L'immenso fiume sotto il sole oggi sembra un lago. Dopo le piogge che hanno unito lagune, formato pantani e strappato i seminati, la barca avanza lentamente e la brezza fresca carezza la faccia abbronzata del capitano. Sulle rive, gli alberi di tangarana sono fioriti, e i colori rossi e gialli emergono contro un verde intenso. Le donne native lavano sotto le palme e alzano lo sguardo da lontano mentre agitano le mani in aria, salutando e indovinando i sorrisi.
Oggi, la barca non porta molti passeggeri a bordo. Qualche soldato ritorna in caserma, qualche turista osserva la selva impenetrabile attraverso la lente della sua macchina fotografica, per catturare quel mondo straordinario. Un giornale ha portato l'ultima notizia: "giornalista italiano scomparso nella foresta".
Si commenta che il giornalista sia arrivato per documentarsi sulle abitudini degli abitanti amazzonici. Lo stanno cercando, ma non tutti i nativi hanno il coraggio di penetrare nella vegetazione aggrovigliata, per non sfidare nel proprio nido il temibile serpente velenoso, shushupe, e nemmeno la feroce tigre Ikam Nawà.
- La selva è grande e il giornalista potrebbe trovarsi in qualunque posto - puntualizza il capitano Gimenez.
E' da tanto tempo che lui naviga per i fiumi, i laghi e le anse, tanto che vederlo arrivare ogni settimana insieme ai visitatori e alla posta, avanzando controcorrente e ancorando sulle rive, fa già parte della tradizione.
In lontananza si intravede l'altra riva del fiume, come una sottile riga verde che separa il cielo dall'acqua. La barca naviga vicino al margine, perché dovrà svoltare fra poco verso l'affluente di acque nere che penetra silenzioso dentro l'inestricabile macchia. Tutto è tranquillo dopo la tempesta e non si vede una nuvola e non si muove una foglia. Soltanto il fiume va. Le casette di legno coperte di grandi foglie di palma diventano sempre più rare, così come le canoe dei nativi. A ogni metro ci si allontana sempre più dalla civiltà.
- L'italiano viaggiò da solo - comunica un soldato al capitano. Il giovane militare ha gli occhi svegli, le labbra grosse e il naso aquilino.
Un lieve gesto sulla faccia abbronzata del capitano fa capire che ha sentito le parole. Prende la pipa contorta e fra le sue labbra scivola esile il fumo del tabacco. Il suo spirito, allenato sulle torbide acque, ha sviluppato tanta pazienza in questi anni. Osserva il soldato di sottecchi, con le sopracciglia alzate, e aspetta, senza pronunciare una parola.
- Il tenente Pelundez non voleva lasciarlo navigare da solo sul fiume e gli consigliò di ritornare in città - continuò l'altro -ma lui, ostinato, se ne andò su una canoa. Sta studiando le pratiche magiche degli stregoni. I nativi sono spaventati e dicono che il boa o il giaguaro lo hanno già trovato. Hanno paura dello spirito maligno del giaguaro che diventa umano nelle notti di luna e che loro chiamano Iwanch.
- Che c'entra l'Iwanch? - si informa il capitano.
- Dicono che l'italiano sia l'Iwanch perché è arrivato nella foresta in una notte di luna.
Il capitano ascolta immobile con gli occhi semichiusi e il suo sguardo si perde nella densità della selva, cercando il braccio del fiume che non deve essere lontano. E' lì che dovrebbe virare la barca. Pelundez, il tenente della caserma, è un suo amico e, nelle notti di guardia, molte volte hanno commentato, insieme sotto la luce della luna, le incredibili e fantastiche leggende dell'intricato mondo amazzonico.
- Aveva tutti i documenti in regola e non avevamo nessuna vera ragione per trattenerlo in caserma - si scusa il soldato, guardingo. - Il tenente gli consigliò di non viaggiare da solo, ma se ne andò all'insaputa di tutti, giù per il fiume sulla canoa, con vettovaglie e un fucile da caccia.
- La gente è aggressiva quando ha paura...
- Sono passati già nove giorni e al paese ci si arriva in molto meno tempo, anche durante la stagione delle piogge, se ci si lascia portare dalla corrente. Non può essersi perso, a meno che si sia addentrato nella macchia o lo abbia inghiottito...
- Che dici?
- ...un vortice - risponde il soldato, dopo essersi passato un fazzoletto sulla fronte con gesto nervoso.
- Non l'ha avvistato nessuno?
- I nativi non ci hanno dato notizie, ma sono molto silenziosi.
Il capitano aspira la pipa pensando, mentre scruta con i suoi occhietti chiari lo sguardo schietto del soldato che osserva il cielo cercando un segno del tempo.
- La gente è molto superstiziosa - continua il giovane militare - e se credono che l'italiano sia l'Iwanch, avremo problemi. A partire dalla luna piena, le canoe hanno portato la notizia da un posto all'altro lungo i fiumi. Per loro, lo potrebbe aver aggredito il giaguaro.
- Anche la selva ingoia la gente.
Il soldato assente con la testa mentre si asciuga il sudore col fazzoletto sporco che mette poi con cura nella tasca. I suoi occhi si intorbidiscono.
- Speriamo che lo trovino rapidamente... oppure che non lo trovino affatto.
Il capitano fa manovre e conduce la barca verso l'affluente di acque nere e può distinguere uno squarcio di cielo fra gli enormi rami degli alberi che si intrecciano in certi punti formando archi verdi sopra il fiume, quando si restringono le sponde. I pochi raggi del sole che attraversano la selva, producono scintille sul nero taffetà che corre liscio e silenzioso, avvolgendo alberi ombrosi e basse sterpaie.
I turisti, ammirati, espongono, eccitati in lingue diverse, l'emozione che produce avere il coraggio di dormire lontano dalle comodità conosciute, dal traffico caotico della civiltà, mentre scendono sul molo dell'albergo. E' lì che li aspettano cordialmente per portarli a conoscere bellissime lagune nascoste, silenziose paludi piene di caimani, orchestre notturne di uccelli e mammiferi, fra mille orchidee.
Gli agili e svelti camerieri avvolgono le corde; il fiume è il loro focolare, proporziona lavoro e alimento; conoscono i nativi e sono felici in mezzo a questa selva immensa con il suo odore di umidità.
Con un colpo del machete, il capitano taglia il tabacco da un rotolo di foglie seccate al sole. Lo sminuzza nella pipa e poi rimette con cura il resto dentro il suo stivale. Il fumo si dissolve nell'aria tiepida e i turisti lo salutano dal molo, mentre l'imbarcazione si allontana nuovamente giù per il fiume, ripetendo lo stesso scenario sulle acque, come se fosse uno specchio. Soltanto gli alberi accompagnano la barca, soltanto gli uccelli indicano la strada con i loro strilli prepotenti. Non molto lontano c'è la caserma e, quando ancorano alla banchina d'ormeggio, i soldati scendono e sale a bordo il tenente Pelundez con il suo pappagallo sulla spalla.
- Hai saputo la notizia dell'italiano? - esordisce.
- Che dicono sia l'Iwanch...
- Ho inviato alcuni miei uomini su due battelli di salvataggio lungo il fiume. Abbiamo anche interessato i nativi perché quell'uomo potrebbe spuntare da un momento all'altro da qualche parte.
Il capitano Gimenez serve due bicchieri di acquavite mentre il tenente Pelundez legge la sua posta.
- Mi chiedono notizie del giornalista scomparso, che pensano sia affogato nel fiume - dice indicando la lettera appena arrivata.
- Fiume - ripete il pappagallo.
Il tenente beve un sorso senza respirare e poi riflette: - La moglie di Fan è pronta per partorire.
- Le sto portando delle medicine - precisa il capitano.
- So che hai stima per lui, vero? Quel selvaggio ti ha accompagnato per i pongo, quei passaggi stretti e pericolosi del fiume e ti ha salvato dalle voragini.
- E' coraggioso, Pelundez.
- E' matto. Beve ayahuasca e altri allucinogeni, e delira la maggior parte del tempo. Non mi sorprenderebbe che lasciasse la moglie da sola mentre partorisce sull'amaca.
- Mi raccontava che chi cattura lo spirito del giaguaro, eredita la sua forza.
- Appunto, credono che l'Iwanch stia girando per la fitta macchia in questi giorni.
- Le leggende raccontano che l'Iwanch arriva quando ha bisogno di fabbricarsi un mantello con la pelle scorticata dei nativi della tribù aguaruna, perché questa è molto resistente sotto il sole.
A quel pensiero entrambi provano un brivido, prendono i bicchieri e bevono insieme per allontanare idee pericolose, perché ricordare le superstizioni del luogo non rende felici. L'Iwanch o spirito del giaguaro, per i nativi, può essere qualunque persona che non appartenga alla loro tribù amazzonica. Il sudore scivola dalle loro fronti abbronzate e il sole dall'alto scopre le rughe prodotte dal clima e dalla lotta giornaliera contro la natura che li circonda. In quelle braccia forti di pelle scura, gli insetti non fanno più strage perché si sono irrobustite aprendo sentieri, faticando per giorni interi, in cammino sotto il sole o la pioggia. Questi uomini hanno imparato quello che la foresta aveva da insegnare e sanno quel che succede in mezzo a questo mondo aggrovigliato.
- Prenditi la bottiglia, Pelundez! - esclama il capitano, mentre distoglie lo sguardo dall'orizzonte.
- E' quasi piena, capitano.
- Prendila, ti servirà. Non ne avrai un'altra fino alla prossima settimana.
Un sorriso illumina la faccia del tenente: - Grazie, Gimenez. Ci vediamo tra sette giorni.
- Se non ci scambiano per l'Iwanch.
Il tenente scende verso la caserma con la bottiglia in una mano e il pappagallo sulla spalla. Una canoa scivola dolcemente, piena di bambini che tornano dalla scuola, mentre un lucertolone nero tira fuori mezza testa e li guarda attraverso il fango della palude. Più in là, la corrente trascina rami e piccoli tronchi che si ammucchiano in un angolo del fiume. La barca continua la sua strada in mezzo alla selva, per incontrarsi con quel gigantesco fiume che sembra un mare, bordeggiando isolotti mentre il cielo e l'acqua prendono lo stesso colore grigio.
Fan, nativo di una tribù amazzonica, raccontò una notte a Gimenez che mentre un boa gli si attorcigliava intorno al corpo, la sua voce gli parlava e lui si sommergeva in viscidi liquidi. Questa volta, il capitano spera di non trovare Fan pieno di ayahuasca e delle sue allucinazioni. Il capitano non ha provato mai la droga perché deve stare attento se non vuole che lo inghiotta il fiume. Non ha bisogno di allucinazioni, per sognare gli bastano i suoi pensieri.
- Alle volte è meglio non pensare troppo - mugugna fra i denti.
E' arrivato alla casa sulla sponda del fiume, sembra deserta, anche se il capitano deve consegnare le medicine alla moglie di Fan che è gravida.
I mozzi di bordo aggiustano la tavola che serve da ponte, a poppa, e il capitano scende a terra. Forse si avvicina una tempesta perché il vento arriccia le acque sulla riva mentre i ragazzi pescano bagri, piranha e altri pesci di fiume, con un filo, dall'imbarcazione.
- Fan, dove sei?
Gimenez si guarda attorno spaesato, perché dove prima c'era una piantagione di riso, adesso c'è l'acqua del fiume, da quando la pioggia ha inondato le coltivazioni e lasciato senza cibo Fan e la sua famiglia. Il capitano si appoggia contro un albero e guarda la desolazione del posto: l'amaca è vuota e c'è sangue sul pavimento.
- Capitano?
Lui sente un fucile puntato sul fianco e non si muove. Fan sa avvicinarsi senza far rumore, ma Gimenez si era accorto che era lì. Assente con la testa mentre il nativo allontana il fucile da caccia.
- Certo che sono io! Chi potrebbe essere? Non vedi la barca sulla riva o non mi riconosci più? Ti porto anche le medicine.
- L'Iwanch, capitano... ha rubato il mio bambino questa mattina.
- Hai bevuto ayahuasca, Fan? Sei drogato?
Il nativo non risponde alle domande.
- Mia moglie gridava e piangeva, nel fare il bambino... Io sono corso dietro al giaguaro, capitano, che è arrivato come il vento e ha portato via il bambino fra i suoi denti. Ho seguito le sue tracce e sono arrivato alla palude.
- Il tuo bambino è nato e lo ha rubato il giaguaro?
- E' così, capitano.
- Come è arrivato fin qui questo fucile? Lo sai usare?
- L'ho preso inseguendo il giaguaro, capitano!
- Ma cosa mi racconti, Fan?
- Il giaguaro ha mangiato mio figlio, ma io l'ho inseguito e ho trovato il suo spirito.
- Il suo spirito? - ripete incredulo il capitano. - Dov'è tua moglie?
- L'ho picchiata forte con una canna perché si è fatta prendere mio figlio. Così bisogna fare, castigare chi non fa il suo dovere.
- Non si castigano le donne con le canne, Fan. Quelle pratiche della tribù non devi seguirle. Non hai imparato niente da me? - Il capitano rinnova la domanda: - Dov'è tua moglie?
- E' andata via piangendo e remando dalle sue sorelle, al paese. Non ha il bambino, ma non ha nemmeno paura. Deve essere già arrivata per il pranzo.
Gimenez aspira la pipa facendo rumori corti, rapidi e osserva con incredulità il suo vecchio compagno di avventure. Con lui ha navigato per le vie fluviali schivando macigni e la morte, tutti i giorni. Non arriva a comprendere come il suo amico possa seguire quelle abitudini barbare e usare il castigo fisico sui suoi cari. Anche se la moglie non deve essere molto addolorata perché se ne è andata lontano fino al paese.
Osserva pensieroso il sangue sul pavimento, i suoi occhi celesti si restringono, aggrottando la fronte.
- Come sai che era l'Iwanch, Fan, se non lo hai mai visto?
- Ho seguito le orme del giaguaro e ho trovato l'Iwanch con la pelle bianca come uno spirito. L'ho subito riconosciuto, capitano. Ho ucciso l'Iwanch anche se portava un'arma e l'ho mangiato. Il suo spirito maligno non tornerà mai più. Adesso ho io la forza della tigre, di quel giaguaro malvagio che ha rubato il mio bambino.
Solo in quel momento, Gimenez scopre, con un brivido, le ossa dietro i cespugli e trova una matita e un quaderno bagnato di pioggia e di sangue.
- Tu non sai scrivere, vero, Fan?
- Non ho mai imparato, capitano.
- Forse non era l'Iwanch... Forse colui che hai ucciso non era il giaguaro, non era lo spirito della tigre che ha rubato tuo figlio.
Il nativo lancia uno sguardo furtivo al capitano mentre fa un passo indietro e contempla la canna del fucile da caccia. Raccoglie la borsa delle medicine e dirige il suo passo diffidente verso la sua casetta di canne, ma poi si ferma.
- Vai via, capitano. Rapido e di corsa. La pioggia ha portato via le coltivazioni, ma per oggi tutti abbiamo mangiato e domani seminerò ancora del riso sulla riva. Anche il giaguaro, rapido e di corsa, si è portato via mio figlio, ma mia moglie il prossimo anno farà un nuovo bimbo. Questo fucile era dell'Iwanch e l'ho scambiato per mio figlio che ha rubato quando era ancora un giaguaro. Tutti abbiamo mangiato, tutti siamo contenti, capitano. Vai via e non tornare più.
Il capitano dirige i suoi passi verso la barca, ammutolito, mentre la tempesta si avvicina. Sarà meglio mettersi in marcia per arrivare nuovamente alla caserma da Pelundez, prima che venga la notte. Morde la pipa fra i denti, incredulo, nervoso e spaventato. Ha messo dentro il suo stivale la matita e il quaderno che ha trovato.
- Torniamo alla caserma! - ordina.
- Fan ha visto il giornalista, capitano?
Il fiume gigantesco cammina formando paludi, spazzando via le piantagioni, trangugiando case, canoe e vite. I fatti incomprensibili riempiono le foreste di leggende e di paure.
Gimenez vuole rispondere, ma si ferma un momento. Ha un nodo alla gola. Il suo cuore batte impazzito e non è sicuro se debba dire qualcosa. E' possibile che un uomo possa vivere le leggende in questo angolo del mondo e confonderle con la realtà? E' possibile che possa tenere quel segreto più a lungo? E' possibile, ma la sua anima di vero soldato si ribella contro le ingiustizie e rende impossibile mantenere il silenzio sui fatti. Fra poco racconterà al tenente ciò che ha visto e capito perché lui si prenda l'incarico di arrestare Fan.
- La selva è grande - risponde titubante ai mozzi di bordo - quell'italiano potrebbe essere in qualunque posto.
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