C'è un filo rosso che collega il nostro tempo, fatto di perenni connessioni e di tecnologie in continua evoluzione, a quello primitivo, intriso di suggestioni e superstizioni. Questo legame si è mantenuto nei secoli, malgrado il diffondersi delle grandi religioni patriarcali che hanno contribuito a smantellare la precedente visione del femminino sacro.
Se da una parte abbiamo assistito alla demonizzazione della donna e del suo ruolo all'interno della società, radicando una serie di stereotipi ancora attuali, dall'altra il femminino sacro è stato assorbito e rielaborato dal folclore e, di riflesso, anche dalla narrativa.
Accendiamo quindi i riflettori sulla fata, così definita dal vocabolario Treccani: "Figura femminile della mitologia popolare europea, dotata di poteri magici generalmente usati a fini buoni; raffigurata come fanciulla o giovane donna bellissima e dotata di voce deliziosa, può assumere mutevoli sembianze e farle assumere ad altri."
In questa definizione troviamo l'essenza della fata; una figura che, stando ad alcuni studiosi di folclore tra cui Propp, avrebbe strette connessioni con i culti della Dea Madre e della fertilità, in essere in epoca primitiva. Prove tangibili di questo legame sarebbero i siti megalitici che tuttora sussistono in diversi luoghi dell'Europa. Dalle Domus Jana sarde ai menhir chiamati Les Danseuses a Pontsusval (Finistère); per non parlare di una serie di rocce, fonti, ponti delle fate e di una lista di monumenti, in origine dedicate a divinità femminili pagane, successivamente assimilate alle figure sacre alla cristianità. Un esempio: l'ex voto pagano che si trova nella chiesa di San Martino Schio, che certifica l'esistenza in loco di un edificio dedicato a un culto precristiano. L'iscrizione cita: "Nymphis Lymphisque Augustis ob reditum aquarum T. Pomponius Cornelianus ut vovit" (Alle ninfe e alle linfe auguste per il loro ritorno nelle acque T. Pomponio Corneliano come promesso).
In questo caso parliamo di una ninfa, restando quindi nel Cerchio delle Fate.
Scrive il filologo e storico delle religioni Karol Kerényi: "La parola nymphe significa un essere femminile per mezzo del quale un uomo diventa nynphios, vale a dire uno sposo felice giunto allo scopo della sua virilità. Tale definizione spettava alle grandi dee e non meno alle fanciulle mortali" (Gli dei e gli eroi della Grecia - Il Saggiatore, 2002). Citiamo tra le ninfe anche le nereidi, figlie di Nereus; ciascuna presiedeva a un mare o a una parte dell'oceano. Le naiadi erano invece le tutrici di corsi e fonti d'acqua dolci, mentre le driadi e le amadriadi, creature silvane, erano protettrici degli alberi. L'esaurirsi di un corso d'acqua o l'abbattimento di un albero implicava la scomparsa della creatura tutrice che, dunque, non aveva natura immortale.
Passando alla narrativa fantastica, una figura emblematica che assomma in sé le caratteristiche fatate, è Ondina. La fiaba che la vede protagonista è narrata in maniera toccante dal barone Friedrich de La Motte-Fouqué. Siamo nel 1811: la storia rispecchia le istanze del Romanticismo, con l'attenzione alla natura più selvaggia e alle tinte più cupe di amori che scardinano gli ordini precostituiti, con esiti devastanti per i trasgressori.
Questa è la trama di Ondina: Hildebrando, giovane e valente cavaliere, trova ospitalità presso la famiglia di un pescatore. Qui si innamora perdutamente della figlia, Ondina, di cui scoprirà la natura fatata. I due si sposano in liete nozze, destinate ad affrontare non poche e amare difficoltà.
La fiaba presenta diversi topoi, retaggio della cultura feerica. Dal sostituto fatato (la figlia umana del pescatore sostituita da Ondina) al tabù che caratterizza da prassi l'unione tra un essere fatato e un umano (in questo caso, Ondina e Hildebrando), passando per la natura volubile delle creature fatate.
Dice Ondina: "Noi saremmo di gran lunga migliori di voialtri umani, perché anche noi ci chiamiamo uomini e siamo anche simili nella conformazione del corpo, ma c'è qualcosa di diverso". La fanciulla illustra poi nel dettaglio i tratti suoi e dei consimili, sottolineando l'assenza di un'anima e la deperibilità del corpo legato alla mutevolezza degli elementi. Attraverso l'amore Ondina può conquistare l'anima; ma non si tratta di una conquista semplice. Del resto, si sa che i sentimenti sono mutevoli: vale anche per Melusina, protagonista del romanzo di Jean d'Arras, Histoire de Lusignan o Roman de Mélusine (1387-94) e di una versione di J.W.Goethe, risalente al 1807. Come accade per Ondina, il tabù è centrale nella tenuta dell'unione con l'essere umano; una relazione che sarà messa a dura prova da una serie di circostanze collegate alla natura ambivalente della bella Melusina - la fanciulla è infatti in parte serpente, in parte donna.
Sempre a proposito di tabù: lo ritroviamo anche ne La Sirenetta di Hans Christian Andersen, collegandosi al concetto cattolico di colpa e di relativa espiazione.
Le fate fin qui presentate hanno una natura acquatica: l'elemento primigenio, fluido e mutevole per antonomasia, plasma la creatura segnandone il destino. L'acqua allude però anche alla nascita e alle origini, dunque a un'epoca primitiva che resta impressa tra le righe delle storie, in maniera indelebile.
I riferimenti a una cultura ancestrale emergono nelle sublimazioni delle narrazioni.
La fata, creatura dotata di poteri eccezionali che accorre in aiuto ai protagonisti delle fiabe, sfugge alle demonizzazioni del femminino attuate dal cristianesimo. Alcuni esempi sono tratti dalla produzione dei fratelli Grimm (che a loro volta hanno riproposto la storia di Ondina): Frau Holle (Fata Piumetta), che premia la figliastra bella e umile e punisce la cattiva, o la fata della dolce Cenerentola, presa di mira dalle sorellastre e dalla matrigna.
Citiamo anche la Fata Fiore tratta da una raccolta di Luigi Capuana: ancora una volta troviamo protagoniste due sorelle, ma con una differente distribuzione di bontà e cattiveria. La sorella virtuosa è infatti zoppa e bruttina, mentre la perfida è bella e aggraziata. In questa fiaba la creatura magica interviene per aiutare la "zoppina", ripristinando quindi una situazione iniziale di ingiustizia.
Da questi esempi possiamo osservare come la figura della fata veicoli valori positivi, fortemente connessi a quelli cristiani; in questi secoli la letteratura ha quindi assorbito una figura oggetto di culto pagano, riprendendone gli aspetti positivi per renderli funzionali all'educazione dei lettori. Il tutto partendo sempre da un presupposto: l'aiuto magico si accosta sempre alla volontà del protagonista di superare una serie di prove. Insomma, come dicono i nostri nonni: "Aiutati che Dio t'aiuta" e "Nulla è regalato"!
Non hanno invece funzione salvifica le fate di William Shakespeare; Il sogno di una notte di mezza estate ci riporta all'indole mutevole di queste creature, che passano da un amore all'altro, giocando un ruolo cruciale nello sviluppo degli eventi umani. Qui le fate rispecchiano il concetto di fatum ovvero di fato, riportandoci alle figure delle tre Parche latine (le Norne norrene e le Moire greche, per intenderci), tessitrici che presiedono al destino dell'uomo.
Facciamo un passo avanti: le fate sono protagoniste anche della narrativa contemporanea. Da quelle di Jenna Black (autrice de Lo specchio delle fate e L'incantesimo delle fate) a quelle di Jane Yolen e Midori Snyder (Il diario delle fate) arriviamo alle protagoniste di Vita degli elfi di Muriel Bradbury.
Fate contemporanee, più o meno guerriere, alle prese con nemici che minacciano di distruggere gli equilibri di un mondo o quelli tra mondi paralleli; fanciulle umane che scoprono di avere poteri sovrannaturali che le legano a una dimensione parallela, fino a quel momento sconosciuta.
Il risveglio, centrale nei libri citati, sembra andare di pari passo a quello che si è avviato da alcuni anni nella realtà. Rinate esigenze spirituali hanno riportato in auge antiche concezioni: il ritorno alle origini, intrecciate a ricerche che riesumano nuove e vecchie teorie e pratiche, sembra ormai un'esigenza sempre più pregnante. Lo dimostra il proliferare di pratiche olistiche che collegano corpo e mente secondo modalità differenti e multiformi. In questo contesto reale le fate diventano l'emblema di un ritorno alla natura di cui sono da sempre rappresentanti vive e vivide.
Ci sono sentieri tracciati sulla Via delle Fate, complice la rivisitazione e il crollo (almeno parziale) di stereotipi alimentati dalla visione patriarcale. La rinascita del femminino sacro sembra configurarsi sempre più come una necessità narrativa e, di pari passo, umana. Il tutto è finalizzato a ritrovare il nostro rapporto con la natura, attraverso la magia, intesa non tanto nella sua accezione esoterica, quanto nel suo essere strumento di cambiamento personale e sociale. Una magia che dipende da noi, dalla nostra capacità di rompere con gli schemi precostituiti per farci portatori di una visione alternativa e di un'evoluzione effettiva dal punto di vista spirituale.
A proposito di cultura feerica: chiudo questo articolo, citando alcuni versi tratti da La ballata di Thomas di Erceldoune (Tommaso il Rimatore), poeta e letterato di solida fama e reputazione, vissuto tra il 1200 e i primi anni del 1300; Thomas sarebbe stato protagonista di un viaggio nel mondo delle fate. Verità o pretesto letterario? Una via indicata a noi profani o una pregevole composizione?
A voi la scelta e la lettura, seguendo la Via delle Fate.
(...)
Il buon Thomas si tolse il cappello e si piegò sulle ginocchia: «Salute a te, che devi essere Regina del Cielo! Ché simile a te in terra mai ho visto nessuno!». «Oh no, no, mio buon Thomas», dice lei. «Quel nome non mi spetta; io sono solo la Regina della bella Elfilandia, e sono qui venuta a farti visita.
«Ma adesso devi venire con me, Thomas, mio buon Thomas, con me devi venire; perché devi servirmi sette anni, nel bene e nel male, come fortuna vuole».
(...)
(Estratto da La Via delle Fate di Hugh Mynne - Macro Edizioni - 2002)
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