La vita e l'attività politica di Mustafa Kemal, l'uomo che trasformò la Turchia in una nazione laica e nazionalista dopo la disfatta del governo dei sultani nella prima guerra mondiale. Vediamo come avrebbe potuto cambiare l'attuale assetto del Vicino e Medio Oriente senza il "Padre dei Turchi".
Lugubri presagi
1905: un giovane Mustafa Kemal in divisa militare.
I fasti e la gloria dell'impero ottomano erano già scomparsi da lungo tempo quando esso uscì sconfitto dalla prima guerra mondiale. La folle impresa in cui l'aveva condotto Enver Pasha e il suo partito militare si era rivelata per quel che era stata fin dall'inizio: un volo pindarico alla ricerca della grandezza ormai perduta. Quegli anni sanguinosi di lotta contro gli alleati erano solo l'epilogo di quasi un decennio di guerre intestine e con scomodi vicini che avevano fiaccato la resistenza del secolare impero. Infatti, fin dall'affronto dell'annessione della Bosnia Erzegovina da parte dell'Austria-Ungheria nel 1908, il territorio governato da Istanbul era andato decrescendo di continuo.
La guerra con l'Italia del 1912 l'aveva privata della Libia e del Dodecanneso, mentre l'anno seguente la lotta con le giovani nazioni slave dei Balcani aveva limitato la presenza turca in Europa a una regione molto ristretta a difesa di Istanbul e del Bosforo. La popolazione araba dell'Oriente era continuamente in tumulto per ottenere un'indipendenza che il sultano rifiutava ostinatamente. Infine, vi era l'eterno nemico, la Russia, che coglieva ogni occasione per mostrarsi aggressiva verso lo stato vicino, ultimo ostacolo per l'ingresso al Mediterraneo.
Quando l'Arciduca Francesco Ferdinando fu assassinato a Sarajevo, la Turchia si trovava già da alcuni anni nella sfera d'influenza della Germania e non avrebbe potuto essere altrimenti. Troppo distante dalla mentalità occidentale e colonialista della Francia e della Gran Bretagna, minacciata da vicino dall'esercito zarista, l'unica via di scampo che aveva a propria disposizione era un'alleanza con le Potenze Centrali. Il tanto scontato appoggio alla causa austro-tedesca fu però in bilico fino all'ultimo per l'opposizione del Movimento politico culturale dei Giovani Turchi. Essi si erano battuti fin dall'inizio del secolo per un ammodernamento delle istituzioni ottomane, ottenendo una costituzione di stampo liberale che però non andava oltre alcune concessioni in campo politico, lasciando immutati i privilegi del clero musulmano (nell'applicazione giudiziaria della Sha'ria) e in particolare dello Sheikh-ul-Islam che aveva ancora un veto sulle decisioni del governo. I miglioramenti che avrebbero potuto ottenere col tempo, furono impediti dallo scoppio della guerra. Pur aborrendo per principio i conflitti armati, i Giovani Turchi erano pervasi da un vasto senso di nazionalismo che fu la base dell'appoggio fornito a Enver Pasha. Di fronte alla scelta tra la divisione dell'Impero sotto la spinta delle etnie di confine e la guerra, essi scelsero quest'ultima come male minore.
Le prime fasi della guerra sembrarono dare ragione agli interventisti, in quanto sia lo sbarco anglo-francese nei Dardanelli sia l'offensiva russa nel Caucaso si arenarono davanti alla resistenza dell'esercito ottomano. L'orgoglio per queste vittorie difensive fu tanto grande che il governo ipotizzò persino un'avanzata in Armenia e Azerbaigian (tentato con esiti disastrosi nel 1916), per creare una vasta confederazione panturanica con le popolazioni turche di quelle zone. La sollevazione della popolazione armena e araba fu risolta in modi differenti. Mentre per gli arabi si decise di abbandonarli al loro destino, gli armeni furono sottoposti a una deportazione di massa che sfociò in alcuni casi in episodi di sterminio che macchiarono per sempre il governo poco illuminato di Enver Pasha. Per sua ulteriore sfortuna, l'arretratezza militare dell'esercito turco avrebbe inciso sulla sconfitta nello stesso modo dell'estrema usura della classe contadina dell'Anatolia sulla quale pesò in massima parte la coscrizione obbligatoria. Le grandi offensive del deserto arabico del 1918 e la successiva caduta del fronte orientale avrebbero tolto ogni speranza di una pace onorevole.
Anche dopo l'umiliante resa, l'Impero Ottomano sarebbe potuto sopravvivere, almeno come stato cuscinetto tra la Russia comunista e il Mediterraneo, se non fosse stato per il comportamento sconclusionato dei maggiori leader politici dei paesi vincitori che non dimostrarono la minima conoscenza della cultura e della storia turca. Non appena terminarono gli scontri armati, ogni nazione vincitrice, per quanto fosse stato piccolo il suo contributo alla vittoria, si sentì in diritto di reclamare delle compensazioni a carattere territoriale oltre che pecuniario da parte del Sultanato. Quest'improvviso ritorno al colonialismo non fu per nulla inaspettato, ma al contrario si basava su precisi impegni presi addirittura anteriormente all'inizio della guerra. Durante i frenetici giorni che seguirono l'attentato di Sarajevo, Francia e Gran Bretagna s'impegnarono diplomaticamente per attirare nella propria coalizione sia l'Italia sia la Russia. A quest'ultima si concesse addirittura tutto ciò per cui le stesse nazioni avevano combattuto la guerra di Crimea, vale a dire il possesso di Istanbul e dei Dardanelli. Il trattato doveva essere rivelato solo a vittoria ottenuta e, elemento davvero assurdo se si pensa che era stato ufficialmente ratificato da ben tre governi, Francia e Gran Bretagna ritenevano di poterlo in seguito modificare riconducendo la Russia al là dei Dardanelli.
Il governo dello zar fece però sentire la propria voce già nel Marzo del 1915, chiedendo una conferma ufficiale di quell'accordo. Conferma che gli ambasciatori anglo-francesi a Pietroburgo si affrettarono a dare, dietro istruzioni dei rispettivi esecutivi. La spartizione della Turchia non si doveva limitare a privarla della sua città più importante, bensì anche di tutti i territori delle province orientali, che sarebbero stati divisi equamente tra Francia (Siria) e Gran Bretagna (Iraq), con la costituzione di alcuni stati satelliti arabi a protezione dei confini caucasici della Russia. Un altro trattato del 1916, denominato Sykes-Picot dai nomi dei plenipotenziari alleati che ne furono gli autori, servì per delineare questi nuovi confini. Proprio in quest'occasione si cominciarono a intravedere dei segni di schizofrenia nella politica estera della Gran Bretagna. Infatti, mentre da una parte firmava un trattato con la Russia che prevedeva accordi ben precisi per la popolazione araba dell'Impero, dall'altra stringeva alleanza con l'Emiro Hussein dell'Hedjaz, promettendo la piena indipendenza del suo popolo in cambio della rivolta contro il Sultano. Se non fossero bastate queste incongruenze, difficoltà maggiori sarebbero sorte per l'assegnazione della zona di Antalya all'Italia, dietro preventivo permesso russo. Così facendo si era arrivati ad accrescere il risentimento del popolo greco che, sacrificatosi a lungo in una guerra di posizione sui monti della Tessaglia, aveva visto scomparire in un sol colpo ogni possibilità di espansione. Il sacrificio di un fedele piccolo alleato valeva bene la tutela degli equilibri di forza che si erano costituiti nella regione. A sconvolgere tutto doveva arrivare la rivoluzione russa.
Giochi diplomatici ed errori politici
Il fatto che lo zar fosse stato spodestato e che la Russia fosse in preda a una guerra civile non comportava soltanto un ulteriore impegno ripartito sulle tre potenze rimaste a confrontarsi con l'Austria e la Germania, ma modificava anche tutti gli accordi giuridici stipulanti prima del cambio di regime. Il trattato sugli Stretti era virtualmente annullato, così come quello per Antalya, sottoposto alla condizione di un consenso dello stato russo che al momento era contestato sia dagli alleati sia al suo interno. Invece di riunire semplicemente queste regioni alla Turchia, si decise che si poteva concedere quell'espansione territoriale che la Grecia reclamava. Se non nella zona di Antalya, almeno in quella di Smirne, nei pressi dei Dardanelli, abitata da una minoranza d'origine greca. L'ideazione di questo piano ha la paternità del primo ministro inglese Lloyd George che se solo avesse conosciuto un po' più a fondo la storia della Turchia avrebbe compreso quale miccia aveva appena acceso. Ignari delle conseguenze, truppe greche furono fatte sbarcare nella zona di Smirne nell'aprile 1919 con scorta di navi da guerra inglesi, francesi e americane. Poco dopo più a est sbarcavano anche dei reparti italiani a protezione delle isole dell'Egeo da poco ottenute.
La politica estera britannica fece un altro grave errore concedendo troppo spazio alle rivendicazioni dell'etnia armena. Duramente provato dalla persecuzione degli anni della guerra, il popolo armeno aveva trovato nella Gran Bretagna la protettrice che aveva cercato per secoli. Sebbene non fosse stato approvato un iniziale progetto che prevedeva che tutta la Turchia orientale fosse concessa per l'istituzione di uno stato armeno, fu comunque consentita la costituzione di una nazione armena in territori già dell'Impero Ottomano, quindi con un'alta percentuale di popolazione turca. Non pago di questo scempio, l'esercito britannico occupò anche i territori caucasici che erano appartenuti all'Impero, con la scusa di salvaguardare il nuovo protettorato dell'Iraq. In mezzo a queste continue sopraffazioni, alla Turchia fu fatta una sola concessione, ma di grande rilevanza. Dopo il decadimento del trattato con la Russia, Istanbul sarebbe dovuta ricadere sotto amministrazione internazionale, lasciando al sultano un piccolo regno con capitale a Konya. Invece, dopo aver creato degli stati cuscinetto ovunque, la Gran Bretagna si sentì abbastanza sicura da poter consegnare la grande città in mani turche. In ogni caso, per evitare futuri problemi, il governo inglese si premurò di porre sul trono un principe filo-britannico di nome Vaheddin e di occupare con le proprie truppe Istanbul. Queste condizioni, anche se estremamente ingiuste e vessatorie, furono prima discusse a San Remo e poi ufficializzate nel trattato di Sèvres che la Turchia finì per firmare nel 1920. Questo accordo dava il dominio del Medio Oriente a Francia e Gran Bretagna, con un sicuro appoggio di Grecia e Italia. A contrastare questa visione colonialista rimasero solo gli Stati Uniti che seguendo i 14 punti dettati dal Presidente Wilson condannavano l'evidente negazione della volontà popolare nelle zone concesse a nazioni che nulla avevano a che fare con le tradizioni, la cultura e la storia della Turchia. Purtroppo, questa opposizione rimase per lo più sulla carta.
L'uomo della provvidenza
Mustafa Kemal cominciò a costruire la propria reputazione durante la Prima Guerra Mondiale, quando si distinse per coraggio e capacità strategica.
La situazione in Turchia aveva però già cominciato a cambiare nel 1919. Sulla scena era giunto prepotentemente un personaggio che avrebbe segnato il destino della Turchia: Mustafa Kemal. Nato nel 1881 a Salonicco (che attualmente si trova in Grecia, ma che a quel tempo faceva parte dell'Impero Ottomano) fu educato in principio alla tradizionale scuola religiosa. Già dai primi anni della sua infanzia si impose per un carattere deciso e irremovibile, forse ereditato dalla madre Zubeyde che, rimasta prematuramente vedeva, allevò lui e la sorella con estrema severità, ma con altrettanto affetto e senso della giustizia. Grazie alla madre, il giovane Mustafa ebbe la possibilità di trasferirsi in una scuola moderna di stile occidentale, dove crebbe con gli insegnamenti liberali comuni a quell'epoca. A soli dodici anni entrò in una scuola militare di studi superiori, dove si guadagnò la seconda parte del suo nome, cioè Kemal che significa perfezione. Ad attribuirgli questo soprannome fu il suo insegnante di matematica, in onore alla bravura del proprio allievo. Da allora sarebbe stato sempre conosciuto come Mustafa Kemal.
Agli inizi del ventesimo secolo, più precisamente nel 1905, si diplomò all'Accademia militare di Istanbul con il grado di capitano. Fin dai primi anni di carriera fu attivo anche in campo politico. Insieme ad altri ufficiali creò un gruppo segreto chiamato "Patria e Libertà" ed ebbe un certo ruolo nell'ascesa al potere dei Giovani Turchi nel 1908. La sua fama crebbe a dismisura solo nel 1915, quando divenne un eroe nazionale durante la difesa dei Dardanelli. Prima ebbe successo nell'arginare lo sbarco alleato, poi con una serie di offensive ottimamente programmate riuscì a respingerlo definitivamente. Ciò gli valse la promozione a Generale già nel 1916, quando aveva solo 35 anni. Da quella data fino alla fine della guerra si distinse per le continue vittorie sul campo, le quali però non modificarono il destino finale della Turchia. Nel 1919, Mustafa Kemal era riuscito a farsi nominare ispettore della Terza Armata Nazionale nei pressi della città di Samsun, sulle coste del Mar Nero. La nomina sul principio non ebbe molto significato, in quanto questa Armata esisteva solo sulla carta, essendo limitata a un numero esiguo di uomini. Tuttavia garantì due vantaggi estremamente importanti. Gli consentì di impadronirsi di un residuo di armi e vettovaglie abbandonati dai tedeschi nel porto di Samsun e gli fornì quella legittimità che gli derivava dalla carica ufficiale rivestita. Anche se teoricamente avrebbe dovuto prendere ordini dal Sultano in persona, Mustafa si guardò bene dal farlo, iniziando la traversata dell'Anatolia con la sua piccola armata, in direzione delle terre occupate dai greci.
Nel suo lungo viaggio dal Mar Nero all'Egeo, egli attraversò terre abitate da quegli stessi contadini di etnia turca che tanto avevano sofferto dando il proprio sangue durante la Prima Guerra Mondiale e ovunque si fermasse trovava nuovi volontari per quello che stava ormai diventando un esercito di liberazione nazionale. Giunto in prossimità della città di Sivas ebbe modo di accordarsi con il governatore della provincia per la scelta di alcuni delegati destinati alla conferenza di Baliksheshir, durante la quale avrebbero gettato le basi per il successivo e più importante congresso di Erzerum del Luglio 1919 in cui si consacrò il principio che il suolo turco era inviolabile e non assoggettabile ad alcun mandato amministrativo straniero, attraverso la stipulazione di un vero e proprio "Patto Nazionale". Nonostante la grande autorevolezza di Mustafa Kemal, fino alla Conferenza di Sivas del Settembre 1919, il movimento nazionale era ancora sprovvisto di un capo. Lo stesso movimento era ancora moderato e non si avevano tendenze rivoluzionarie. Queste idee erano però già abbastanza estremiste per il sultano, il quale diede ordine al capo militare del distretto centrale dell'Anatolia, Kiazim Kara Bekr di arrestare Kemal. L'addetto militare si trovò in una situazione alquanto difficile. Anch'egli di idee moderate e molto vicino alle posizioni di Kemal, si trovava tra due fuochi: ancora fedele al sultano, non voleva comunque interrompere il moto riformista che si era attivato a Sivas. Così, per non contravvenire agli ordini, rispose al sultano di non avere mezzi a sufficienza per arrestare il generale ribelle, credendo di aver preso tempo per raggiungere un accordo con Kemal stesso. Al contrario il Sultano, pare spinto da pressioni dei consiglieri britannici, trasferì l'ordine di arresto in mano a reparti curdi di stanza nell'Anatolia orientale che intrapresero una manovra di avvicinamento a Sivas, troppo somigliate al movimento di un esercito invasore per non risvegliare il sentimento popolare del ceto contadino turco.
Dinanzi alla minaccia armata, Kemal agì con prontezza, impegnando i soldati a lui fedeli nella lotta contro le truppe del sultano, tanto da sconfiggerle con una certa facilità. Venuta meno la possibilità di avere ragione dei ribelli con la forza, il Sultano passò a una tattica diplomatica che sembrò sortire gli effetti voluti. Invitò il parlamento di Sivas a rientrare nella legalità, trasferendosi a Istanbul. I membri del Parlamento che, come abbiamo già ricordato, avevano delle tendenze liberali, ma moderate, accettarono di buon grado. Una volta raggiunta Istanbul, l'organo legislativo avrebbe voluto proseguire l'opera di ammodernamento che aveva già cominciato a Sivas. Purtroppo, la differenza che passava tra un sovrano assoluto e un monarca costituzionale non piacque per nulla al Sultano e neppure ai Britannici, i quali decisero di intervenire per evitare rischi. Il 16 marzo 1920, truppe britanniche arrestarono tutti i membri del parlamento che non riuscirono a fuggire in tempo, condannandoli all'esilio a Malta. Rimaneva ancora libero Mustafa Kemal che aveva rifiutato di trasferirsi a Istanbul per non sottostare alla volontà del Sultano. Al fine di distruggere la minaccia che ancora costituiva per il potere dell'impero, sia l'armata del Sultano sia le truppe greche di Smirne cominciarono a convergere sul centro dell'Anatolia col compito di porre fine alla rivolta.
Mustafa Kemal e Ismet Pasha nel 1920.
Prima ancora di occuparsi della situazione militare che era già molto preoccupante, Kemal decise di sistemare quella politica, altrettanto complicata. Ad Ankara riunì i membri del Parlamento che erano riusciti a sfuggire alla cattura e diede vita a un'Assemblea Nazionale permanente che lo nominò capo del governo provvisorio e dell'esercito col titolo di Maresciallo. Essa assunse anche i poteri straordinari che necessitavano per affrontare l'imminente pericolo, divenendo un organo rivoluzionario a tutti gli effetti. Ottenuta quella legittimazione costituzionale che ancora gli mancava, Kemal si accinse a contrastare il problema maggiore, cioè il nemico che con una marcia forzata stava avanzando verso la nuova capitale. Le uniche truppe che in un primo momento furono disponibili per contrastare questa minacia furono un'accozzaglia di irregolari e volontari, spesso raggruppati in bande difficilmente controllabili dal governo. La più consistente tra esse fu definita "Armata Verde" ed era agli ordini di tale Edhen, un avventuriero che approffittava della guerra civile per arricchirsi per mezzo di saccheggi e requisizioni non autorizzate. Sebbene egli non avesse risposto agli ordini di Kemal, il suo apporto fu fondamentale in quanto l'Armata Verde contribuì a rallentare la marcia delle truppe del Sultano, consentendo al governo, con l'opera diplomatica di due fedelissimi di Kemal quali Ismet e Fevzi Pasha, di ottenere i finanziamenti necessari per acquistare armamenti all'estero. Sorprendentemente le nazioni che si dimostrarono più generose nel collaborare con Ankara furono l'Italia e la Francia che avevano già compreso come la politica inglese nella regione andasse contro i loro stessi interessi. Preferivano di gran lunga uno stato turco indipendente, ma pacifico, piuttosto che una minaccia continua nei confronti dei loro possedimenti in Siria e nel Dodecaneso.
Con le nuove forniture fu possibile addestrare un nucleo di truppe professionali che sotto il comando di Ismet Pasha fermarono i greci nella battaglia di Inönü, garantendo al loro comandante il soprannome che lo avrebbe accompagnato per il resto della vita. Questo primo successo fu seguito da un'entusiasmante campagna in Armenia da parte di Kiazim Kara Bekr, definitivamente passato dalla parte di Kemal. Sconfitto l'esercito armeno si arrivò all'occupazione della città di Kars e alla piena collaborazione con le truppe bolsceviche russe. I comunisti, anch'essi in quel periodo in lotta contro le forze alleate che tentavano di abbattere il nuovo regime di Mosca, si rivelarono dei preziosi alleati, intervenendo in favore dei Turchi per garantire la sicurezza nel Caucaso. Ciononostante, i successi militari sarebbero rimasti ben poca cosa se non fossero stati accompagnati da un'intensa attività diplomatica.
Facendo leva sul malcontento crescente in Francia e in Italia nei confronti dell'alleato inglese che stava facendo la parte del leone in Medio Oriente, Kemal propose alle due nazioni una pace separata con la Turchia nazionalista. Entrambe, in cambio di ampie rassicurazioni economiche di sfruttamento delle materie prime turche, acconsentirono a ritirare le proprie truppe e a concludere accordi di pace indipendenti dalla Gran Bretagna. Ancora più importante fu il Trattato di pace stipulato con la Russia nel Marzo 1921, col quale per la prima volta dopo due secoli, le due nazioni tracciavano un confine sicuro tra di esse, pacificando in via definitiva la regione caucasica.
Eliminata la possibilità di essere attaccata su più fronti, la Turchia si impegnò a fondo nell'opposizione ai greci che nel frattempo erano riusciti a conquistare Eski Shehir. L'esercito turco, arretrato fino al fiume Sakaria, oppose una resistenza eroica al nemico, durante una battaglia che durò due intere settimane. I Turchi non vinsero lo scontro, ma dimostrarono che non si poteva piegarli senza annientarli completamente. Così i greci furono costretti a ritirarsi in direzione di Smirne, andando incontro a una serie impressionante di sconfitte. Nel settembre 1922 l'esercito turco entrò vittoriosamente a Smirne, liberando tutta la Turchia asiatica. Rimaneva pur sempre la minaccia greca su Istanbul, attraverso la Tracia Occidentale. Qui erano di stanza anche truppe inglesi per controllare gli stretti e Kemal non osò attaccarle direttamente. Invece, tornò a usare l'arma diplomatica che aveva già sapientemente dimostrato di saper sfruttare. Lloyd George, pressato da vicino dalla coalizione che appoggiava il suo governo, fu costretto a cedere e chiedere un armistizio con i Turchi, firmato il 29 Settembre 1922. L'anno successivo fu convocata a Losanna una conferenza sugli stretti che vedeva due blocchi contrapposti. Da una parte la Russia e la Turchia, stati rivoluzionari usciti vittoriosi dalle guerre contro l'occidente, e dall'altra Francia, Gran Bretagna e Italia, le tradizionali potenze coloniali. Queste ultime avrebbero voluto l'apertura del Bosforo alle navi da guerra di tutte le nazioni, proposta considerata inaccettabile sia dalla Turchia sia dalla Russia.
In particolare, la Turchia pretendeva la possibilità di chiudere il passaggio alle navi di nazioni con cui fosse stata in guerra, esattamente le stesse richieste fatte dal Sultano (che era stato deposto con la dichiarazione della Repubblica Turca del 29 Ottobre 1923). Si arrivò a un compromesso che richiedeva la smilitarizzazione degli stretti e la creazione di una Commissione Internazionale di controllo su di essi. Questa soluzione di ripiego fu accolta dalla Turchia per due ragioni fondamentali:
- si dubitava molto della vera amicizia della Russia, per cui si preferì riavvicinarsi all'Occidente;
- Kemal era sicuro che la Gran Bretagna non avrebbe avuto abbastanza forza diplomatica per imporre il rispetto di quelle condizioni. Infatti, nel Trattato di Montreux del 1936, la Turchia riuscì a ottenere i diritti di fortificazione e di blocco che gli servivano.
Sempre nella Conferenza di Losanna furono indicati i confini occidentali della Turchia che riguadagnò Istanbul, Adrianopoli e tutta la Tracia Orientale. Si raggiungevano così i confini di quello stato-nazione che era nei progetti di Kemal. Si riuscì persino a far abolire l'istituto delle capitolazioni. Esso consisteva in un particolare privilegio giudiziario che permetteva agli stati occidentali di far giudicare qualunque controversia che implicasse un proprio cittadino secondo le leggi e la procedura della madre patria. Ciò era sempre stato visto come una sorta di tutela legale di tali stati nei confronti della Turchia e la sua revoca coincise con la riconquista di una piena libertà giuridica. Gli obiettivi raggiunti già nel 1923 da Kemal costituivano soltanto l'inizio della sua opera ed egli ne era pienamente cosciente. Lo si può desumere dalle sue stesse parole:
"Dopo i trionfi militari che abbiamo ottenuto con le baionette, le armi e il sangue, dobbiamo lottare per raggiungere vittorie in campi quali la cultura, la scolarizzazione, la scienza e l'economia [...] i benefici durevoli delle vittorie dipendono solo dall'esistenza di un esercito di educazione."
La Turchia entra nel ventesimo secolo
La caduta del Califfato non comportò soltanto una rivoluzione politica, ma anche ecclesiastica e giuridica. Infatti, la carica del Califfo come si era sviluppata durante i secoli dell'Impero Ottomano era divenuta anche l'espressione temporale dell'Islam con la conseguenza di creare un'influenza araba in Turchia. Se davvero Kemal voleva trasformare la propria patria doveva anche separare la legge ecclesiastica da quella civile e ristrutturare l'apparato clericale. Lo Sheik-ul-Islam, che in quanto a poteri poteva essere paragonato a un papa medioevale, doveva scomparire insieme al Califfo per dare seguito alla Rivoluzione. Infatti, fin dalla conversione dei Turchi all'Islam, la Sha'ria o legge coranica aveva costituito la base giuridica della nazione. Certo, già a partire dal 16° secolo, si era cercato di emendare questa legge ecclesiastica con l'introduzione di alcune "leggi dell'uomo", ma ancora nel 1908 i Giovani Turchi non avevano potuto evitare che lo Sheik sedesse nel gabinetto del governo, mostrando la propria importanza. Kemal abolì la carica, trasformando la Turchia in una nazione secolare, sull'esempio della Francia e della Russia rivoluzionarie. Oltre ai motivi giuridici vi furono anche ragioni economiche per questa trasformazione, perché lo stato incamerò i cospicui beni delle Evkaff, istituzioni religiose che possedevano patrimoni rilevanti, risanando almeno in parte il preoccupante deficit statale provocato dalla Prima Guerra Mondiale e dalla Guerra d'Indipendenza. La riforma di Kemal non fu però anticlericale, anzi ebbe risvolti decisamente positivi per la religione. Per esempio fu ordinato di tradurre in Turco il Corano che fino ad allora era stato scritto solo in arabo, permettendo ai ceti meno istruiti di avvicinarsi alla parola di Allah.
Nonostante le riforme di Mustafa Kemal abbiano contribuito a diminuire fortemente il potere del clero musulmano, egli non fu mai un vero anticlericale. Qui lo vediamo impegnato in una preghiera pubblica.
Fu però la grande rivoluzione giudiziaria che costituì un'impresa epocale. Furono proclamati tre nuovi codici: il penale ispirato all'esperienza italiana, il civile improntato sul codice svizzero e il commerciale derivato dalla pandettistica tedesca. La Sha'ria non fu abbandonata completamente, poiché si permise ai cittadini di rispettarla nella vita privata, ma nei rapporti ufficiali davanti agli organi dello stato, comprese le istituzioni giudiziarie, solo le leggi proclamate dalla Repubblica avevano piena vigenza, arrivando alla effettiva separazione tra Stato e Chiesa. Il passaggio dalla tradizione dell'Impero Ottomano al nazionalismo repubblicano non fu immediato e non si compì prima del 1930, tanto che ancora nel 1925 esisteva un apposito ministero degli affari religiosi che si doveva occupare del ruolo del clero in rapporto al governo. Alla fine di questo lungo processo di evoluzione, nacque una nazione che si poteva ben definire moderna, nella quale ogni istituzione aveva la sua sfera di competenza, senza intromissioni e senza interferenze.
In campo sociale si ottenne l'emancipazione della donna (almeno nei confronti dello stato) e l'abbandono di alcune tradizioni molto radicate, a partire dal fez, il copricapo tradizionale turco e dall'uso del solo nome proprio accanto al titolo o rango personale, per finire con l'adozione del calendario occidentale al posto di quello islamico. Furono riconosciuti i soprannomi che ebbero valenza di cognome. Mustafa scelse per sé quello di Atatürk, cioè padre dei turchi, un appellativo che gli si addiceva. Al termine della sua opera riformatrice ciò che era diventata la Turchia corrispondeva appieno a un passo tratto dai suoi discorsi:
"Dobbiamo liberare il nostro concetto di giustizia, le nostre leggi e istituzioni legali dai legami che ci hanno stretto in un ferreo cappio, sebbene fossimo coscienti che fossero incompatibili con i bisogni del nostro secolo [...] la sfida maggiore che ci aspetta d'ora in avanti è di elevare la nostra vita nazionale ai più alti livelli di civiltà e prosperità"
Kemal e la Dittatura
Ogni nazione che esce da un periodo di lunga stasi attraverso una rivoluzione è soggetta al rischio di cadere preda della dittatura. La Turchia non si sottrasse a questo stereotipo, ma ebbe la fortuna di trovare il proprio dittatore nella persona di Mustafa Kemal. Già negli anni della guerra d'indipendenza si erano delineate le forze che avrebbero comandato dopo la vittoria finale:
- il partito liberale, moderato e composto dai più tradizionali esponenti dei Giovani Turchi che volevano una transizione meno traumatica dal passato alla modernità e trovavano i loro sostenitori nel clero e nel ceto dei commercianti;
- il partito radicale che si sarebbe trasformato in partito populista durante il governo di Atatürk, teso a una Rivoluzione completa e senza impedimenti.
Il pretesto per eliminare gli oppositori politici arrivò con una rivolta della popolazione curda. Questa etnia non aveva mai accettato il dominio turco nemmeno ai tempi dei sultani, ma durante la rivoluzione era stata dalla parte del governo di Istanbul, così al momento della loro rivolta, la repressione fu severissima. L'esercito turco fu impegnato a lungo nel disperdere le bande armate, tuttavia Atatürk non si limitò a questo. Deportò larga parte della popolazione in Anatolia centrale e mise coloni turchi nelle regioni curde. Proibì l'utilizzo della lingua curda negli atti ufficiali e negò ogni identità nazionale a questo popolo, creando purtroppo i presupposti degli odierni conflitti nella regione. Come detto, la rivolta curda servì da pretesto per mettere a tacere l'opposizione.
Kemal fece approvare uno Statuto di leggi che in pratica gli conferiva tutti i poteri. Si circondò di una guardia nazionale di "Lazi", musulmani georgiani, che costituivano il suo braccio armato. Sciolse i partiti di opposizione, ma permise ai loro esponenti di spicco di entrare nel Partito Populista, che diventò così un partito unico nazionale sullo stile del Partito Unico Comunista russo, senza però i suoi eccessi. Alcune frange estremiste dell'opposizione tentarono di assassinare Kemal in occasione di un suo discorso a Smirne e questa fu l'unica occasione in cui il leader turco utilizzò metodi veramente totalitari. Attraverso confessioni estorte con la tortura, furono individuati i responsabili che furono pubblicamente impiccati nella piazza di Ankara.
Lungimiranza dell'Atatürk
Il fatto che Kemal avesse trasformato la Turchia in uno stato totalitario non comportava che egli desiderasse questa forma di governo per il proprio paese. Il suo ideale era di arrivare a una democrazia di stampo occidentale, ma aveva riconosciuto l'impossibilità della nazione turca di raggiungere questo traguardo nei primi anni venti. Solo una guida forte avrebbe potuto evitare il caos. Passati i primi anni di sbandamento, Kemal si adoperò affinché si creassero i presupposti per una transizione senza dolore verso la democrazia. Innanzi tutto volle sperimentare la creazione di un'opposizione democratica al suo governo. Creò una fazione interna al Parlamento sotto la guida di Fettey Bey che ebbe il compito di contrastare i progetti della maggioranza. Sul principio l'esperimento sembrò funzionare, ma ben presto degenerò in una vera e propria rissa tra parlamentari, non abituati agli scontri dialettici dell'aula. Si arrivò persino allo scontro fisico tra gli esponenti della fazioni opposte, tanto che Kemal fu costretto a porre termine al suo tentativo.
Provò pure a effettuare elezioni provinciali con metodo strettamente democratico. Egli riteneva che se a livello locale la popolazione si fosse abituata ai principi della democrazia diretta, in seguito sarebbe stato più semplice eleggere un Parlamento davvero rappresentativo. Il risultato fu ancora meno edificante del primo tentativo. I delegati locali furono eletti con metodo clientelare, cosicché dopo poco tempo la delazione reciproca su fenomeni di corruzione e di scambio di voti divenne la regola, anziché l'eccezione. Kemal dovette così ritornare a una più classica visione della dittatura, abolendo queste riforme premature. Una delle sue migliori qualità fu proprio di comprendere il grado di preparazione del proprio popolo. Quando si accorgeva che un'iniziativa non era adatta al periodo storico in cui viveva, non faceva altro che fermarsi e attendere i tempi migliori per proseguire.
Di grande importanza per la pacificazione della regione fu lo scambio di popolazioni con la Grecia. Grazie a un'attività diplomatica di alto profilo, Kemal si accordò affinché la popolazione Turca della Tracia Occidentale si trasferisse in Turchia, prendendo possesso dei beni dei Greci della Tracia Orientale e viceversa. Questa mossa permise un passaggio quasi indolore di migliaia di individui attraverso una frontiera che fino ad allora era stata un confine d'odio.
Una fine prematura
La morte di Mustafa Kemal Atatürk giunse nel 1938 a stroncare una vita che aveva ancora molto da dare al suo paese. Il decennio dal 1928 al 1938 aveva trasformato la nazione turca tanto profondamente da modificarne la vita fino ai giorni nostri e tutto per mano di un solo uomo. Il successore alla presidenza della Repubblica, Ismet Pasha Inönü, seppe proseguire la politica riformatrice del suo predecessore, ma ebbe il vantaggio di avere il cammino già tracciato dall'esempio illuminato di Kemal. La politica di neutralità tra Oriente e Occidente fu mantenuta anche durante la Seconda Guerra Mondiale, preservando la Turchia dagli orrori di quel conflitto. L'operato del primo presidente della Repubblica Turca può essere sintetizzato in una sua frase molto eloquente:
"Ci sono due Mustafa Kemal. Uno è il Mustafa di carne e sangue che ora è qui davanti a voi e che scomparirà, l'altro siete voi, tutti voi che siete qui e che andrete ai lontani angoli della nostra terra per diffondere gli ideali che devono essere difesi con la vostra vita se necessario. Io esisto per i sogni della nazione e il lavoro della mia vita è farli divenire realtà."
Mai si ebbe identificazione maggiore tra un singolo individuo e una nazione nel suo insieme.
Fonti e letture consigliate:
Philips Price, Storia della Turchia;
Franz Werfel, The Forty Days of Musa Dag;
Ifan Orga, Portrait of a Turkish Family.
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