Il popolo dalle lunghe teste

di Adriana Alarco

Scendendo verso la costa dalle terre alte non credevo di trovare un popolo così strano in quella vallata. Le case di pietra avevano alti soffitti ricoperti da fusti legati con forza fra loro ed erano costruite su una collina di sabbia rossa. Ero arrivato fin lì per accompagnare il gruppo sceso dalla sierra al grande lago di acqua dolce, tanto esteso come questo mare di sale. Avevamo dormito sulle sabbie del deserto vicino a un fiumiciattolo.

Moai dell'Isola di Pasqua, conservato al Quai Branly, immagine rilasciata sotto licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported, fonte Wikipedia, autore Sailko

Le popolazioni costiere che avevamo trovato fino a quel momento erano cordiali e stravaganti. In questo paesino la popolazione aveva la testa allungata, appuntita, con le orecchie molto piccole. Indossavano abiti di cotone intessuto abilmente, in maglie strette e precise. Ciò che ci sorprese maggiormente fu che li vedemmo volare.

Una leggenda racconta che in passato esistevano persone volanti provenienti dal mare, ma avevo sempre pensato che fosse un antico mito senza verità. Tuttavia, li vidi volare con questi stessi occhi, nei pomeriggi di forte vento. Così appresi come spostare le pietre e gli uomini con il vento. Chiesi se fossero sempre vissuti lì.

Una donna mi raccontò che avevano navigato da un'isola lontana su barche di legno. Avevano lasciato enormi pietre con immagini di teste che guardavano verso il mare, per farsi trovare in caso non avessero fatto ritorno alla loro isola. E non poterono tornare perché le tempeste distrussero le loro navi, le loro attrezzature e quasi tutti gli isolani morirono. Quelli che si salvarono erano ancora in attesa di qualcuno che li conducesse di nuovo a casa, ma non arrivò nessuno dall'isola.

Volevano ostinatamente tornare a casa. Provarono a utilizzare i tessuti di cotone come vele per le navi di canne e rami che avevano costruito, ma fallirono. Sognavano di tornare volando verso la loro isola. Era il loro obiettivo, la loro destinazione e il loro più grande desiderio. La tradizione era stata trasmessa dai genitori ai figli per anni. Avevano cercato in tutti i modi di navigare sulle acque o nei cieli verso la loro terra lontana.

Parlò ancora quella donna gentile, chiamata Nasca, quando volli approfondire con curiosità le loro tradizioni e imparare come vivevano nel villaggio. Mi insegnò il loro modo di volare. Parlando la trovai attraente, anzi, direi bella. Si esprimeva in modo chiaro, affascinante e non incerto come gli altri. Mi guardava con gli occhi inquieti e beffardi posti nel mezzo di quel suo capo allungato e appuntito, con pochi capelli delicati e oliati. Era una donna di comando, figlia di un capo. Gli altri nel villaggio ubbidivano ai suoi ordini senza indugio. Rispose a tutte le mie domande, poi prese la mia mano e mi portò verso casa sua, nel centro del paese. Nel frattempo i miei compagni riposavano dietro paratie a mezza altezza: non importava poiché in quella zona non pioveva mai e il caldo diurno soffocava. Io sono un cacciatore giovane e forte e posso dormire all'aria aperta, come fanno pure gli anziani, ma la donna mi fermò con una carezza.

- Vilca - mi disse - voglio sapere da dove venite.

Le raccontai che provenivamo dagli altipiani di quelle montagne che chiamiamo Ande, verso la costa. Cercavamo cacciagione per mangiare, trovammo cervi e uccelli. Lassù abitavano i lama, i guanachi e le vigogne selvatiche; con le loro pelli e la loro lana producevamo tessuti per coprirci, nella stessa maniera in cui qui si usava tessere le fibre del cotone selvatico per confezionare i vestiti e le vele. Le raccontai che ogni tanto con altri uomini scendevo dalle valli al mare in cerca di cibo e scambiavamo le nostre armi di pietra e le frecce di canna con reti di liane, vestiti di cotone, ganci di conchiglia e osso per la pesca. Nelle valli lungo i fiumi che scendono dalle montagne scoprimmo frutti e altri animali che abitavano in questi luoghi.

Nasca mi offrì da bere un mate e mi fece vedere i depositi di grano, di mais e di peperoncini essiccati al sole. Non soffrivano di carestie nemmeno in mezzo al deserto, dove seminavano e portavano l'acqua lungo i canali. Lei mi ha insegnato molto. I tessuti che la coprivano e che adornavano la sua casa erano meravigliosi. Indossava uno squisito pizzo bianco di cotone e gli arazzi appesi mostravano uccelli, volpi, giaguari e roditori multicolori.

In quel luogo imparai a volare.

Un pomeriggio soffiò forte il vento "paraca" e Nasca mi spiegò che questo vento era benedetto da tutti. La donna mi confidò che i loro antenati arrivarono su quell'isola lontana da altri mondi a bordo di una strana nave, volando verso la Terra da una stella che brilla di notte e poi scompare. Lei aveva ereditato quell'istinto d'avventura per i viaggi e i voli nel deserto. Lo portava nel sangue.

La amai, la coprii di sabbia bagnata e bevemmo succo di airampo. La carezzai e la baciai. Era uno spettacolo guardarla.

Nessuno sa meglio di me le cose meravigliose che può insegnare una donna più anziana a un giovane montanaro. Non ebbi esitazione alcuna nel condividere il suo letto e intanto mi spiegava, mentre mi accarezzava tra le cosce e baciava il mio petto e il viso, come avesse incominciato a volare. Un giorno, ammirando il lavoro dei suoi uomini che riproducevano il movimento delle stelle disegnando sul terreno, si sedette su un banchetto coperto da vele di cotone tessute fitte, per ripararsi dal sole e dalla sabbia che si alzava con la brezza. Questo telo era stato fissato ad alti pali di legno e legato con corde al banchetto.

- Lo sai - mi disse Nasca - che di pomeriggio in questa zona il vento paraca alza la sabbia e la fa volare in gorghi? Quel giorno, tutto a un tratto, il tessuto che copriva il posto dove ero seduta si gonfiò con l'aria e mi alzò da terra assieme al banchetto e mentre volavo sotto quel cielo al tramonto, ammirando il sole gigantesco che andava nascondendosi in fondo al mare e colorava di rosso le sabbie, guardai verso l'orizzonte marino e capii come potevamo tornare a casa.

- Che terribile esperienza! - le risposi io.

- Invece è stato meraviglioso. Afferrai le corde, volai in aria e da lì potei osservare le linee disegnate sulla "Pampa Colorada". Così, con le mie istruzioni dall'alto, gli uomini finirono i disegni sulla sabbia: la scimmia dalla coda arrotolata, il colibrì, il trampoliere, il ragno e la lucertola, seguendo il percorso delle stelle che ci indicherà la via da seguire per tornare a casa, quando decideremo di intraprendere il nostro viaggio.

Giorno dopo giorno imparai da Nasca a maneggiare le stringhe e a sorvolare i disegni nella Pampa, seduto su una sedia di filo di cotone ritorto. Lei mi raccontò che riuscì a volare in alto, con il paraca pomeridiano, godendo in mezzo al vento tempestoso, spostandosi sempre più lontano dalla terraferma. Dall'alto si vedevano il mare con le sue onde, le nuvole, i deserti e un miscuglio di colline di sabbia, montagne lontane e valli con fiumi di acqua chiara che avvolgevano le dune.

- Forse, un giorno, voleremo verso la nostra isola - mi confidò Nasca, ma io non le credetti. E' pericoloso e pauroso levarsi volando molto in alto, sospinti dal vento.

Qualche tempo dopo, insieme ad altri cacciatori, tornai verso casa, nella sierra alta. L'esperienza del volo che raccontai tornando in paese mi ha fatto guadagnare la fama di essere superiore alla mia gente. Oggi sono il capo del villaggio e sono in grado di spostare le pietre in aria, quando soffia il vento, e costruire muri giganteschi. Le donne tessono il cotone con stretti filati e gli uomini sorvolano i lavori come uccelli spostati dal vento. Ho imparato nel villaggio delle Lunghe Teste che si vola in aria per guardare le linee disegnate dall'alto, come una mappa o un itinerario scritto sulle sabbie costiere. A loro servirà per tornare a casa. Durante gli esperimenti in aria qui sulle montagne, tuttavia, ci sono stati alcuni incidenti mortali. Forse qualcuno non ha gestito bene i tessuti o le stringhe oppure io non so insegnare bene la tecnica. Avvenne un giorno che alcuni bravi giovani caddero da grandi altezze sopra le pietre. Fu un disastro. Passato quel periodo di sventura, la gente preferì dimenticare come si faceva a volare.

Ai giovani coraggiosi è subentrata la paura del castigo impartito dal dio Sole, della punizione riservata a coloro che lo affrontano, e il terrore per ogni sconosciuto. Non ho insistito per non provocare più morti. Nel corso degli anni ho inviato un gruppo dei miei uomini più fidati alla costa per cercare il paese della gente dalle Lunghe Teste. Alcuni erano già stati lì anni addietro assieme a me. Trovato il posto videro che non vi abitava più nessuno. Era vuoto. Forse gli abitanti hanno fatto ritorno alla loro isola; forse hanno adempiuto al loro prolungato desiderio e sono volati con le vele di cotone verso la loro terra natia. Il popolo del vento è migrato. Spero solo che l'arte di volare non si perda nei meandri del tempo.

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