La villa dei natali perduti

racconto horror di Andrea Moretti

Quella villa in Via delle Peonie, il giorno della vigilia di Natale, splendeva di luminarie come non mai. Uno sfarzo di luci fiabesche che t’indorava l’anima in una giostra vertiginosa di magia. Non era una cosa che potevi controllare: pareva più un sogno inspiegabile che ti cullava le membra, il canto maliardo di sirene che, quando sei disperso in mare, ti ghermisce la mente.

La villa dei natali perduti, racconto horror di Andrea Moretti - Immagine rilasciata sotto licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic, fonte Wikimedia Commons, utente INeverCry

Miao!

Il giorno in cui aveva adocchiato per la prima volta quello spettacolo, Ivan aveva accostato la macchina bruscamente, le quattro frecce che lampeggiavano e il volante avvolto nelle dita tremanti. Molti avevano attaccato a suonargli, avevano imprecato, ma lui sapeva benissimo che se avesse continuato a guidare ci sarebbe scappato un incidente.

Nella sua mente gli addobbi vorticavano madidi come fiaccole, l’anima si involava leggera, sospinta da un’antica ninnananna. Il dolore era trasportato dal vento: ti addormentavi rilassato, allontanandoti da tutto ciò che, fino a poco prima, ti sembrava insopportabile.

Fu una strana vigilia quella lì, trascorsa per tutto il tempo in auto, accanto alla casa splendente. Nessun desiderio di bussare alla porta per conoscerne i proprietari, solo l’amore per il magnifico foliage di nostalgie natalizie che adornava la villa...

Ci rimuginava Ivan su quelle luci; e quasi gli sfuggì un sussulto.

Non aveva niente da fare, la notte di S. Silvestro, se non ripensare a come aveva trascorso la vigilia di Natale.

Per la strada, la gente aveva iniziato a lanciare petardi.

Schianti secchi che ti passavano dentro simili a ricordi desolanti, dissolvendo come fumo, tutte le vigilie che rievocavi. Un’usanza barbara far esplodere petardi la notte di Capodanno. Fosse stato per lui, li avrebbe aboliti tutti.

Nel 2024 non servivano più a niente, se non a spaventare gli animali.

Non che allevasse cani e gatti, Ivan. In casa, teneva giusto dei pappagalli, due calopsitte. Al rumore degli scoppi, i pennuti restavano abbastanza indifferenti; ma si sapeva che, dentro di loro, soffrivano le pene dell’inferno.

Gli unici petardi che tollerava erano le stelline. Quelle erano incantevoli, una folata dorata di scintille che ti faceva pensare di brandire una bacchetta magica oppure una strenna di Natale...

Lo scoppio di un petardo mandò la finestra in frantumi.

Ivan trasecolò. Il salone in cui si trovava era vuoto.

Ragnatele lo avvolgevano come materiale necrotico accumulato da secoli e uno zampettare vischioso strisciava umidiccio lungo le pareti, camminando rancido sopra la nuca.

– Perché mi hai portata qui?

La sua fidanzata Claudia lo fissava. Il vestito rosso con la scollatura a balconcino che tanto lo eccitava. Si era truccata con estro per quella serata: occhi da felina sinuosa che sfumavano nel buio della stanza.

– Non te ne sei accorto? Le luminarie non ci sono più. Le hanno rimosse tutte.

Era stizzita ma, nonostante tutto, aveva accettato di accompagnarlo in quella folle uscita nella villa che splendeva o, almeno, che avrebbe dovuto farlo.

Ora lo guardava piccata. Ultimamente, era stufa di lui.

Quanto sarebbe durata ancora quella relazione?

Un mese? Due?

Claudia sarebbe tramontata come il Natale.

L’atmosfera natalizia ancora si percepiva, ma Ivan, dentro, si sentiva vuoto.

Era tornato davanti a quella villa per rivedere le luci.

Magari avrebbe ripreso a sentirne il fervore, la magia, la luminosità melensa che anima i giorni fino all’Epifania.

Lui e Claudia stavano andando a trascorrere il Capodanno da amici. A metà strada avevano fatto inversione, diretti in quella fetida dimora che ora puzzava di muffa e animali decrepiti.

Gli addobbi non c’erano più. Era spenta, fatiscente, una villa grama e disabitata.

– Siamo sicuri di non esserci sbagliati? Insomma, anch’io mi ricordo fosse qui, ma possibile sia in queste condizioni?

– Ho provato a cercare su Google, tesoro – spiegò Ivan – niente, però... nessuno ne parla.

Claudia lo ascoltò, umettandosi le labbra.

– Insomma, anche se ci fossimo sbagliati, una villa con addobbi così, in stile americano, con i rincari di energia che ci sono ora... possibile che nessuno ne parli?

– Va be’, non pensiamoci. È molto strano, sì, ma mi piace come Capodanno. È alternativo!

Poi, come se niente fosse, Claudia aveva fatto partire una canzone su Spotify, Baby it’s cold outside, cominciando a danzare in quella casa di blatte e polvere millenaria.

Lei era fatta così: trovava la soluzione migliore per tutto.

Un meriggio di positività che svettava trionfante sullo squallore della sua vita, perché la vita di Ivan era veramente così, da buttare, da resettare.

Non ne aveva indovinata una: il lavoro sottopagato al ristorante, il contratto che non si decidevano a rinnovargli, il libro pubblicato che non vendeva nulla.

Era tutto un crepuscolo, meno che Claudia.

– In molti hanno provato a reinterpretare questo brano – spiegò lei – ma perché venga perfetto, la voce femminile dev’essere vivace, dev’essere peperina. Non una voce matura da donna capisci? Questa è la versione di Idina Menzel e Michael Bublè. Mi piace tanto.

Pochi minuti ed erano sul pavimento fetido.

Lei sopra di lui che si abbassava il vestito.

Le labbra si inseguivano fra i baci, sotto le note del bel duetto natalizio.

Poi uno sfolgorio.

Intorno a loro c’era un altro salone: un albero impinguato di pigne, candele e angeli scintillanti.

L’aria carezzata da profumi di bosco che si levavano da candele aromatiche, misti a cori di bambino che odorava di incenso. Putti affondavano le mani in montagne di torroni e panettoni scintillanti, e fiocchi brillavano dai regali come se ridessero.

Claudia era nuda e, trasportato dalla magia, Ivan non sapeva se sentirsi più eccitato da lei o da quell’atmosfera sontuosa e paradisiaca.

Lo cavalcava forsennata nel mezzo di quel sogno natalizio.

Lei premeva le mani sul suo torace; lui sulle tette.

Poi una scarica di dolore gli attraversò il petto fulminandolo.

– Ti piace?

Lei glielo chiese con una specie di rantolo miagolante.

Ora Claudia aveva un viso peloso e tagliente di gatta; gli occhi che lampeggiavano perversi mentre ondeggiava sinuosamente la coda.

Le palpebre di Ivan si stavano abbassando. Scendeva l’oscurità mentre le luci si spegnevano tutte.

Ivan si svegliò di colpo. Si trovava nell’abitacolo della sua Peugeot.

Non era immobile, l’auto viaggiava instabile e rombante, il tachimetro segnava centotrenta.

Un tonfo, poi un forte schianto di vetro e metalli, Ivan si ritrovò schiacciato contro il tronco di un grosso salice, il sangue che scendeva sui suoi occhi come una tela.

– Va meglio? La senti ora la magia del Natale? – Claudia era sul sedile accanto, illesa, il vestito rosso splendente nel buio di quell’ultimo giorno di dicembre. Indicandogliela con un cenno degli occhi, spiegò: – Sai, questa la chiamano la villa dei natali perduti.

L’abitazione splendeva bianca come un opale intagliato nella luce più pura. Renne sgargianti e carrozze sontuose di Babbo Natale sulla facciata.

– Ci vanno tutte quelle persone che, finito il Natale, provano nostalgia – Lo guardò strizzandogli l’occhio. – Più facile sentirla se quel giorno hai perso qualcuno di importante.

Le fattezze tornarono quelle di una gatta demoniaca; la voce si tramutava in un miagolio acidulo.

– Anch’io ti amavo, ma il destino ha deciso di dividerci il giorno di Natale. Un incidente, ma ora finalmente possiamo ricongiungerci.

La voce era fredda e sottilissima come una sferzata di vento.

In un balzo prese a sbranarlo, imbrattando di sangue tutto l’abitacolo.

In lontananza esplodevano i fuochi: il 2025 arrivava fra mille ovazioni.

Poco lontano, decine di gatti, disposti ordinatamente davanti alla villa, aspettavano che Ivan si unisse a loro.

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