Persi nel vuoto

di Vincenzo Malara

testi tratti dal romanzo "Persi nel vuoto"

Primo testo estratto, da "Sam e la voce"

"Sam Starkey è perseguitato da una voce inquietante e terribile che esce dal buco del lavandino. Mentre la moglie partecipa all'ennesimo presunto convegno di lavoro, quella voce lo mette a conoscenza di un'amara verità: i tradimenti della donna. Perduta completamente la ragione decide allora di andare a cercarla per ucciderla assieme al suo amante. Ma la voce, che lo segue dappertutto, gli riserverà un inaspettato finale..."

- Dovresti imparare a farla godere meglio, Sam, forse è per questo che ha scelto lui...

La voce continuava a ridere. Sam sferrò un colpo sul lavandino e poi si asciugò le lacrime dagli occhi.

- Stai zitta, lasciami in pace!

Poi Sam sferrò un altro pugno, questa volta sullo specchio. Il vetro si frantumò in tanti pezzettini. La sua mano prese a sanguinare. Gocce di sangue nel lavandino. Giù per il buco.

- Così però mi sporchi di sangue, Sam...

Sam iniziò a urlare, a svuotare il suo cuore pieno di odio per Anne e per quella voce.

- Ma dove sei nascosta tu? Cosa ci fai nella mia casa? Perché hai voluto rovinare la mia fottuta vita?

Per un attimo non uscì nessuna risposta dal buco. Quasi Sam sospettò che quello sfogo fosse servito a scacciare quell'incubo, ma durò solo un giro di lancetta dell'orologio.

- Non chiedermi perché sono nella tua casa, ma chiediti perché tua moglie si fa sbattere da un altro, chiediti come fargliela pagare...

- Ma io avrei preferito non sapere nulla, forse sarebbe finita, forse non me ne sarei mai accorto...

Le sue parole uscivano sconnesse, tremolanti, disperate.

- Avresti preferito passare il resto della tua vita con una donna che fingeva? Che fingeva l'amore che provava per te, che fingeva di avere solo te nei suoi pensieri? Non te lo meritavi, Sam, tu le hai dato sempre tutto e lei ti ripaga in questo modo? Sono venuta per bloccare tutto questo...

- Non te lo meritavi. - Le parole della voce rimbalzavano nella testa di Sam e alimentavano il suo odio improvviso per sua moglie. - E lei ti ripaga in questo modo? - E improvvisamente l'uomo provò il desiderio di fargliela pagare.

- Vuoi ucciderla, Sam?

La voce lo interrogava. Sam pensava a cosa fare. Sam ricordava l'amore della sua vita così come l'aveva conosciuto. Anne e il loro matrimonio. Anne e lui, una cosa sola che si era frantumata. Non poteva finire tutto così, ma certe volte nella vita non ci sono spiegazioni.

- Uccidila e fai in modo che nessuno si accorga della tua colpevolezza...

Mentre quella voce lo tempestava di consigli, di una cosa sola Sam Starkey era sicuro: non avrebbe mai più amato Anne e non l'avrebbe perdonata. Forse avrebbe potuto sopportare una sbandata ma non un rapporto parallelo che andava avanti da mesi. Come aveva potuto?

- Procurati una pistola, Sam, e una macchina con cui non possano risalire a te...

E Sam si accorse di non potere più sopportare nemmeno quella voce.

- Ora ti mando via, maledetta...

L'uomo staccò le mani dal lavandino e uscì dal bagno. Entrò nello sgabuzzino in salotto e tirò fuori un ricordo della sua infanzia. La mazza da baseball che gli aveva regalato suo padre. Sam la impugnò forte. Sam prese a sbattere la mazza contro la base del lavandino. Un colpo e poi un altro. Un terzo e un quarto con ancora più violenza. La ceramica iniziò a colorarsi di crepe.

- Ora vediamo dove sei infilata, brutta stronza...

Il lavandino iniziò a cedere. Al piano di sopra chiunque ci fosse aveva riacceso l'aspirapolvere e ora quel rumore, insieme ai colpi di Sam contro la ceramica, creavano una curiosa colonna sonora a quella strana mattina. Una confusione infernale. Solo un ultimo colpo e il lavandino crollò. Le tubature rimasero in piedi ma dalle manopole del rubinetto iniziarono a spruzzare degli schizzi d'acqua.

- Dove sei? Chi diavolo c'è nel mio bagno che conosce la mia vita?

La voce di Sam si perdeva nel ronzio dell'aspirapolvere che sembrava risucchiare ogni cosa, anche i pensieri nella sua testa.

- Ma credevi veramente che ci fosse qualcuno accucciato sotto il lavandino, Sam?

E la voce scoppiò a ridere ancora più forte delle volte precedenti, sempre con lo stesso raschio ad accompagnarla.

- Non credevo niente, ma è dalla prima volta che ti ho sentito che volevo spaccare tutto.

Sam ansimava. Sam mollò la mazza da baseball in terra e si mise a sedere sulle mattonelle del bagno. La testa girava e anche tutto il resto. L'acqua che spruzzava dal rubinetto gocciolava per terra.

- Potrai trovarmi ovunque tu vorrai, basta che ci sia un bagno e io ci sarò, Sam...

L'uomo si voltò verso quello che restava del lavandino con uno sguardo ancora più incredulo dei precedenti.

- E perché dovrei cercarti?

Un gorgoglio salì per le tubature come se dovessero sputare fuori qualcosa.

- Perché la strada da Creek Tailer a Boston è lunga e potrai avere bisogno dei miei consigli. Io so molte cose che potrebbero aiutarti...

Sam si alzò da terra, scrutò la stanza da letto e, sopra l'armadio, vide la borsa sportiva che usava quando andava in collina con Anne nei fine settimana.

- Sì, forse è meglio fare un salto a Boston da Anne...

Un ghigno inquietante salì sulla faccia di Sam.

Secondo testo estratto, da "La casa di Rose"

"Rose Thompson è una grassona misantropa, affezionata ad alcuni topi che lei stessa ha allevato e che considera la sua famiglia. Un giorno l'idraulico Kevin Dusdey viene chiamato dalla donna per effettuare una riparazione al lavandino del bagno che, accidentalmente, uccide un sorcio. L'episodio porterà Rose a una tale follia da desiderare un'agghiacciante punizione per l'uomo a cui ha aperto, in via del tutto eccezionale, la sua casa e parte di sé."

La donna aveva aperto il suo armadio e Kevin si era accorto che oltre ai suoi vestiti, in un angolo, c'era un piccolo impianto stereo con due casse e un giradischi. Rose aveva abbassato la puntina sul vinile e Mick Jagger aveva cominciato il suo concerto. La donna era così goffa nel suo ballo sulle note di Flight 505, il suo corpo grasso, con le braccia flaccide e le gambe tozze, ballonzolava seguendo la musica, ma Rose sembrava essersi persa nel vuoto, i suoi occhi che passavano da Kevin e ai suoi topi senza guardare davvero nessuno, i suoi movimenti affaticati ma così naturali, il labbro inferiore mordicchiato dai denti come se provasse piacere. "Allora, io sto bene qui a casa, ho tutto quello di cui ho bisogno...".

Le parole di Mick Jagger avevano rapito Rose e Kevin doveva fingere di divertirsi a quella vista, ma nella sua testa pensava, come se la sua mente si fosse sdoppiata in due, una che fingeva di apprezzare la donna e un'altra che bramava la ribellione. "Ho appena chiamato la ragazza dell'aeroporto e le ho detto di mettermi sul volo 505... mettimi sul volo 505...". Le parole di quella canzone uscivano dal giradischi e strisciavano fino alle gambe di Rose che non smettevano di ballare. Intanto i topi correvano per la stanza, cercando di evitare i passi ondeggianti della donna. "Allora, ho confermato la mia prenotazione... non ho idea della mia destinazione...". Kevin muoveva la testa a ritmo e intanto ragionava sull'unica cosa che poteva fare. "Mettimi sul volo 505... mettimi sul volo 505...". Rose strinse gli occhi e iniziò a far roteare la testa, come se fosse precipitata in un trip mentale. "È la fine del volo 505... è la fine del volo 505...". L'uomo doveva approfittare del momento in cui mangiava e le sue mani erano libere dalle catene, doveva riuscire a convincere Rose ad avvicinarsi, sperare che non portasse con lei la mazza di legno e poi l'avrebbe colpita con le posate, con la forchetta e il coltello. Forse ora la donna aveva più fiducia in lui e avrebbe acconsentito a una richiesta così pericolosa, era un piano infantile e scontato ma Kevin non aveva altra scelta. "Mettimi sul volo 505... mettimi sul volo 505...". Rose lo teneva sempre sotto controllo, con la mazza vicino alla sedia a dondolo, ma se lui l'avesse colpita senza fallire la donna non avrebbe fatto in tempo ad afferrarla. "Non ho idea della mia destinazione e mi sento abbastanza male...". La musica si fermò e Rose riaprì gli occhi, il suo sguardo sembrava sollevato e riposato, come se il viaggio a occhi chiusi l'avesse liberata da una tensione nascosta.

- Il prossimo mese sarò incinta, lo sento...

Kevin deglutì e sentì il respiro perdersi in gola senza uscire dalle narici. Quelle parole furono come un una scarica di pugni in faccia concentrate in un colpo solo.

- E se non sarò incinta ti scoperò ancora e poi ancora, finché non avrò il mio Bill...

Gli occhi della donna si strinsero in due fessure buie e maligne ed entrarono in quelli di Kevin. Rose voleva chiamare suo figlio col nome del topo che era morto. Rose aveva ritrovato la follia dentro di sé.

(© Vincenzo Malara. Testi riprodotti su autorizzazione del detentore dei diritti.)

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