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Iniziamo questo nuovo anno con una bella novità.
La copertina dell'edizione Armenia de "I Giardini della Luna".
Già in alcuni articoli passati vi parlai della ristampa del ciclo di Malazan di Steven Erikson da parte della casa editrice Armenia. Ebbene, proprio a partire da oggi, recensirò l'intera saga nell'arco di tutto il 2018.
Ma facciamo prima una piccola introduzione.
Come alcuni di voi già sapranno questo ciclo, composto da ben dieci romanzi, ha guadagnato una celebrità crescente. Erikson e Ian Cameron Esslemont (entrambi archeologi e scrittori) elaborarono negli anni ottanta un'enorme ambientazione per quello che doveva essere un gioco di ruolo basato sulle meccaniche di Dungeons & Dragons. Purtroppo poi il progetto andò ad arenarsi, allora i due decisero di tentare la strada della serie TV, e composero una sceneggiatura ambientata nel loro universo. Neanche in questo caso trovarono qualcuno disposto a finanziarli (erano i primi anni '90, chissà se oggi le cose sarebbero andate diversamente). A quel punto, determinati comunque a sfruttare quel gigantesco lavoro che meritava di essere sviluppato, decisero di pubblicare in forma di romanzo le proprie storie (separatamente - io affronterò solo la saga tradotta in italiano, quella appunto di Erikson).
Erikson concluse il primo romanzo nel 1991, ma riuscì a trovare un editore soltanto nel 1999, guadagnandosi anche un contratto da 675.000 sterline per i successivi nove volumi, una delle cifre più alte mai pagate per un fantasy. Iniziò così la fortuna del Libro Malazan dei Caduti, che si sarebbe concluso nel 2011.
Ed eccoci qui.
Questa di oggi è la recensione del primo volume della saga: I Giardini della Luna.
Una piccola precisazione: il ciclo di Malazan è celebre proprio per la sua grande complessità, difatti i romanzi non seguono un semplice corso cronologico, ma sono narrazioni che si sviluppano contemporaneamente tra un libro e l'altro. L'autore fa ben poco per semplificare la vita del lettore; anzi, è proprio il lettore a dover estrapolare dall'enorme intreccio le cause e gli effetti. Per farvi un semplice esempio vi dico soltanto che, a confronto, le "Cronache del Ghiaccio e del Fuoco" (Il Trono di Spade) di George Martin sono una passeggiata: lì si parte dal punto A e si arriva al punto B (e le varie separazioni in un'ottica generale sono solo momentanee). Qui invece si parte da dieci punti, e si arriva ad altri ottanta punti.
Questo vi spaventa? Be', in effetti il ciclo di Malazan non è una lettura "comoda". Richiede un lettore che abbia gran voglia di lambiccarsi il cervello (e anche un buon blocco di appunti).
Le mie recensioni cercheranno, per quanto possibile, di affrontare soltanto il romanzo di cui si sta parlando e quelli che lo precedono. Dunque se lettori più esperti di me volessero commentare gli articoli, possono ovviamente farlo, ma nel rispetto di coloro che non hanno ancora letto i volumi successivi.
In poche parole: niente spoiler!
Ma adesso, finalmente, cominciamo!
I Giardini della Luna presenta subito il particolare stile di Erikson: vengono disseminati contemporaneamente decine di personaggi, tutti già nel pieno dell'azione. Scopriamo così che l'Impero Malazan (governato dall'Imperatrice Laseen, succeduta con la violenza all'Imperatore Kellanved) ha avviato un'enorme campagna militare nel continente di Genabackis e ne ha già conquistata la parte più a nord. Le dodici città libere del continente sono cadute quasi tutte, con esclusione di Pale e Darujhistan. Alle armate Malazan (con cui si sono alleati i Moranth, esseri non umani sempre coperti da armature) si contrappongono però non soltanto le forze militari di questi luoghi, ma soprattutto le armate del Signore della Guerra Caladan Brood, insieme alla Guardia Cremisi e soprattutto ai Tiste Andii (un'altra razza non umana) capitanati dal potentissimo Anomander Rake, arroccato nella Progenie della Luna (una sorta di fortezza levitante). Quest'ultimo, con la sua sola presenza, per tre anni ha fatto sì che le armate Malazan non riuscissero a conquistare Pale.
La trama entra nel vivo (dopo una serie di scene di prologo) proprio nel momento in cui l'esercito invasore, capitanato dal Gran Pugno Dujek e dal Sommo Mago Tayschrenn, decide di attaccare direttamente la Progenie della Luna sospesa su Pale. Questo attacco porta alla ritirata della Progenie in direzione di Darujhistan, ultimo baluardo contro l'avanzata Malazan.
Il lettore, a differenza di tutti gli altri fantasy, non ha però una fazione di "buoni" per cui parteggiare e una di "cattivi". I capitoli saltano da un versante all'altro del conflitto e in più di un'occasione si è costretti a rivedere le proprie convinzioni sui personaggi e sul loro ruolo. Se infatti la grande separazione tra Impero Malazan e Città Libere (Darujhistan in particolare) può apparire netta, in realtà all'interno di ogni gruppo ci sono innumerevoli spinte di potere e cospirazioni contemporanee e trasversali; inoltre, a propria volta, all'interno di ogni cospirazione, ogni personaggio tenta di portare l'acqua al proprio mulino personale.
Per fare un esempio "semplice" del funzionamento di questo romanzo (e anche degli altri), basti pensare alle fratture di potere presenti all'interno della sola Darujhistan, in teoria città avversa all'Impero. In essa troviamo: 1 - il Consiglio cittadino, diviso tra i fedeli di Turban Orr (che vorrebbe che la città rimanesse neutrale, così da aprirsi ai commerci con l'Impero per poi, in futuro, governare proprio per conto dell'Impero) e quelli della fazione di Estraysian D'Arle (che invece vorrebbe combattere l'Impero); 2 - la Cabala T'Orrud, comandata dall'Alchimista Baruk (in contatto segreto con Anomander Rake), che gestisce occultamente il Consiglio cittadino e vorrebbe mantenere la città libera; 3 - i sicari di Vorcan, che si vendono al miglior offerente e sanno che l'Impero potrebbe coprirli d'oro; 4 - la misteriosa Anguilla, che con le sue spie sembra essere ovunque; 5,6,7... n, n+1 - un altro brusio di personaggi: sicari, nobili, mercanti, ladri, Arsori di Ponti (truppe scelte imperiali infiltrate che in realtà complottano contro l'Imperatrice - tra loro troviamo alcuni dei personaggi "principali" più riusciti), Guardie Cremisi, e così via.
In questo enorme intrico di intrighi, subentra appunto l'Impero con le sue scissioni interne e i suoi personaggi sinistri, come per esempio l'Aggiunto Lorn, fedele inviata dell'Imperatrice che ha un compito alquanto complesso e segreto, fondamentale per arrivare a colpire Anomander Rake.
E, come se non bastasse tutto questo, ci sono soprattutto gli dei, entità potentissime che gestiscono i Canali (i condotti che legano il mondo ad altri piani di esistenza e da cui i maghi assorbono il proprio potere). Gli dei influenzano gli eventi (per ragioni ancora ignote al lettore) parteggiando ora per una, ora per l'altra fazione, ma soprattutto sfruttando alcuni ignari personaggi (il Capitano Paran o il giovane ladro Crokus, "protetti" dalla divinità Oponn: i Gemelli Giullari della Fortuna) o addirittura dominandoli mentalmente (la giovane Dolente, controllata da Cotillion, il Sicario dell'Alta Casa dell'Ombra).
L'enorme folla di personaggi e divinità (di cui vi ho fatto un riassunto sommario e, badate bene, semplificatorio) conduce a un assieparsi di situazioni e colpi di scena che esplodono poi nel finale tutti assieme.
Cosa non ho apprezzato
Il romanzo, linguisticamente parlando, ha uno stile molto fluido e semplice, in cui si rileva costantemente la preparazione culturale (soprattutto storica) dell'autore e la cura con cui è stato costruito il mondo. Purtroppo la traduzione italiana in alcuni punti non mi è parsa all'altezza. Non ho potuto fare a meno di rilevare "stranezze" che mi sono parse scivoloni di traduzione e che stonano con il contesto facendo storcere il naso.
Faccio due piccoli esempi (tra i tanti) per far capire cosa intendo: 1 - In un punto un personaggio risponde dicendo: "Okay". In un romanzo anglosassone questo può andar bene, ma in un romanzo in lingua italiana di ambientazione fantasy-medievale la cosa risalta in modo strano. Se questa parola fosse stata mantenuta come una costante, la si poteva prendere come una particolarità di linguaggio dell'ambientazione, ma essendo invece presente pochissime volte fa pensare soltanto a una fretta di traduzione. Sostituirla dunque con un "sì" o un "va bene" mi pareva una scelta migliore. 2 - Un personaggio viene definito un "piagnone". Questo termine è italiano, ma anche in tal caso in un romanzo fantasy che vuol ricalcare uno stile un po' desueto avrei preferito qualcosa come "piagnucolone" o "lamentoso". "Piagnone" a mio parere è troppo moderno e colloquiale, e nel corso del testo ho trovato spesso simili termini eccessivamente contemporanei.
Delle questioni di traduzione però non si può accusare l'autore. C'è invece un punto in cui Erikson non è incolpevole, ma di cui preferisco rimandare in futuro una discussione approfondita. Sto parlando di alcune piccole sottotrame che, dopo una lunga preparazione, sconfinano nel nulla anche nell'arco di una singola frase. Dopo un allestimento narrativo così vasto mi sarei aspettato un coronamento soddisfacente pure delle parti più piccole (ad esempio: il posizionamento delle mine sotto le strade di Darujhistan); questo discorso però, come appunto ho detto, lo lascio in sospeso, poiché magari Erikson mi sconfesserà nei volumi futuri sfruttando questi dettagli in nuovi colpi di scena.
Cosa ho apprezzato
A differenza de "Il Trono di Spade", mi sembra che in Malazan (o quantomeno, in questo primo volume, e spero rimanga così sino alla fine) non ci siano interminabili punti morti. Nei libri di George Martin o di Tolkien (e in moltissimi altri fantasy) si incontrano decine e decine di pagine, a volte centinaia, in cui i personaggi si limitano a camminare, a chiacchierare di questioni non troppo rilevanti, per poi sobbalzare all'improvviso per un qualche colpo di scena clamoroso.
In Erikson, al contrario, la tensione è costante e sempre crescente. Il libro è lungo perché la storia richiede molto tempo per essere narrata, e non perché è gonfiata in attesa di un qualche botto (anzi, in alcuni punti forse l'autore poteva prendersi anche qualche pagina in più). La suspense si gonfia perciò in continuazione, con intrecci su intrecci che si accavallano e che portano il lettore su una cavalcata estenuante sino al finale. In un certo senso, lo stile di Malazan mi ricorda più i thriller moderni che i classici romanzi fantasy, poiché la velocità e gli eventi hanno costantemente la meglio su tutto. Del resto, in questo primo romanzo, non ci sono chissà quali colpi di scena, ma la suspense ti fa arrivare in un baleno a pagina 648 e ti costringe a iniziare immediatamente il secondo volume.
Ma del secondo libro, "La Dimora Fantasma", parleremo il mese prossimo.
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