Il Generale Dwight D. Eisenhower, già presidente USA, è divenuto famoso anche per il suo discorso di Commiato alla Nazione del 1961, in cui delineò i possibili pericoli per la pace derivanti dal collegamento tra il sistema militare, economico e politico.
C'è qualcosa che non riesco a inquadrare con precisione. A oggi, assisto con sempre maggior stupore all'avanzata di uno stato islamico apparentemente uscito dai testi di storia medioevale, il cui concetto della vita e della società, visto da occhi occidentali, rasenta la follia e la mostruosità dei fanatismi nazisti o comunisti del scorso secolo. Poi, se guardo ancora all'est europeo, noto con mia sorpresa la nascita di un forte sentimento di revanche russo contro i presunti vincitori della Guerra Fredda, sfociato in una politica geniale di acquisizione di terreno tramite un concetto di distribuzione della guerra molto simile al franchising che affida il suo successo alla volontà imbelle e decisamente restia a combattere dei governi delle nazioni cosiddette padrone del globo, la cui principale occupazione negli ultimi 20 anni è stata quella di ridurre l'impatto della politica sulle attività economiche in modo da aumentare sempre più il denaro e la potenza della finanza, dimenticandosi di guardare al mondo con occhi diversi da quelli del concetto di domanda e offerta.
Spesso, ascoltando i commenti dei vari giornalisti, esperti o politici di turno che parlano di guerra, mi si accappona la pelle. Non tanto per l'ignoranza di queste persone in senso generale, ma per la loro completa incapacità di affrontare un problema come questo. Sono personaggi che continuano a chiamare marines indiscriminatamente tutti i soldati americani, come se un alpino fosse uguale a un bersagliere. Oppure non distinguono la differenza tra una divisione e una compagnia o tra una trasporto truppe e un carro, chiamati indistintamente Tank.
Non che sia necessaria la conoscenza di questi temi per esprimere un'opinione autorevole e probabilmente fino a questo momento non era richiesta, in un curriculum da giornalista o nell'esperienza di un politico, la capacità di distinguere anche sommariamente un'unità militare dall'altra, ma nonostante la buona volontà che riconosco in molti, semplicemente coloro che dovrebbero informaci o governarci non riescono a comprendere. Di fatto, con l'avvento del soldato professionista in senso quasi mitico anche la questione strategica e geopolitica nei telegiornali o nei quotidiani è stata delegata allo studioso in materia, normalmente professionista anch'egli, fondatore dell'ennesima rivista, organizzazione et similia di "STUDI STRATEGICI", in grado di rilasciare opinioni a pagamento.
Ora, tutto questo chiacchiericcio sull'argomento guerra crea una gran confusione in cui tutti si sentono in dovere di dire la loro, io compreso ovviamente, ma a differenza dei miei occasionali colleghi, io non parto da ciò che vediamo adesso, ma da quello che disse il generale e poi presidente degli Stati Uniti Dwight David "Ike" Eisenhower nel discorso di commiato alla nazione (17 gennaio 1961) in cui avverte la popolazione del pericolo che l'instaurazione di un complesso sistema d'interconnessione militare, industriale, e politica rappresentava per la salvaguardia delle libertà e della pace. Questo discorso è stato preso come spunto da decine di movimenti contro la guerra e contro la militarizzazione, ma come spesso accade, molti guardano solo i punti più vicini alla loro opinione invece di considerare il senso complessivo delle affermazioni del presidente.
Ike non diceva che una nazione non deve avere un esercito, né sosteneva che le armi in dotazione a detto esercito dovessero essere strettamente necessarie alla mera sopravvivenza formale. No, parlava della necessità di detenere un complesso e potente apparato militare in grado di salvaguardare la pace e di essere impiegato a questo fine in modo "istantaneo". Un sistema efficiente, numericamente sufficiente e in grado di affrontare campagne lunghe se necessario.
Ma assieme a questo sosteneva l'importanza di un contrappeso morale, ideologico e finanche religioso da radicare profondamente nell'apparato dello stato al fine di poter controllare il pericolo di deriva sconsiderata verso il dominio del denaro e la perdita delle libertà e dei processi democratici in una popolazione pienamente consapevole e all'erta.
Ora vi faccio una domanda, vi pare che quel contrappeso morale sia ben visibile a oggi?
Secondo me, non molto!
Ed è dal momento in cui il blocco occidentale ha vinto la Guerra Fredda che quel contrappeso ha cominciato a scricchiolare. La sconfitta del blocco sovietico e il crollo del sistema comunista ha determinato la mancanza della giustificazione per il controllo ferreo sulle attività economiche del tempo e se anche possiamo dire che l'apparato militare dell'epoca era di gran lunga superiore a quello attuale, è anche vero che rispondeva a specifiche necessità politiche e ideologiche, grazie alle quali prese forma la cosiddetta dottrina del contenimento di cui la guerra di Corea e del Vietnam sono figlie. Eventi tragici e terribili, indubbiamente, ma rientranti nel concetto espresso da Ike quando parla di necessità di apparati militari potenti in grado di difendere la libertà dello stato. Non solo, per garantire la vittoria morale dell'occidente, le nazioni europee hanno avviato negli anni '60 e '70 politiche di socialdemocrazia tali da garantire uno stato sociale tra i migliori mai visti nella storia moderna, infrastrutture strategiche come Telefonia, Energia, Trasporti, Sanità, Difesa in mano allo stato, la tranquillità economica derivata dalla costante presenza di lavoro stabilita da un sistema industriale chiuso in cui tutto veniva prodotto e consumato all'interno del blocco di appartenenza e anche politiche culturali finalizzate alla perseveranza nell'opinione pubblica del pensiero di essere nel giusto, di essere i veri eredi del concetto di comunismo nato da Marx e non il nemico oltre il muro. Questo complesso sistema politico non serviva solamente per garantire la stabilità interna, ma anche come arma di persuasione e di sovversione nella controparte sovietica. La vera chiave di vittoria della Guerra Fredda non furono le armi, la corsa agli armamenti e la conseguente crisi economica russa, ma lo stile di vita.
Il logo della Al-Furqan Media Productions, strumento mediatico di produzione della propaganda dell'Isis. Il Califfato usa mezzi e linguaggi comprensibili al pubblico occidentale, mentre le Potenze Occidentali non riescono a fare altrettanto nei confronti della controparte. Perché?
Una volta caduto il muro di Berlino tutto questo non era più necessario o quantomeno non rappresentava più ciò per cui era nato, quindi l'intero blocco occidentale, così strenuamente difeso e tenuto chiuso, capì che era il momento di evolversi e il complesso militare, industriale, e politico ha avuto un'evoluzione negli ultimi 25 anni, tale da comprendere ogni tipo di attività in grado di generare denaro, e ha invaso ogni branca della vita comune facendo perdere alle popolazioni il senso della misura, della necessità, la sicurezza del lavoro o semplicemente dell'etica che quel lavoro si prevede generi. Tutti si sono trasformati in clienti di un immenso calderone ribollente di multinazionali, banche, finanziarie, broker, economisti, politici, faccendieri, mafie e corrotti spesso in guerra tra loro e incapaci di razionalizzare l'evoluzione dell'umanità mitigando le acredini tra i popoli e migliorando la loro capacità d'interazione. Un complesso apparato finanziario ed economico in grado di valutare nazioni intere sulla base della loro capacità industriale, ricchezza procapite e indebitamento. Il verbo è diventato il PIL che molto saggiamente Bob Kennedy definiva incapace di indicare il valore della vita, ma che invece è diventato esattamente quello, il metro di valutazione delle nazioni, di società, organizzazioni e anche singoli individui assieme al rating, alla capacità di restituire il debito e a tutte le altre amenità finanziarie nate in questo periodo. O meglio, sono forse anche nate prima, ma il loro peso era ben bilanciato da quel contrappeso di cui sopra, un contrappeso ormai talmente logorato da non riuscire più a controllare lo strapotere di questo oscurantismo economico. Quindi abbiamo avuto negli anni la liberalizzazione delle aziende statali, la svendita delle proprietà dello stato, la delocalizzazione della produzione, la revisione dello stato sociale ormai troppo oneroso (come se la vita e la salute delle persone non fossero il primario scopo di un governo), la creazione dell'esercito professionista composto da supersoldati che libera le mani per interventi militari avventati ma redditizi, la globalizzazione, l'abbattimento delle remunerazioni, la fine della sicurezza economica sbandierata come dinamico mercato del lavoro, l'incapacità dei padri di dare ai figli ciò che i loro padri erano riusciti a dare loro e un'altra infinita sequenza di eventi più meno significativi nati al fine di ottenere l'utile, l'obbiettivo. La crescita infinita.
In quegli e purtroppo anche questi anni, l'idea di poter garantire sempre dei dividendi ai finanziatori, i soldi facili fatti con la delocalizzazione delle aziende, l'abbattimento del costo del lavoro richiesto dall'industria per competere con sistemi politici totalitari o arcaici a cui poco interessa la sopravvivenza del singolo, il liberismo sfrenato senza limiti né controlli, hanno portato l'occidente alla perdita definitiva del valore ideologico della politica, snaturandone la funzione e radicando un immenso scetticismo e rassegnazione nelle popolazioni verso i loro stessi governi e le loro stesse società, sempre più schiave di poteri forti e sempre meno autorevoli e capaci di imporre correttori e regole a questa forma ormai deformata di capitalismo.
Ovviamente, questa veloce descrizione degli eventi che hanno causato l'attuale crisi necessiterebbe di un approfondimento di gran lunga superiore a quanto scritto, ma l'unico motivo per cui mi sono cimentato in questo breve e incompleto riassunto è stato quello di far comprendere meglio il mio punto di vista sul perché politici, commentatori, giornalisti e anche buona parte degli intellettuali non capiscono come comportarsi nei confronti degli eventi attualmente in svolgimento a est e a sud dell'UE.
E la risposta è semplice, non riescono a capire perché per anni non hanno fatto altro che parlare di soldi, scambiare denaro, contrattare trattati basati sull'economia e sulla redditività finanziaria delle loro azioni e intendono tutto in funzione di questo e come uno specchio delle società che rappresentano. Anche noi popolo, in generale, cerchiamo sempre il lato economico di ogni evento geopolitico ritenendo la morale, l'ideologia e la religione, inutili orpelli celanti il solo e unico movente. Il denaro.
Quindi quando ci troviamo dinanzi persone che non muovono i loro passi pensando a quanti soldi possono guadagnare, ma lo fanno invece sostenuti da ideologia e hanno metodi e progetti avulsi da finanza e utile, semplicemente non li capiamo. Non comprendiamo quali siano i loro fini perché non siamo più abituati a guardare lontano e creare ora le basi per una costruzione che avrà il suo massimo splendore ben oltre la successiva tornata elettorale ed è una cosa che ci terrorizza... L'indeterminazione, l'incomprensibile posizione morale, ideologica e religiosa ormai non ci appartiene più.
E quindi non poter giustificare le azioni del "nemico" con qualcosa di comprensibile e tangibile scatena i voli pindarici della dietrologia, della Spectre globale, della necessità di riportare tutto a uno schema più comprensibile, più vicino alla nostra concezione di mondo. Una semplificazione atroce in grado di adeguare gli eventi alla limitata capacità politica, alla miopia del risultato a breve o brevissimo termine, allo spot televisivo che è stata il nerbo dei rappresentanti politici espressi in questi anni. Di conseguenza per loro lo stato islamico non è uno stato ma un'organizzazione terroristica, i suoi soldati non sono altro che miliziani, i loro comandanti solo fanatici religiosi e l'intera attività che questa cosiddetta organizzazione mette in atto si traduce principalmente in esecuzioni sommarie, attentati e minacciosi proclami...
Intanto la controparte fa sempre più proseliti nel mondo arabo e mussulmano, amministra città, fonda tribunali religiosi, dà assistenza sociale, riscuote tasse, gestisce l'ordine pubblico forse meglio di coloro che vi erano prima, controlla stazioni radio e TV diffondendo propaganda tramite la rete e l'etere, indottrina i bambini e i giovani come facevano con la Hitler-Jugend. Ma non solo, avanza inesorabile verso la conquista territoriale di immensi giacimenti di petrolio e gas naturale, minaccia specchi di Mar Mediterraneo dove circolano milioni di container di merci necessari alla sopravvivenza dell'economia occidentale, è estremamente vicina a reinventare in chiave moderna ciò che facevano i pirati saraceni sulle coste meridionali dell'Europa, stermina intere popolazioni, rapisce e schiavizza chi non uccide e converte a forza migliaia di persone limitando fortemente le libertà che per noi ormai dovrebbero essere scontate. Ma nonostante questo ancora in UE si preoccupano principalmente della possibile infiltrazione tramite i disperati che a migliaia arrivano sulla costa italiana o degli attentati terroristici in centri commerciali, perché questi avversari, a quanto pare, sono per le nostre cancellerie solo semplici terroristi.
Dimostrazione russa per la pace in Ucraina.Oltre alle ideologie religiose, le Potenze Occidentali si sono trovate spiazzate anche dal risorgere potente del nazionalismo russo.
E a est, Putin, la cui capacità politica e strategica supera quella di ogni altro esponente occidentale gli si sia contrapposto, sposta sempre più in alto l'asticella delle cose che gli sono concesse e delle conquiste territoriali a cui ambisce, sapendo che l'occidente non entrerà mai in guerra contro la Russia perché ha da perdere molto più di quanto potrebbe guadagnare e questa condizione si traduce spesso in debolezza politica, limitata capacità di analisi e gaffe internazionali che mostrano palesemente all'avversario non solo quale sarà la successiva mossa, ma anche quale sia la forma dei distinguo, delle crepe e attriti che rimescolano il campo alleato senza neppure l'ausilio di una efficiente intelligence. Egli è un ufficiale del KGB in grado di capire perfettamente di non avere davanti qualcuno mosso da una vera ideologia, una morale e un'etica religiosa tali da porre un limite alla sua ambizione, indulgendo in azioni veramente incisive dal costo estremamente alto a cui forse potrebbe veramente porre attenzione. Anche se un costo la Russia lo sta pagando come conseguenza dell'unica operazione di contrasto che le cancellerie occidentali riescono a concepire, cioè sanzioni economiche mirate a singoli personaggi e aziende. Non ovviamente una vera operazione di blocco economico, ma una limitata azione che comunque sta creando problemi, un costo che però l'orso russo sta pagando e continuerà a pagare essendo moralmente più forte e determinato da anni di umiliazioni e limitate capacità analitiche delle cosiddette potenze vincitrici, una sofferenza opportunamente canalizzata contro le cause esterne da un sentimento di revanche articolato con maestria al fine di sostenere con maggior impeto e senso di patria le decisioni del loro leader, il cui apprezzamento popolare rasenta quella del piccolo padre Stalin. E grazie a nuova dottrina ben bilanciata tra guerra, minacce, accordi con stati contrapposti all'occidente, fornitura di armi, sovversione e andamento stop and go, riesce a portare sempre più avanti la palla nel campo avversario.
Certo in quest'ultimo caso si può sempre indicare la prudenza occidentale come necessità dettata dalla presenza di armi nucleari, ma non è così. La massima utilità di un'arma nucleare è il non uso, la consapevolezza che a un impiego di ICBM o missili tattici nucleari, risponderà altrettanta potenza, rende inutili queste armi al fine di conseguire uno scopo politico, militare, economico, territoriale. Quello che invece, secondo me, incide molto di più, è legato all'incapacità militare nell'affrontare una campagna contro un avversario diverso dal talebano di turno. Ma è un discorso che non tratterò qui.
Concludendo quindi, quale è il peso dell'occidente negli eventi che stanno cambiando la storia?
Quali saranno le conseguenze della sua incapacità di muoversi, quali i costi che pagheremo e pagheranno i nostri figli?
Mi auguro di sbagliare, di essere in errore, ma la domanda ancora mi gira nella testa dandomi alle volte una senso di angoscia. Quale potenza siamo veramente in grado di esprimere?
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