La selva amazzonica peruviana si trova nel versante orientale della Cordigliera delle Ande. E' un mare di selva verde e acqua dove si sente sempre la presenza del tropico, lungo il corso dei fiumi, nelle cascate, nelle lagune che si formano accanto al grande fiume-mare, il Rio delle Amazzoni. La natura travolgente s'intravvede negli alberi giganti, nella terra umida coperta di arbusti e cespugli, nel canto degli uccelli, negli strani mormorii e orchestre di rumori notturni.
- Leggende della costa sul Pacifico
- Leggende delle Ande
- Leggende della selva (questa pagina)
LEGGENDE DELLA SELVA
L'UCCELLO MAGICO
Popolare leggenda del gufo (Nyctibius griseus) chiamato Chotacabras in castigliano, Cacuy in quechua, ed Urataù in guaranì.
In un luogo della selva alta, nei pendii delle Ande dai quali nascono i fiumi che si intrecciano come giganteschi fili d'acqua, vivevano molto tempo fa un giovane chiamato Nichilo e sua sorella Cacuy.
Tutte le mattine il ragazzo andava a cacciare, a pescare e a raccogliere miele dai favi sugli alberi di carrubo. Cacuy, nel frattempo, riordinava l'abitazione e toglieva le erbacce dall'orto. Un giorno il giovane, tornando dalla caccia, trovò la casa in disordine e disse alla sorella:
- Perché non hai riordinato la stanza, né lavorato nell'orto, e passi tutto il tempo sull'amaca a fare niente? Portami un po' di idromele che ho sete.
- Non c'è più miele - rispose la ragazza.
- Come mai non c'è più miele se ne ho portato ieri un recipiente pieno? - chiese Nichilo, irritato.
- Non c'è più miele perché l'ho mangiato tutto - rispose sgarbata la sorella.
Sdegnato, il giovane si avviò verso i carrubi in cerca di altro miele, meravigliato che la sorella avesse potuto finirlo tutto da sola. Decise di spiarla. Il giorno dopo la salutò come tutte le mattine incamminandosi verso il bosco, ma poco lontano si nascose dietro gli arbusti per osservarla.
Poco dopo, vide arrivare un uomo vestito con abiti splendenti e tanto sfavillanti che dovette chiudere gli occhi per non accecarsi.
Si avvicinò guardingo per rendersi conto di cosa succedeva dentro alla propria dimora e vide Cacuy che versava bicchieroni di acqua e miele a quello sconosciuto, il quale beveva con una avidità che presupponeva grande sete. Nichilo non ebbe il coraggio di entrare nella sua casa e vagabondò inquieto nei dintorni fino a sera, quando vide l'uomo uscire e sparire all'orizzonte. Nel cielo splendeva l'astro Luna.
Tornò a casa e trovò tutto in disordine come il giorno prima. Sua sorella non aveva pulito la stanza né lavorato nell'orto che si riempiva, man mano, di erbacce. La rabbia gli corrodeva l'anima e decise di vendicarsi. Nichilo non si rese conto che l'essere sfavillante era in realtà l'astro Sole, gemello della Luna, il quale visitava Cacuy durante il giorno per mitigare la sua grande sete.
Il giorno seguente, molto presto al mattino, prima che potesse arrivare il visitatore, Nichilo chiese aiuto a Cacuy:
- Sorella - le disse - ho visto un grande sciame d'api attorno a un alveare posto nella parte alta di un albero. Non posso arrivarci da solo. Devi venire con me e aiutarmi a prenderlo.
Pensando alla grande sete dell'astro Sole che arrivava tutti i giorni a bere l'idromele, la ragazza acconsentì e accompagnò il fratello nel bosco per recuperare il dolce tanto pregiato. Si issò per prima afferrandosi ai rami e ogni tanto chiedeva al fratello che la seguiva:
- Manca ancora molto?
- Sì - rispondeva, con animo turbato, Nichilo - è ancora molto più su.
Quando la sorella trovò le api, dovette coprirsi il viso col suo mantello per non essere punta dagli insetti. Mentre era occupata a prendere il miele, il fratello, sempre turbato, discese rapidamente tagliando i rami dell'albero dietro a sé, con l'intenzione di togliere ogni appiglio alla sorella, per lasciarla lassù.
Cacuy supplicò il fratello dall'alto affinché l'aiutasse a scendere, ma Nichilo andò via senza neanche voltare la testa. Aveva compiuto la sua vendetta. Cacuy passò la giornata appesa all'albero di carrubo, coperta quasi totalmente dal miele e dalle punture. Ogni tanto chiamava il ragazzo, che non si faceva vedere, e presto calarono le prime ombre della notte sugli alberi della collina alberata.
Il vento freddo faceva agitare la cima dell'albero e Cacuy, tremando di spavento, chiese aiuto all'astro Luna che cominciava a fare capolino fra le nuvole. Allora i suoi piedi si trasformarono in artigli di gufo e le sue braccia si coprirono di piume. Quella notte, illuminata dalla fioca luce della luna, Cacuy divenne un Gufo, uccello notturno della selva.
Da quel giorno al calar del sole, il canto di dolore di Cacuy rompe il silenzio dei boschi e fa rabbrividire gli abitanti del luogo:
- Turay, turay, cacuy! Fratello, fratello, vieni a salvare Cacuy!
Così canta l'uccello magico tutte le notti fino allo spuntare del Sole in cielo, e allora si calma e dorme quieto. Quando c'è molta luce si nasconde dentro i buchi dei grossi tronchi d'albero. Questo uccello, incantato dalla luna, non scende mai a terra e col suo canto piange l'assenza del sole dall'imbrunire e non finisce fino a quando il sole non appare luminoso.
Raccontano le vecchie leggende che questo pianto di Cacuy è causato non solo dall'abbandono di suo fratello Nichilo, ma anche da quello del suo amore, il Sole. Non trovandola a casa per farsi servire da bere, si allontanò verso il cielo e non tornò mai più.
Quando si sente nel bosco il suo grido lamentoso, gli abitanti della selva alta assicurano che c'è del miele vicino o che incomincerà a piovere presto. Ma quando vedono un gufo fermarsi sul tetto di qualche dimora, sono sicuri che i fratelli che ci abitano litigheranno. È per questa ragione che si adoperano le sue piume come amuleti per allontanare i malefici, gli incantesimi e i conflitti familiari.
UNA STELLA STREGATA
In un villaggio nell'Amazzonia peruviana, della tribù degli aguaruna, viveva una madre con due figlie molto belle.
Un giorno, quando tornavano dal fiume dove erano andate a prendere l'acqua, si resero conto che essa fuoriusciva da una fessura nel recipiente d'argilla. Allora riandarono al fiume, coprirono il fondo del recipiente con fango e lo riempirono ancora con l'acqua. Ma, pieno, non poterono nemmeno tirarlo fuori dal fiume. Cercarono in ogni forma di ritornare a casa con l'anfora, ma non ci riuscirono.
Stanche e bagnate fradice chiamarono aiuto e la madre non le sentì. Giunse la sera e comparve in cielo la luna. Questo astro, chiamato Nantu dagli aguaruna, ebbe compassione delle due fanciulle tremanti di freddo. Prendendole coi suoi raggi le portò in cielo e divennero due bellissime stelle brillanti.
La madre, vedendo che le figlie non tornavano a casa, scese verso la riva del fiume e vide l'anfora piena di fango in fondo al torrente. Le cercò lungo la riva, temendo il peggio e le stelline le risposero dall'alto, scampanellando. La madre guardò verso l'alto scoprendo le figlie. Afflitta per la loro lontananza, ogni volta che voleva vederle, aspettava la notte e usciva fuori di casa per guardare in cielo.
Molto tempo dopo, due fratelli di un villaggio lontano, guardando il cielo di notte videro le stelle che brillavano e scampanellavano lassù.
- Se io possedessi una stella tanto magnifica, sarei l'uomo più felice della terra! - esclamò uno dei fratelli.
- Anch'io! - rispose l'altro.
Le sorelle Stelline sentirono queste parole e caddero a terra, come due sassolini lucenti. Uno dei fratelli prese un sassolino, lo guardò e lo gettò nel fiume, invece l'altro esclamò riflettendo:
- Io non lo getto via, sembra proprio una piccola stella caduta dal cielo.
Non si resero conto, mentre s'allontanavano, che il sassolino gettato via risalì in cielo grondando acqua. Quello portato a casa diventò una bellissima fanciulla, di notte, quando tutti dormivano, e lavorò, pulendo la casa e cucinando i cibi. Il giorno dopo, la madre dei due giovanotti s'alzò di buon mattino e vide la casa che splendeva e le pentole fumanti.
- Chi di voi due ha pulito la casa e preparato da mangiare? - chiese stupita ai suoi figli.
Poiché nessuno dei fratelli ammise d'averlo fatto, pensarono a qualche anima buona e dimenticarono il fatto. Ma la Stellina ripeté queste faccende una seconda e una terza notte, incuriosendoli.
Una sera si svegliò il ragazzo sentendo un rumore in casa e si alzò dalla sua amaca. Scoprì la brillante Stellina convertita in donna bellissima dietro le pentole. Appena la vide s'innamorò perdutamente di lei e l'abbracciò con amore.
Al mattino seguente, convertitasi la fanciulla nuovamente in sassolino, il giovane innamorato raccontò la sua esperienza alla madre: il sassolino stregato era una stella caduta dal cielo che di notte diventava la donna più bella del mondo. Giurò che era pazzo d'amore per lei e che l'avrebbe sposata anche se poteva vederla soltanto di notte.
La madre, adirata col figlio, prese il sassolino e, pensando che qualche strega lo avesse incantato, lo gettò nel fiume. Il sassolino prese la stessa strada di ritorno della sorella, e si diresse verso il cielo.
Sconsolato, il giovane innamorato raccolse una lunghissima canna, la conficcò in terra e cominciò ad arrampicarsi, ma non arrivò in cielo. Quindi, annodò con una corda diverse canne lunghe ma neanche così poté giungere lassù.
Ancora oggi si può vedere nelle notti stellate, in quel villaggio vicino al fiume, il ragazzo insoddisfatto che si arrampica su per le lunghe canne cercando di salire in cielo e raggiungere la sua amata. Intanto, Nantu guarda con commiserazione il ragazzo innamorato della Stella.
LA TARTARUGA DI MANSERICE
Un gruppo di tartarughe di fiume scapparono dal recinto dove erano custodite dagli abitanti della selva, i quali le tenevano per farne leccornie prelibate nelle loro grandi occasioni e festività. Decisero quindi di evitare il crudele destino che le aspettava attraversando la terribile Gola di Manserice. Le tartarughe di fiume sono conosciute per la loro grande astuzia: aspettarono che il fiume fosse in secca e, solo quando videro che il livello dell'acqua era sufficientemente basso, si misero in fila ed entrarono lentamente nell'enorme spaccatura fra le pareti verticali, evitando opportunamente cascate, voragini e mulinelli. Le tartarughe che si rispettano avanzano impettite, ma molto lentamente, e così quando la prima del gruppo si trovava a metà percorso, l'ultima iniziava in quel momento la traversata.
Poco tempo dopo sentirono il rumore assordante del torrente avvicinarsi con violenza, ma le tartarughe proseguirono col loro passo tranquillo lungo il letto del fiume e finalmente la prima tartaruga arrivò alla meta, ponendosi in salvo. Dall'alto di uno spuntone di roccia, un condor le avvisò che la portata d'acqua del fiume era cresciuta improvvisamente e sarebbe arrivata come un'onda violenta in pochissimo tempo. La prima delle tartarughe, dando prova di molto coraggio, disse:
- Non abbiate paura, io farò in modo di bloccare il torrente con il mio corpo fino a che l'ultima di voi sia arrivata all'altra sponda, sana e salva. - E facendo scudo col suo enorme guscio, chiuse l'entrata della Gola mentre le sue compagne arrivavano sull'altra sponda, mettendosi in salvo lungo la riva. La tartaruga coraggiosa ricevette in pieno l'urto dell'acqua nello stesso momento in cui il suo sguardo era rivolto all'ultima compagna che era arrivata a destinazione. L'acqua invase la gola e il letto del fiume con un frastuono impressionante, trascinando con sé la tartaruga coraggiosa. Di lei, purtroppo, non si seppe più nulla.
Per commemorare questo importante evento nella storia delle tartarughe del fiume Marañon , e del loro trionfo sulle acque, issarono una statua in onore della compagna audace proprio in mezzo alla Gola di Manserice. In tempo di secca la si può intravedere ancora oggi, anche se il tempo e l'acqua hanno corroso l'iscrizione di pietra alla base della statua. La gente del luogo la ricorda ancora come segue:
Vigile come il condor che alto vola
e coraggiosa nella terribile gola
LA MOGLIE RIBELLE DELL'ASTRO SOLE
Per la tribù aguaruna della selva amazzonica peruviana, gente pacifica dedita alla caccia, alla pesca e a piccole coltivazioni sul terreno rubato ai fiumi, l'astro Sole vive in cielo e viene rispettato e onorato perché offre luce, vita ed energia a tutte le cose viventi della terra.
Questo dio Sole è chiamato Etsa, e sua moglie, Takash.
Molto tempo fa, vedendo che gli uomini non sapevano pescare nei fiumi, Etsa volle che sua moglie scendesse sulla terra per aiutarli a pescare.
- Questi raggi che sto intrecciando - disse alla moglie - sono di filo di cotone. Devi andare sulla terra e insegnare agli uomini che abitano lungo il fiume delle Amazzoni come prendere i pesci. Ma ti raccomando, Takash, appena io taglio il primo filo di cotone, e i raggi cominceranno ad allontanarsi, dovrai tornare subito al mio fianco, senza fermarti.
Scendendo lungo uno dei raggi di cotone fatti dal Sole, suo marito, e raggiunta la riva del fiume, Takash istruì gli uomini a prendere foglie dalla pianta di barbasco e gettarle in acqua affinché i pesci s'addormentino, per poi catturarli facilmente con le mani. Passò la giornata e i pescatori, lavando le foglie del barbasco e gettandole nei torrenti, pescavano tanti pesci che riempivano tutte le ceste.
Etsa il Sole tagliò uno dei suoi fili di cotone e la donna si rivolse ai pescatori:
- Adesso devo tornare da mio marito.
- Eh, no - risposero gli uomini che erano felici di avere l'aiuto di una donna così saggia e paziente. - Devi rimanere ancora un po' con noi, almeno finché abbiamo cucinato i pesci.
La donna, compiaciuta, rimase ancora. Il sole, invece, si adirò molto vedendo che la moglie non tornava e allora, dopo aver arrotolato il suo raggio, tagliò un altro filo, sperando che questa volta la donna tornasse a casa.
Takash non voleva ritornare e fece finta di non vedere il segnale del Sole perché si divertiva un mondo mangiando, ballando e cantando con gli uomini della foresta. Quando il Sole tagliò tutti i raggi di cotone, aspettò ancora per un po', ma la moglie ribelle non volle sapere di tornare lassù, in cielo. Allora Etsa s'infuriò, scese nell'Amazzonia, prese sua moglie, la portò via e non la lasciò più scendere sulla riva del fiume. Si rivolse quindi ai pescatori con queste parole:
- Era mio grande desiderio aiutare gli uomini della terra affinché imparassero a vivere meglio e per questo vi ho inviato mia moglie. Poiché è stata ribelle, da oggi in poi gli uomini della terra chiederanno aiuto alle proprie mogli per imparare i mestieri e non alle donne altrui.
Da quel momento in avanti, le donne aguaruna insegnarono ai loro uomini le arti e i lavori necessari per vivere nella giungla.
LA MOGLIE GOLOSA DELL'ASTRO LUNA
Auju, moglie dell'astro Luna, Nantu, era molto ghiotta, panciuta e aveva un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
Avevano un bell'orto pieno di zucche: a Luna-Nantu piaceva mangiare shapo, un minestrone a base di zucca.
Un pomeriggio Nantu arrivò a casa dopo aver cacciato sui monti tutto il giorno, e disse alla moglie Auju:
- Preparami un minestrone di zucca che sono stanco e affamato.
Ma la moglie aveva preparato lo shapo la mattina presto e lo aveva mangiato tutto. Per ingannarlo, prese cera d'api e con essa si incollò le labbra; con una bocca piccola, piccola come quella dei pesci, disse al marito:
- Caro, non ho preparato niente perché ho finito le zucche. Nemmeno io ho mangiato. Come potrei mangiare qualcosa, con questa boccuccia piccola, piccola che ho?
Nantu, stanco com'era, andò giù nell'orto, prese diverse zucche e le lasciò vicino al focolare.
- Andrò nuovamente a caccia - disse - ma al ritorno voglio trovare la minestra pronta.
Auju preparò nuovamente il minestrone, ma siccome aveva ancora fame, divorò fino all'ultimo mestolo di minestra. Quando tornò Nantu dal monte, gli disse che non aveva trovato le zucche.
- Chi le avrà rubate? - chiese l'astro, sorpreso.
- Non so. Qualcuno di sicuro è stato. Io, con questa boccuccia piccolina no di certo. Come potrei mangiarmi tutte quelle zucche? - disse la donna, mentendo.
Nantu, sospettoso, andò nuovamente nell'orto, prese diverse zucche e le diede a sua moglie, raccomandandole di preparare il minestrone prima che qualcuno rubasse le verdure. Invece di andare a caccia, si nascose per vedere cosa faceva la moglie con le zucche. Quando la vide preparare il minestrone fu contento, ma avvicinandosi a casa lentamente, vide Auju mangiarselo tutto e si arrabbiò moltissimo.
- Non voglio più vivere con te, Auju, perché sei una donna troppo mangiona e bugiarda.
Allora l'astro Luna si arrampicò sopra un lungo fusto della pianta chiamata Nantu wakam, che cresce alta fino al cielo, e rimase lì per sempre.
Auju volle seguire il marito, ma siccome era ingrassata mangiando tanto minestrone, la pianta si ruppe e lei cadde pesantemente a terra. Nantu la trasformò nell'uccello chiamato Ayaymamma, che si lamenta ancor'oggi nelle notti di luna piena, cantando:
Marito Luna-Nantu, torna giù
Che minestrone non mangerò più.
MASHIN E LO SPIRITO DELL'OSCURITÁ
Un tempo, nelle foreste amazzoniche, abitava Iwa, lo Spirito dell'Oscurità, il quale, stanco di vivere al buio, rubò la luce per poter cacciare e lasciò il resto della foresta nell'oscurità. Aveva il fuoco acceso perennemente, ma intorno c'era solamente il buio. Fabbricava trappole con fibre di palma shambira, e con quelle catturava colombe e camaleonti per mangiare. La scimmia Mashin era molto arrabbiata con lo spirito per questo. Un giorno gli disse:
- Perché non mangi zucca, arachidi, fagioli o mais? Devi imparare da noi, Iwa, che non cacciamo gli altri animali per mangiare.
- A me piace mangiare animali - rispose Iwa.
Allora Mashin chiamò il suo amico Jempe, il colibrì, e gli disse:
- Siccome Iwa approfitta dell'oscurità per cacciare gli animali, dobbiamo rubare la candela che ha in casa e illuminare la giungla tutt'intorno, affinché nessuno cada nelle trappole. Tu, Jempe, devi aiutarmi in questa impresa.
Si misero d'accordo e un giorno, mentre Iwa tagliava tronchi nel bosco, Mashin, dall'alto di un albero, gli soffiò addosso polvere di peperoncino. Iwa buttò l'ascia a terra e corse a lavarsi l'occhio dolente nel ruscello.
- Non preoccuparti - disse Mashin facendo finta di essere molto dispiaciuto - io taglierò per te gli alberi che vorrai.
Così dicendo si mise a tagliare un tronco d'albero.
- Sta cedendo?- lo incalzò Iwa.
- Manca poco - rispose la scimmia.
Stanco d'aspettare, Iwa sbottò:
- Lascia stare, Mashin, che finirò io di tagliare l'albero.
Allora, di nascosto, la scimmia buttò l'ascia dentro il fiume Santiago, e così replicò:
- Non puoi, mi è caduta l'ascia nel fiume e devi cercarla sul fondo per trovarla.
Mentre Iwa nuotava sott'acqua, nelle profondità del fiume, Jempe entrò a casa di Iwa e, prima di spegnere l'enorme candela, diede fuoco al suo codino di piume ed uscì volando, portando con sé la luce.
Volava fra rami e foglie secche, che crepitavano nel prendere fuoco, sfiorati dal codino del piccolo colibrì; rapidamente tutto il bosco s'illuminò. Alla fine, l'uccellino immerse la coda bruciacchiata nell'acqua del fiume e la spense.
Da allora in poi, tutti i colibrì hanno sempre avuto il codino bianco come la cenere.
Nel tornare a casa, Iwa non trovò più la sua luce. Arrabbiatissimo, prese un batuffolo di cotone, lo impregnò con l'oscurità delle griete della terra, poi strizzò il cotone e dipinse il suo corpo con quell'inchiostro nero, finché sparì.
Da quel momento Iwa non si vede più. Per questo adesso il mondo s'illumina quando albeggia tutte le mattine, la gente mangia tuberi di yuca arrostiti sul fuoco, gli animali vivono tranquilli nella selva eludendo le trappole e tutti gli uccelli cantano felici sotto il sole.
QUANDO L'ASTRO SOLE SI ARRABBIA
Nella mitologia della selva amazzonica, l'astro sole e l'astro luna sono maschi. Gli aguaruna chiamano Etsa il sole e Nantu la luna. Gli shipibo, invece, utilizzano i nomi Bari per il sole e Use per la luna.
Raccontano i shipibo che Bari-Sole viaggia lungo un fiume nel cielo sopra una canoa guidata da due folaghe. Sotto il vestito indossato dal Sole, splende il fuoco. Durante la notte, Bari-Sole continua la sua strada sotto terra, seguendo un fiume sotterraneo; il giorno seguente esce dall'altra parte del mondo.
I più anziani membri della tribù shipiba, raccontano che Bari era, molti anni addietro, più vicino alla terra; faceva tanto caldo che bastava mettere gli alimenti al sole perché si cuocessero da soli, senza bisogno di accendere il fuoco. Ma un giorno Bari-Sole si adirò moltissimo con gli uomini, perché non avevano seguito i suoi consigli e così si allontanò dalla terra.
Oggi, quando Bari si arrabbia con gli uomini, chiude gli occhi producendo un'eclissi. Allora la gente della tribù gli offre regali e ballano e cantano affinché ritorni al più presto. Quando il Sole torna a splendere nel cielo, la comunità intera fa festa.
LO SPIRITO DELL'ARCOBALENO
Secondo le tradizioni, Tunshi, lo spirito del vento, appartiene all'aria; Yoshin, lo Spirito del Fuoco, appartiene alla terra; Yacumamma, la Madre dei Fiumi, appartiene all'acqua ed è lo Spirito dell'Arcobaleno.
Yacumamma prende la forma di un serpente d'acqua o serpente boa gigantesco e vive dentro i fiumi e i laghi della giungla. Quando esce dall'acqua produce vortici e onde altissime, facendo naufragare le canoe e altre imbarcazioni della gente che vive vicino ai fiumi. Questo serpente ha una testa enorme e quando si immerge sott'acqua fa tremare la terra. Certe volte rimane a pelo d'acqua, attraversando il fiume o il lago da parte a parte, non permettendo alle barche di continuare il loro percorso.
Questo spirito dell'Arcobaleno, Madre dei Fiumi, vive attorniata da folletti dell'acqua e quando appare in cielo si sdraia da una parte all'altra e fa piovere.
E' per questa ragione che quando c'è siccità, la Madre dei Fiumi sale verso il cielo, commossa, diventa un arcobaleno e piange sulla terra. I folletti ballano intorno all'albero di "lupuna" (Ceiba pentadra), l'albero sacro della selva, mentre continua a piovere. La sua linfa contiene veleno e, siccome supera i cinquanta metri di altezza, viene considerato il Re dei tronchi.
LA LEGGENDA DEL DILUVIO
La leggenda racconta che molti anni fa Cori Inca, o Inca d'Oro, proveniente dalle alte città della Cordigliera delle Ande, giunse alla selva amazzonica per aiutare gli uomini delle tribù e insegnare loro a vivere decentemente, a costruire le loro dimore, a seminare, a pescare e a cacciare. Gli shipibo ridevano di lui per il suo inusitato abbigliamento e il suo comportamento signorile. Alcuni di essi lo inseguirono per ucciderlo prima ancora di ascoltare i suoi consigli.
Allora, Bari-Sole, irritato per l'atteggiamento della tribù shipiba che non ubbidiva l'Inca che gli faceva onore, inviò tanta acqua che la selva s'inondò e si ebbe un vero diluvio. In questo modo castigò la tribù e distrusse il loro mondo antico per crearne uno nuovo.
Da questa catastrofe si salvò unicamente un uomo buono che aveva aiutato Cori Inca a fuggire dagli shipibo. Molto tempo dopo, quando le acque del diluvio si ritirarono nel letto del fiume Ucayali, quest'unico essere vivente rimasto nella giungla percorse la foresta disabitata, solitario e affamato.
Una mattina trovò acqua pulita in un recipiente di zucca essiccata e alimenti in un piatto di coccio davanti al suo rifugio. Si sorprese moltissimo perché questo ritrovamento indicava l'esistenza di un'altra persona, a parte lui, sopravvissuta al diluvio. Allora decise di nascondersi per scoprire chi gli portava così graditi doni.
Scavò una buca per terra e si sedette all'interno; poi si coprì con una grande foglia d'albero, affinché nessuno scoprisse il suo nascondiglio. Poco dopo sentì una voce roca che gracchiava:
- Prrr, prrr, vieni senza timore che l'uomo è andato via!
Intanto, il buon uomo osservò che la voce apparteneva a un pappagallo. Questo si rivolgeva a una fanciulla che navigava su una fragile canoa.
Sorpreso e contento, uscì dal suo nascondiglio, si avvicinò alla fanciulla e la ringraziò per l'acqua fresca e gli alimenti che portava. La giovane, vedendo che era un buon uomo, lo seguì e costruirono insieme un alloggio più robusto. Lei aveva trovato diversi animali dispersi per il bosco e li recintarono tutti vicino alla nuova abitazione.
Vissero insieme e condivisero la loro solitudine. Lei faceva da mangiare e lui tagliava la legna.
Cori Inca, trasformato in uccello, aiutò gli unici sopravvissuti del diluvio e lasciò cadere sulle ginocchia della donna diversi semi. Use-Luna insegnò loro a seminarli e a raccoglierne i frutti, introducendo per la prima volta l'agricoltura nel mondo amazzonico.
Fu così che questi due esseri umani, prescelti da Bari-Sole, ebbero cura degli animali trovati dispersi nella foresta e ripopolarono il mondo.
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