahine, Cathrine Jazdzewksi, Marie-Pierre Lannelongue, Franòcoise Mohrt, Fabiennne Rousso, Francine Vormese, La bellezza, immagine e stile, Modena, Ed. Logos, 2001.
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