Indira Priyadarshini Gandhi, nata Nehru, seppe innalzare il subcontinente indiano al ruolo di grande potenza, governando la più popolosa democrazia del mondo nel periodo più difficile della sua storia, quello dello sviluppo. Approfondiamo quali furono gli eventi principali della sua vita per scoprire i punti di digressione utilizzabili come base per opere di storia alternativa.
Infanzia e vita prepolitica
Nata il 19 novembre 1917 ad Allahabad, Indira era l'unica figlia di Kamla e Jawaharlal Nehru. Quest'ultimo fu il primo presidente dell'India indipendente e tale fatto fu solo l'apogeo di una vita completamente pervasa dalla politica. Fin dalla più tenera età, Indira non poté fare a meno di rimanere coinvolta nella lotta per l'indipendenza dell'India che vide in concreto ogni membro della sua famiglia parteciparvi attivamente. I nonni, gli zii (tra i quali Vija Lakshmi Pandit, prima donna chiamata a presiedere l'ONU) e i genitori, ciclicamente venivano arrestati per reati contro l'Impero Britannico, costringendola da subito ad assumersi diverse responsabilità come donna di casa.
Capitava addirittura che in alcune occasioni tutti i componenti della famiglia fossero agli arresti e lei fosse l'unica rimasta libera. Ciò avvenne già all'età di quattro anni e nel decennio che seguì fu un'eventualità piuttosto frequente. Il duro trattamento cui furono sottoposti i suoi genitori durante i lunghi periodi di prigionia indebolì notevolmente la salute della madre che fu costretta a trascorrere una lunga convalescenza in Svizzera, accompagnata dalla piccola Indira, di appena otto anni.
Il Mahatma Gandhi in compagnia della piccola Indira in un momento di riposo della sua complicata, eppure eccezionale, infanzia.
La lontananza dal paese natio e gli studi in un collegio svizzero modificarono per sempre la sua visione del mondo. Infatti, provenendo da una famiglia molto ricca e culturalmente all'avanguardia, avrebbe potuto adagiarsi nel tradizionale riserbo delle donne indiane, in attesa di un buon matrimonio che gli garantisse un futuro prospero. Al contrario, trascorrere i primi anni dell'adolescenza in una nazione straniera gli permise di vedere la realtà della sua nazione con gli occhi di un'osservatrice distaccata, capace di individuare i difetti e i problemi pur mantenendo inalterato l'amor patrio trasmessole dal padre.
Rientrata in India, divenne attiva nella guerriglia contro gli Inglesi già a 11 anni. Fondò la Monkey Brigade, una formazione costituita interamente da ragazzi che si ispirava all'esercito Monkey del poema epico Ramayana. Composto da più di seimila membri, il movimento ebbe ruolo attivo nella lotta per l'indipendenza sia fornendo un servizio accurato e sicuro di trasmissione delle comunicazioni tra i delegati dei movimenti per l'indipendenza sia attaccando impunemente alcune caserme inglesi. Come lei stessa ricorda, in questa prima parte della sua vita fu d'enorme importanza la vicinanza di suo padre e del Mahatma Gandhi che non la esclusero mai dalle discussioni politiche né dalla partecipazione attiva nelle azioni di protesta e di lotta. A proposito, ella disse: "...le mie scelte furono influenzate da loro, dallo spirito d'uguaglianza che essi infusero in me; la mia ossessione per la giustizia viene da mio padre che a sua volta la ricevette dal Mahatma Gandhi. Però non è giusto dire che mio padre mi influenzò più degli altri... Furono tutti, fu un tutto..."
Lo stretto legame col padre, già profondamente chiaro dalle lettere che le scrisse dal carcere durante il tempo della Monkey Brigade, poi raccolte in due libri divenuti famosi, fu ulteriormente aumentato dalla prematura scomparsa della madre (1934), dovuta ad un cancro. L'improvvisa mancanza della figura materna sconvolse a lungo Indira che fino all'inizio della Seconda Guerra Mondiale si disinteressò della vita politica, dedicandosi unicamente agli studi superiori, diplomandosi prima alla Visva-Bharati University, nello stato del Bengala, per poi continuare i propri studi di nuovo all'estero presso il Sommersville College di Oxford in Gran Bretagna.
L'avvicinamento alla vita pubblica
La permanenza sul suolo inglese fu particolarmente fruttuosa per quel che riguarda l'attività politica della futura leader. Si iscrisse al partito laburista e cominciò un'intensa attività d'appoggio al movimento del Congresso indiano in cui era entrata nel 1938. L'impegnativo lavoro le permise di entrare in contatto con altri esponenti indiani del Movimento, anch'essi in Gran Bretagna per motivi di studio e di lavoro. Tra loro vi era uno sconosciuto avvocato di Bombay, Ferozi Gandhi, omonimo, ma non parente, del Mahatma che riuscì a far breccia nel cuore della giovane Indira che fino ai diciotto anni si era professata profondamente convinta di poter fare a meno degli uomini. Quell'amore, che poi sarebbe culminato nel matrimonio nel 1942, fu fortemente osteggiato addirittura da tutta l'India. I motivi erano semplici: Indira apparteneva a una famiglia di Brahamini, di religione Indù, mentre Ferozi era un Parsi, discendente di un gruppo culturale fuggito secoli addietro dalla Persia per evitare le persecuzioni musulmane. La differenza di religione, uno dei mali oscuri che affliggono ancora oggi l'India, costituiva un insormontabile problema per qualunque persona nata laggiù, tranne per Indira. Il padre Nehru fu in principio contrario a un matrimonio che provocava dissidi persino tra i sostenitori del suo partito e faceva ricevere alla sposa centinaia di lettere minatorie al giorno, ma fu costretto a cedere all'ostinato rifiuto della figlia di rinviare le nozze anche di un solo giorno. La cerimonia avvenne nel febbraio 1942.
Se Nehru aveva creduto che la vita coniugale avrebbe potuto cambiare almeno parzialmente il carattere troppo irrequieto della figlia, si dovette ricredere ben presto. Anche Ferozi era impegnato politicamente quanto la moglie. Da un'unione del genere non ci si poteva aspettare altro se non una dura lotta d'opposizione all'occupazione britannica. Già sei mesi dopo le nozze, le autorità di Sua Maestà li avevano arrestati con l'accusa di attività sovversiva. Indira fu condannata a 7 anni di reclusione che furono poi convertiti in tredici mesi di cui solo nove effettivamente scontati nelle prigioni indiane. Il suo coinvolgimento nella lotta per l'indipendenza dell'India fu via via maggiore e quando il grande paese finalmente la ottenne nel 1947, la nomina di suo padre a primo presidente della repubblica indiana sembrava preludere a una sua attiva partecipazione al governo. Invece, là dove non erano riusciti né i fanatici religiosi né la polizia britannica, riuscì la nascita in rapida successione dei suoi due figli. Il nuovo ruolo di madre la convinse a mettere momentaneamente da parte le sue aspettative politiche per dedicarsi alla vita familiare. Nei suoi ricordi quegli anni vengono dipinti come i più felici della sua vita e non c'è motivo di dubitarne, potendo vedere quale amore legò alla madre entrambi i figli.
Il distacco dalla vita pubblica durò fino al 1955, quando le fu affidato l'incarico di prima collaboratrice del padre. Come segretaria e consigliere personale dell'illustre genitore ebbe modo di abituarsi al potere senza dover subire gli aspetti negativi della pressione causata dal suo diretto esercizio. Già nel 1957, a Chamba, parlò per la prima volta ufficialmente in un comizio elettorale al posto del padre, raccogliendo grandi consensi. Il successo era proprio dietro l'angolo. Come sovente accade, le fortune professionali non coincidono con quelle familiari. Il sempre maggiore coinvolgimento di Indira negli affari di stato causò un progressivo allontanamento dal marito che, abituato a un ménage tranquillo e compassato, aveva mal digerito i continui spostamenti della moglie. La separazione fu inevitabile, ma nessuno dei due volle mai divorziare. C'è chi dice che rimasero sposati per convenienza, ma Indira stessa affermò che l'amore non era finito e che la lontananza era causata solo dal suo lavoro col padre. Comunque sia, tale condotta durò poco, perché Ferozi Gandhi morì nel 1960.
L'anno precedente Indira aveva ottenuto la nomina a Presidente del Partito del Congresso, primo passo verso posti di maggiore responsabilità. Nel 1964 Nehru morì improvvisamente, lasciando la figlia, appena eletta al Parlamento indiano, priva della sua ala protettrice. Per la successione al grande statista non fu presa in considerazione Indira che ancora non aveva sufficiente carisma per pretenderla. Fu nominato Primo Ministro Lal Bahadur Shastri che comunque non dimenticò la fazione del partito che era fedele alla famiglia di Nehru, concedendo ad Indira di diventare Ministro dell'Informazione.
La conquista del potere
L'abilità e la determinazione di Indira sarebbero forse passate inosservate se Shastri avesse mantenuto la carica più a lungo. Gli equilibri di potere si sarebbero consolidati escludendo l'erede di Nehru dal potere, anche a causa del fatto di essere una donna in una nazione profondamente tradizionalista. Al contrario, nel 1966, il Primo Ministro morì per un attacco di cuore, lasciando vacante l'incarico più importante dell'India. Il partito del Congresso che possedeva saldamente la maggioranza all'interno del Parlamento era però diviso al suo interno tra un'ala di tendenze socialiste cui si richiamavano anche i seguaci della corrente di Nehru e una di destra moderata guidata da Moraji Desai. Entrambe disponevano di largo appoggio tra la popolazione, ma nessuna delle due aveva voti sufficienti per eleggere il proprio rappresentante. Per non correre il rischio che l'opposizione approfittasse di queste discussioni interne si acconsentì a designare Primo Ministro una figura di compromesso che rispecchiasse la continuità col passato. Quale scelta migliore di Indira Gandhi, figlia di Nehru?
L'immagine di donna decisa, severa e, in definitiva, sola che Indira Gandhi diede di sé nella sua esperienza pubblica non corrispose affatto alla realtà della vita privata, allietata dall'amore dei due figli.
In aggiunta a tali motivazioni chiaramente d'opportunità, ve ne erano altre più difficili da confessare. Desai era convinto che Indira fosse facilmente controllabile e influenzabile, quindi l'ideale per esercitare il potere restando nell'ombra. Raramente nella storia moderna un giudizio personale fu tanto errato. Una volta conquistato il posto, Indira ebbe circa un anno per prepararsi alle elezioni del 1967. Durante quel periodo mise in pratica una politica decisamente aggressiva contro tutti i mali che attanagliavano il suo paese, primo fra tutti la povertà diffusa. Procedette a una nazionalizzazione delle risorse minerarie e finanziarie, rendendo finalmente indipendente dall'estero anche l'economia indiana. Le nazionalizzazioni non furono però fini a se stesse, ma preordinate a un più vasto progetto di ridistribuzione delle ricchezze che le fece guadagnare l'appellativo di "Comunista" che la irritava alquanto, poiché lei si sentiva più socialista, dove per socialismo intendeva una politica di giustizia più che un'ideologia. In un periodo in cui nel mondo si poteva essere o con i Sovietici o con gli Statunitensi, l'India cercò una terza via, quella del non-allineamento.
Il 1966 fu anche l'anno in cui si svolse una delle più gravi carestie che abbia mai colpito l'India. Ebbene, seppure segnato dalla fame e dalla sofferenza, il governo di Indira rifiutò ogni aiuto dall'estero. Il brillante superamento di quelle difficoltà fu seguito da una pianificazione accurata delle nascite, attraverso una politica demografica all'avanguardia. Conscia dell'impossibilità di sostenere un tasso di crescita pari a un quinto della popolazione ogni quindici anni, Indira adottò provvedimenti estremamente drastici che in paesi europei non sarebbero mai stati accettati, ma che si addicevano alla gravità della situazione indiana. Giunse persino alla sterilizzazione maschile decretata per legge in casi limite. Seppure a fatica cominciò a insegnare al proprio popolo che i figli sono una ricchezza non perché possono portare a casa un nuovo stipendio già a sei o sette anni d'età, ma piuttosto per il futuro migliore che potevano garantire all'India.
A chi le rinfacciava che la sterilizzazione era una pratica barbara contraria ai diritti umani, rispondeva che non trovava nulla di sbagliato nello sterilizzare un uomo che avesse già otto o dieci figli, specialmente se ciò poteva servire per far star meglio quegli stessi bambini. Coloro che l'avevano eletta come figura di transizione si trovarono spiazzati di fronte a tanta attività. Fu attaccata dall'ala più conservatrice del suo partito che non poteva sopportare che si applicassero politiche di pianificazione sullo stile dei piani quinquennali sovietici nella Democrazia indiana. Più volte Indira rischiò di perdere la fiducia al Parlamento, tuttavia seppe mantenersi al governo fino alle elezioni del 1967. Il lavoro svolto in così poco tempo fu talmente apprezzato dal popolo che la vittoria schiacciante giunse inaspettata. Il partito del Congresso ottenne 355 seggi al Parlamento. Purtroppo, gli equilibri di potere interni al Partito si erano modificati solo leggermente in favore di Indira e perciò dovette piegarsi alla necessità contingente, nominando vice Primo Ministro Moraji Desai. Il quadriennio fino al 1971 servì per consolidare la propria posizione. La riforma bancaria iniziata nel 1966 fu proseguita, trasportando in mano pubblica tutto il capitale che circolava per il finanziamento privato. Però, invece di dirigersi verso uno statalismo inutile e dannoso, si procedette a piani di risanamento industriale che si giovarono enormemente della facilità di accesso al credito, non più limitato dalle amicizie e dalla corruzione che l'avevano caratterizzato fino ad allora. La grande nazione Indiana sembrava aver iniziato la lunga strada per diventare un vero stato moderno.
La guerra Indo-Pakistana del 1971
Purtroppo il sogno rischiò di infrangersi nel 1971 per il riacutizzarsi della crisi con il vicino Pakistan. I due paesi erano stati uniti fino al 1947 sotto la dominazione britannica e successivamente divisi in base a criteri puramente arbitrari per separare le popolazioni che professavano le due principali religioni indiane: l'islamismo e l'induismo. Grandi migrazioni costrinsero milioni di persone ad abbandonare le proprie terre natie per raggiungere i correligionari.
Sfortunatamente, l'alta concentrazione di mussulmani nel Bengala Orientale, a più di tremila chilometri dal resto del territorio destinato agli islamici, non consentiva lo spostamento verso il Pakistan Occidentale della popolazione ivi residente. All'atto dell'indipendenza fu presa la decisione balzana di far nascere il Pakistan così com'era, diviso in due parti, di cui la seconda, cioè il Bengala Orientale, interamente dipendente dall'India per quel che riguardava l'economia e le comunicazioni. La questione del Kashmir e il conflitto che ne era seguito nel 1947 non aveva fatto altro che acuire la sensazione di accerchiamento che condizionava enormemente la politica estera dell'India, messa alle strette anche dall'altro scomodo vicino, la Cina.
Le già precarie relazioni tra Pakistan e India degenerarono rapidamente per l'instabilità interna dello stato di Islamabad, profondamente diviso da rivalità politiche e personali che si identificavano con due persone: Mujib Rahman e Zulfikar Alì Bhutto. Alle elezioni del 1970, il primo aveva ottenuto la maggioranza assoluta nel Pakistan Orientale, mentre il secondo nel Pakistan Occidentale. La costituzione pakistana aveva lasciato arbitro della situazione l'allora presidente della repubblica, Yahya Khan che per tutto l'inverno del 1971 permise piena libertà ai due contendenti. Mujib, conscio del potere di cui poteva disporre, si espose in maniera sempre più spiccata reclamando l'indipendenza del Pakistan Orientale fino a comunicarlo direttamente a Bhutto in un incontro personale che avvenne il 27 Gennaio 1971. Il fatto che né Bhutto né il presidente Yahya avessero nulla da obiettare sul quel progetto fecero credere a Mujib di avere mano libera negli affari del Pakistan Orientale. Per due mesi costruì un'ampia rete di contatti e appoggi in preparazione della secessione, tenendo anche discorsi pubblici al riguardo.
Si può solo immaginare quale fu la sua sorpresa quando il 25 marzo il presidente Yahya dichiarò la legge marziale in tutto il Pakistan Orientale, senza nessun preavviso. Il comando militare delle operazioni contro i secessionisti fu affidato al generale Tikka Khan che nella notte tra il 25 e il 26 marzo sguinzagliò le sue truppe nella città di Dacca, capitale della provincia orientale. Certo, i congiuranti contro l'unità del Pakistan furono tutti arrestati, ma i soldati non si limitarono a questo. Ci furono fucilazioni e impiccagioni di massa di chiunque fosse anche solo sospettato di aver collaborato con loro. Le truppe regolari si diedero al saccheggio e infierirono contro la popolazione locale con crudele premeditazione. Le cifre ufficiali dei massacri parlano di 50.000 morti dal tramonto all'alba. L'orrore causato dall'esercito spinse una marea di civili a cercare rifugio in India. La comunanza di razza tra gli abitanti del Bengala Occidentale e Orientale, divisi politicamente solo da poco più di vent'anni, fece credere ai profughi che l'unica via di scampo fosse proprio in quella direzione. Tra 2 e 5 milioni di pakistani orientali si riversarono in India, non trattenuti dalle autorità del Pakistan, troppo impegnate nel ripristino dell'ordine nelle alte sfere del potere per potersi occupare anche degli aspetti umanitari dell'esodo.
Rimane ancora oscura la ragione che si trova alla base delle azioni di Indira Gandhi che seguirono quei tristi momenti. L'India avrebbe anche potuto farsi carico di tutti i profughi che, in fin dei conti, prima del 1947 erano considerati cittadini indiani e che conservavano parentele nel Bengala Occidentale. Invece, il 26 novembre 1971 fu deciso un intervento militare nel Pakistan Orientale. Ufficialmente, la nuova guerra fu per arginare il flusso di profughi, ma più verosimilmente si può affermare che Indira avesse visto in quell'azione un'ottima occasione per spezzare quell'accerchiamento che, a torto o a ragione, credeva l'India stesse subendo.
Carri armati della 18th Cavalry Brigade Indiana fotografati durante una delle guerre indo-pakistane. Gli scontri col vicino musulmano furono sempre all'ordine del giorno nell'agenda politica di Indira Gandhi. Anche nel corso del conflitto con quel paese, che la vide protagonista con decisioni fondamentali e spesso impopolari, la statista seppe dimostrare la propria preparazione in ogni situazione.
Lo sforzo dell'esercito indiano fu enorme. Le truppe pakistane dislocate nella parte orientale, pur combattendo per la sopravvivenza del proprio stato, furono subito in difficoltà. Per una lunga settimana le guarnigioni pakistane che dal Kashmir fino all'oceano indiano presidiavano il confine occidentale, restarono inoperanti. Solo il 2 dicembre, quando ormai si pensava che Islamabad avesse accettato la perdita della regione di Dacca, l'esercito Pakistano cominciò un'ampia offensiva preceduta da operazioni aeree d'interdizione preventiva nella zona di Jaisalmer. Il comando generale indiano fu inizialmente sorpreso dalla forza dell'attacco e dalla sua estensione. Sul principio l'avanzata pakistana fu veloce, ma in pochi giorni la situazione cambiò in favore degli indiani. L'impossibilità pakistana di aprire un secondo fronte a Oriente, come era avvenuto nel 1947, permise agli Indiani di concentrare i propri sforzi, focalizzandoli contro la provincia del Punjab. La superiorità dell'aviazione indiana, capace di struggere migliaia di carri armati nemici nel deserto che separa le due nazioni, fece il resto. Già alla fine del mese di dicembre la guerra era virtualmente vinta dagli Indiani, anche se la pace fu firmata a distanza di anni.
La vittoria dell'India comportò gravi conseguenze a livello politico da ambo le parti. In Pakistan, il presidente Yahya Khan fu costretto a dimettersi, sostituito da Bhutto. Il Pakistan Orientale conquistò l'indipendenza con il nome di Bangla Desh e Indira Ghandi si trasformò in un eroe nazionale, garantendosi la vittoria nelle elezioni del 1972. La sua condotta durante la guerra fu ineccepibile. Ogni volta che fu necessario adottare una decisione cruciale, Indira se ne prese la piena responsabilità. La fermezza che aveva dimostrato in tempo di pace fu trasferita anche negli avvenimenti bellici.
Ne è dimostrazione l'autorizzazione concessa per l'utilizzo del napalm contro i mezzi corazzati pakistani. Sebbene quell'arma non servisse per distruggere direttamente i carri armati, era un ottimo mezzo per allontanare la fanteria d'appoggio e interdire a lungo le zone colpite. Le distruzioni materiali e le perdite in termini di vite umane furono giustificate da Indira stessa con la necessità di arginare l'offensiva, dimostrandosi così un vero Machiavelli al femminile.
Gli anni settanta tra successi e fallimenti
I fantastici successi economici e militari raggiunti nel primo quinquennio di potere influenzarono eccessivamente l'operato della Gandhi negli anni successivi. Ritenendo ormai consolidata la riforma industriale del paese, sottovalutò la portata della crisi finanziaria che attraversò il mondo nel 1973. L'India, anche se in via di sviluppo, era ancora afflitta dagli stessi problemi con cui aveva dovuto lottare Nehru. Essi si espressero in tutta la loro gravità in una serie di proteste popolari e sindacali che sconvolsero Delhi e il nord del paese, reclamando miglioramenti salariali, e nelle condizioni di vita della classe media, ancora troppo povera secondo gli standard internazionali. Indira sentenziò che si trattava unicamente di agitazioni sobillate dai suoi nemici politici. Pur se ciò era in parte vero, giacché il partito del Congresso conservava le sue tradizionali divisioni, il malcontento della popolazione era reale.
L'opposizione interna al partito comprese che era il momento adatto per sferrare un attacco senza precedenti contro il primo ministro e adoperò come pretesto la campagna elettorale del 1972. Esistono poche testimonianze di come si svolsero davvero i fatti, ma le deposizioni giurate proposte nel 1975 all'Alta Corte di Allahabad convinsero i giudici della presenza di alcune anomalie nell'elezione di Indira Gandhi al Parlamento. Le fu impartito l'ordine di abbandonare il seggio appena conquistata e fu bandita dall'amministrazione per un periodo di sei anni. Indira che aveva sempre sostenuto fino ad allora le ragioni della democrazia pura, accettando i verdetti delle urne, prese una decisione drastica. Anziché accettare passivamente la sentenza, proclamò lo stato d'emergenza nel paese, imprigionando gli oppositori politici e sospendendo le libertà politiche.
La stagione delle tensioni, anziché consolidare definitivamente il suo potere, non fece altro che velocizzarne il declino. Il comportamento antidemocratico le valse l'alienazione del consenso del popolo che non riconosceva più in lei un degno successore di Nehru. Il calo di consensi fu tanto forte che nel 1977 il partito del Congresso perse il potere. La sconfitta provocò la scissione del partito, fino ad allora rimandata dalla necessità di rimanere al governo. Nel 1978 i sostenitori di Indira crearono il Congress Indira Party che le permise di tornare nuovamente in Parlamento dopo un periodo di assenza brevissimo. Rientrata nell'ambiente a lei più congeniale, Indira cominciò a tessere una stretta tela di amicizie e alleanze anche con altri partiti d'opposizione. La sua abilità fu tale che già nel 1980 fu nominata per la quarta volta Primo Ministro. Al suo fianco volle il figlio Sanjay, per preparare una successione che avrebbe potuto originare una vera e propria dinastia.
Il crepuscolo e la scomparsa
Il 1980 si può considerare a tutti gli effetti l'anno dell'apogeo di Indira Gandhi. Fu, comunque, una gloria di brevissima durata. Già in quell'anno, infatti, Sanjay morì in un incidente aereo. Il grande dolore di madre non le fece perdere di vista la situazione del paese, tanto da chiamare alla politica attiva il secondo figlio Rajiv, anch'egli educato in Gran Bretagna e sposato con una donna italiana. Da più parti, per questa scelta, fu accusata di nepotismo e fu solo l'inizio dei grandi problemi che dovevano riservarle gli anni ottanta.
La crescente ricchezza degli stati dell'India settentrionale aveva fatto rinascere i sentimenti indipendentisti delle popolazioni locali, mai veramente sopiti. Tra le etnie più irrequiete si segnalarono i Sikh, abitanti del prospero stato del Punjab. La grande abilità commerciale e industriale di questo popolo aveva ammodernato la loro regione, fino a renderla la più ricca di tutta l'India, con il 92% delle terre coltivabili irrigate artificialmente e la totalità dei villaggi serviti dall'energia elettrica. La prosperità coincise anche con il desiderio di fondare uno stato autonomo col nome di Khalistan. La volontà di libertà non si basava unicamente sull'intenzione di tenere per sé le ricchezze prodotte, ma pure su una profonda diversità religiosa. I Sikh, nonostante fossero indù alle origini, sono monoteisti e professano l'uguaglianza tra gli uomini, rinnegando la suddivisione in caste. Il centro del potere religiose, il Tempio d'Oro di Amritsar, divenne anche il fulcro della dirigenza politica, intorno alla figura del fondamentalista Jarnal Singh Bindranwale.
I rapporti tra governo centrale e rivoltosi Sikh fu in principio abbastanza moderato, ma entrambe le fazioni non avevano nessuna intenzione di arretrare dalle proprie posizioni. Per tutto il 1983 dimostrazioni di protesta imbarazzarono il governo di Indira che le represse sempre, restando però nell'ambito della legalità. Tale condotta aumentò gli attriti, fino all'estate del 1984, quando la comunità Sikh si radunò in armi a Amritsar intorno al proprio leader, reclamando una volta per tutte l'indipendenza. Indira giudicò che fosse passato il tempo delle trattative e inviò l'esercito con il compito di sedare la rivolta. L'operazione "Blue Star" fu un vero assalto a ciò che di più sacro poteva esistere per il popolo Sikh. Più di seicento persone furono uccise dai soldati governativi, tra di loro anche Bindranwale, ma fatto ancora più grave il Tempio d'Oro stesso fu danneggiato gravemente.
La risposta dei Sikh fu univoca: vendetta. Una vendetta affidata a ciascun appartenente al popolo, una vendetta di razza. Indira non si curò di quelle minacce di morte che considerava innocue, tanto che prese la decisione di mantenere nella propria scorta personale due Sikh. Fu il più grave errore di valutazione della sua vita. Il 31 ottobre 1984, mentre si stava recando in visita all'attore americano Peter Ustinov a New Dehli, fu assassinata da quelle stesse due persone che non ebbero nessuna esitazione a scaricare contro di lei i loro revolver, ben sapendo che li avrebbero immediatamente arrestati, come poi effettivamente avvenne. La vendetta promessa era stata ottenuta. Tuttavia, la linea familiare al governo dell'India non si interruppe, in quanto Rajiv Gandhi sostituì la madre come Primo Ministro.
Nei pochi giorni successivi la morte di Indira, i Sikh furono oggetto di veri massacri, con oltre 3000 morti ingiustificate. Rajiv ebbe una parte minima o nulla in quegli avvenimenti e ciò fu riconosciuto anche dall'ala moderata del Partito Sikh, l'Akali Dal che nel 1985 concluse una pace momentanea con il governo. Le armi avrebbero taciuto per poco tempo. Nel 1991, Rajiv fu ucciso da un attentato dinamitardo durante un raduno elettorale, proseguendo il triste destino di coloro che portavano il nome Gandhi.
Tracciare un ritratto di quale fosse il carattere di Indira è certamente arduo. Per i suoi avversari era fredda e calcolatrice, perché contrariamente a quanto era comune nella tradizione indiana, parlava sempre apertamente anche di cose sconvenienti per chi le sentiva. I suoi sostenitori la seguivano adoranti anche negli errori più gravi che commise durante la sua lunga permanenza al potere. Eppure non si può nascondere una certa ammirazione per una donna capace di trascinare il suo immenso paese dal Medio Evo all'Età Moderna, nel volgere di pochi decenni.
Fonti e altre letture consigliate
Oriana Fallaci, Intervista con la storia, Rizzoli 1974;
Nayana Currymbhoy, Indira Ghandi, Franklin Watts 1985;
Indira Gandhi, My Truth, Grove Press 1985;
Carol Green, Indira Gandhi: Ruler of India, Childrens Press, 1985;
Francelia Butler, Indira Gandhi, Chelsea House 1986;
Paolo Galliani, Sikh, Oro e sangue sul lago dorato, Historia Editrice Quadratum 1995.
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