- Parte prima: la preparazione tedesca
- Parte seconda: la preparazione alleata
- Parte terza: gli ultimi frenetici giorni e l'attacco dei paracadutisti alleati (questa pagina)
- Parte quarta: lo sbarco della fanteria anglo-americana e le operazioni del D-Day
L'ora si avvicina - visualizza mappa delle operazioni per lo sbarco in Normandia
L'invasione della Francia non comportava unicamente delle difficoltà militari, ma anche politiche. Per gli anglo-americani, tecnicamente, tale nazione era sia alleata sia nemica. Essa aveva combattuto al fianco degli inglesi fino alla data dell'armistizio separato e da allora in poi la Francia Libera di De Gaulle era stata vista come rappresentante ufficiale di coloro che non si riconoscevano nel governo di Vichy. Ciononostante, a più riprese la Gran Bretagna aveva tentato di portare dalla propria parte ciò che rimaneva della Francia, in particolare durante lo sbarco in Nord Africa e solo quando il primo ministro francese Laval aveva rotto gli indugi e si era schierato apertamente con la Germania nazista, la repubblica di Vichy era stata trattata come una nazione nemica. Si doveva quindi decidere come amministrare i territori conquistati ai tedeschi.
Una prima ipotesi di affidare il controllo delle terre liberate a un governo militare alleato rischiò di incrinare i buoni rapporti tra Churchill e De Gaulle. Quest’ultimo non poteva sopportare che la sovranità del popolo francese fosse in mano a una nazione straniera, seppure alleata. Fu così deciso che si sarebbe organizzato un governo provvisorio da affidare allo stesso generale francese. Però per giustificare un'azione di questo genere, ci doveva pur essere un apporto sostanziale alle operazioni militari. Il contingente della Francia Libera era ben poca cosa e si perdeva tra i 44.000 volontari di tutte le nazioni occupate che parteciparono all'operazione. Il contributo francese fu più grande solo grazie all'attività insostituibile dei Maquis. Durante la pianificazione definitiva delle operazioni, lo SHAEF, nel dubbio di quale potesse essere l'importanza di queste unità irregolari, considerò la loro attività come un bonus aggiuntivo di cui approfittare. Nondimeno, il 1 Giugno, furono proprio i Maquis a ricevere il primo ordine ufficiale di mobilitazione sul continente europeo in previsione dello sbarco.
Alle ore ventuno di quel giorno, il notiziario della BBC diffuse sul territorio francese il primo verso della Chanson d'Automne di Verlaine: Les sanglots longs des violons de l'automne (I lunghi singhiozzi dei violini d'autunno). Il messaggio in codice significava che l'invasione era imminente e sarebbe stata confermata dal verso seguente dello stesso poema entro quarantotto ore dalla data effettiva dell'attacco. Per ironia della sorte, la 15a armata tedesca aveva piena coscienza del significato di quel verso, per informazione diretta del Capo dell'Abwehr, Canaris, ma per inspiegabili ritardi del servizio di comunicazione della Wehrmacht né Rundtstedt né Rommel erano a conoscenza di questa importantissima notizia. A sconvolgere il già precario sistema informativo, il giorno 2 giugno la BBC anziché completare il verso, ripeté l'inizio della poesia senza una plausibile motivazione, almeno agli occhi dei tedeschi.
Quali erano le ragioni del comportamento alleato? Lo SHAEF aveva già deciso che lo sbarco sarebbe avvenuto tra il 4 e il 7 Giugno, unici giorni nella prima metà di quel mese che possedevano le caratteristiche desiderate dal comando alleato: un luna che sorgesse tardi (elemento favorevole per i paracadutisti) e una bassa marea all'alba (utile per individuare le difese tedesche altrimenti sommerse.) Sulla questione della marea possiamo notare quanto poco sapessero i vertici della Wehrmacht degli sbarchi anfibi. Rommel per esempio era convinto che l'invasione sarebbe avvenuta con l'alta mare, per accorciare il tragitto che i soldati dovevano compiere. Invece gli alleati avevano progettato di sfruttare la marea crescente perché così le Higgins Boats, una volta scaricate le unità di fanteria, si potevano disincagliare con l'aumento del livello del mare e non si trasformavano in ostacoli aggiuntivi per le divisioni che sarebbero seguite (follow-up units, secondo la dizione ufficiale).
Il raduno delle truppe che sarebbero state impiegate per l'invasione aveva avuto inizio nei primi giorni di Maggio. Erano previste due zone di raccolta: gli americani a Ovest, nella regione di Salcombe, mentre gli anglo-canadesi a est tra Solent e New Haven. Le follow-up units (in tutto 10 divisioni), furono organizzate in zone limitrofe tra Plymouth e Falmouth per gli americani e tra Sheerness e Harwich, vicino all'estuario del Tamigi, per i britannici. Durante tutto quel mese, si andarono concentrando in un area veramente ristretta un numero di uomini molto vicino ai 2.500.000. Il problema principale per gli alleati era mantenere l'ordine in questi giganteschi accampamenti.
Inizialmente furono permessi i tradizionali sport: football e baseball per gli americani e calcio per gli inglesi. Notando però il crescente numero di risse che le partite provocavano, furono tutti vietati all'infuori del baseball, sport non di contatto. Per passare il tempo si poteva anche giocare d'azzardo. Poker e dadi erano i passatempi preferiti ed esistono testimonianze di soldati che si arricchirono e persero tutto in una sola notte, in prossimità del grande giorno. La mancanza di movimento rischiava di impigrire le truppe e quando il 31 Maggio arrivò finalmente l'ordine d'imbarco, molti, inconsciamente, se ne rallegrarono. Esisteva un tempo tecnico per imbarcare e portare in posizione tutti gli uomini della prima ondata ed esso fu identificato in 5 giorni. Ciò significava che il giorno prescelto da Eisenhower sarebbe stato il 5 Giugno. Rimane ancora un mistero come i tedeschi abbiano completamente ignorato il concentramento di truppe e navi sulle coste inglesi. La negligenza della marina arrivò al punto di mantenere i pochi U-bootes ancora disponibili nel Nord dell'Oceano Atlantico, disinteressandosi della flotta della Manica.
Nei primi tre giorni di giugno, il tempo era stato particolarmente clemente, con giornate di sole e cielo limpido, l'ideale per le incursioni aeree di supporto. Poi all'improvviso il 4 Giugno il tempo si era ingrigito, con previsioni di ulteriore peggioramento. Nella complessa organizzazione dell'operazione Overlord esisteva anche una sezione interamente dedicata alle previsioni meteorologiche al cui comando vi era il capitano J.M. Stagg della Royal Air Force. Un suo bollettino particolarmente negativo gettò nel panico lo SHAEF: per il giorno 5 giugno erano previsti temporali e mare molto agitato. Si cercò di ritardare il più possibile l'inevitabile, ma alla fine si dovette ordinare il rinvio dell'invasione. Tale decisione non era di poco conto, perché a causa del silenzio radio imposto a tutte le navi partecipanti all'impresa, molte di esse dovettero essere raggiunte da veloci motovedette e si assisté a un curioso susseguirsi di segnalazioni luminose a vista. Molte delle imbarcazioni erano già troppo distanti dai porti di partenza per potervi fare ritorno e furono costrette a rimanere in mare. In ogni caso, nessuna di esse poteva sbarcare il proprio carico umano, perché si sapeva che l'ordine definitivo era imminente e non ci sarebbe stato il tempo necessario per effettuare l'imbarco di nuovo. Le giornate del 4 e 5 giugno sono raccontate dai veterani del D-Day come un vero e proprio inferno. Molti tra loro non avevano mai navigato e furono colpiti dal mal di mare. Lo spazio riservato a ogni uomo era minimo e il nervosismo cominciava a serpeggiare anche tra le poche unità esperte.
Lo SHAEF era conscio dei problemi che comportava mantenere così tanti uomini in mare, però non poteva fare altrimenti. Se le previsioni si fossero mantenute negative oltre la sera del 5 giugno, lo sbarco sarebbe stato rinviato al periodo favorevole successivo, cioè almeno al 19 giugno. L'ultimo bollettino meteo per lunedì 5 era stato stabilito alle ore 21. Eisenhower ebbe modo di leggerlo in anticipo e convocò una riunione straordinaria dello Staff per le ore 21.30. Alcuni dei partecipanti più interessati, il maresciallo Leigh-Mallory, comandante delle forze aeree, e l'Ammiraglio della Marina Ramsey, trepidavano. Stagg comunicò che esisteva la possibilità di un netto miglioramento per l'alba del 6 giugno. In pratica ciò comportava che la traversata delle navi d'invasione nonché il volo delle divisioni aviotrasportate e i bombardamenti preventivi si dovessero effettuare in condizioni al limite del proibitivo. Si scelse di prolungare la discussione fino alle 22. Eisenhower, alla fine, decise che l'attacco avrebbe avuto luogo.
La decisione, del resto, non era definitiva poiché era sempre possibile revocare l'ordine entro le 3.30 del giorno successivo come già era successo il 4 giugno, ma questa volta tutti erano decisi ad andare fino in fondo. La BBC alle 22.15 trasmise la seconda parte del verso di Verlaine: ...blessent mon couer d'une langueur monotone (mi feriscono il cuore d'un monotono languore). Negli stessi minuti l'immenso apparato dell'aviazione alleata si organizzò e partì. L'appoggio aereo tattico sarebbe stato garantito da 3340 bombardieri pesanti delle classi B-17 e B-24 e da 930 bombardieri leggeri Mitchell, Boston, Mosquito, Marauder e Havoc. Includendo i caccia, gli aerei da trasporto e da ricognizione oltre agli importantissimi alianti delle truppe aviotrasportate, il totale delle forze aeree alleate superava gli 11000 velivoli. Le nazioni rappresentate oltre agli Stati Uniti e la Gran Bretagna furono il Canada, l'Australia, la Nuova Zelanda, la Polonia, la Francia, il Belgio, l'Olanda, la Norvegia e un numero imprecisato di nazioni del centro e Sud-America che diedero il loro contributo anche con un'incalcolabile quantità di volontari che lottavano per la libertà altrui. Le operazioni aeree si sarebbero dimostrate estremamente difficili. A causa del cattivo tempo, i bombardamenti furono effettuati con la guida strumentale e ciò comportò un alto grado di imprecisione. Questo difetto si sarebbe rivelato in tutta la sua gravità solo al momento dello sbarco della fanteria che avrebbe dovuto affrontare una resistenza molto più accanita del previsto.
L'invasione comincia
I primi soldati alleati a mettere piede sul suolo francese furono i membri delle unità aviotrasportate britanniche e americane. Il loro compito era tanto importante quanto azzardato. Dovevano impossessarsi delle zone poste a chiusura delle spiagge d'invasione Utah e Sword. Le due località, infatti, sono poste alle estremità occidentale e orientale della zona di sbarco, ma come già ricordato, presentano due ostacoli naturali che potevano stringere l'esercito alleato in una stretta striscia di terra senza possibilità di uscita: il fiume Orne a Est e le paludi tra le Dune di Varreville e S.te Mère Eglise a Ovest. L'operazione aerea fu divisa in due momenti. Prima sarebbero sbarcate delle truppe scelte che dovevano tracciare dei percorsi sicuri per le unità che sarebbero seguite e in alcuni casi come sul Ponte Pegasus vicino a Caen, tenere la posizione in attesa di rinforzi contro un nemico superiore. Essi furono portati sul luogo da alianti Horsa trainati da C-47 o Dakota. L'impresa non era mai stata provata prima e si rivelò molto più difficile di quanto preventivato. Molti di quegli alianti precipitarono rovinosamente al suolo, provocando più vittime del fuoco tedesco. Comunque, già tra la mezzanotte e l'una, un importante obiettivo fu raggiunto: truppe speciali britanniche (2nd Oxfordshire e Buckinghamshire light Infantry) occuparono i ponti sul fiume Orne e sul canale di Caen, garantendo quella via di uscita che si temeva preclusa.
Verso l'una, cominciarono ad affluire a St. Lo, sede del comando tedesco del 84° corpo tedesco, le prime informazioni sull'attacco aereo. Le notizie erano ancora frammentarie e fuorvianti. Si credeva che l'azione in Normandia non fosse altro che un diversivo per celare il vero obiettivo e cioè il Pas de Calais. Per supportare questa convinzione tedesca, gli alleati portarono a pieno compimento l'operazione Fortitude lanciando nelle vicinanze di Calais pupazzi travestiti da paracadutisti che al contatto con il suolo esplodevano. Fu modificata anche la rotta di avvicinamento delle divisioni aviotrasportate americane che anziché avvicinarsi al proprio obiettivo in linea retta, procedettero inizialmente verso la Bretagna, per poi compiere un larga curva in direzione della penisola del Cotentin che fu attaccata da Ovest e non da Est come sarebbe stato logico fare.
Fu proprio la logica a mettere in crisi il quartiere generale tedesco. La maggior parte degli ufficiali superiori era assente perché in viaggio verso Rennes dove il giorno successivo si sarebbe tenuto un Kriegspiel (letteralmente un gioco di guerra, cioè un'esercitazione teorica sull'invasione). Nessuno si aspettava che con condizioni del tempo così avverse, gli Alleati si azzardassero a dare inizio all'invasione. Neppure Rommel.
Egli era colpevolmente assente dal posto di comando. E' sufficientemente conosciuta la storia che racconta come egli si fosse recato in Germania per festeggiare il compleanno della moglie e portarle un regalo, un paio di scarpe rosse acquistate a Parigi. Sebbene il legame con la consorte fosse molto forte, come dimostrato dalla corrispondenza rinvenuta che ha permesso di ricostruire almeno parzialmente il pensiero di questo grande generale, sarebbe ingeneroso affermare che egli si trovasse in Germania unicamente per ragioni personali. Rommel, pur sapendo che un'ipotetica invasione doveva essere fermata sulle spiagge, era anche consapevole del fatto che un repentino contrattacco condotto da divisioni corazzate su unità non ancora ben attestate sul terreno avrebbe significato il fallimento dell'attacco alleato. Purtroppo le panzerdivisionen disponibili erano state collocate troppo lontane dalla costa e in generale in direzione di Calais. Come se ciò non bastasse, Hitler si era riservato il diritto di ordinare personalmente qualsiasi spostamento di quegli uomini. Rommel, col suo viaggio, sperava di convincere il Fuehrer a cambiare la propria decisione, almeno parzialmente, restituendo così la necessaria mobilità all'esercito tedesco.
Tra le 3 e le 3.30 antimeridiane del D-Day, l'aviazione alleata dà il meglio di sé. 20.000 soldati angloamericani si lanciano da alta quota per atterrare nelle zone di S.te Mère Eglise e del fiume Orne. L'opposizione è minima. I pericoli che corrono questi coraggiosi soldati sono dati in maniera quasi totale dalla conformazione del terreno francese. In particolare, intorno a S.te Mère Eglise, si trovano un gran numero di acquitrini paludosi che secondo il piano di lancio sarebbe stati evitati, arrivando a terra vicino a Chef du Pont, una cittadina nelle vicinanze della strada verso Cherbourg. Solo pochi membri della 82a divisione americana vi atterreranno veramente. Il resto si sparpaglierà su una vasta zona tra Carentan e S.te Mère Eglise. Stessa sorte toccherà anche alle truppe britanniche, seppure in maniera minore.
Nelle prime ore d'attacco dell'operazione meglio organizzata della storia, un solo elemento predominò: la disorganizzazione. Alcuni soldati americani annegarono nelle paludi e nel fiume Merderet sotto il peso del proprio equipaggiamento, altri rimasero dispersi fino al giorno successivo. E' divenuta parte della storia del cinema la scena in cui un fortunato paracadutista (il soldato John Steele) si impigliò sul campanile della chiesa di S.te Mère Eglise mentre i suoi compagni cadevano sotto il fuoco nemico. Per il gran fragore delle campane rimase sordo per alcune settimane. Fu fatto prigioniero dai tedeschi, ma riuscì incredibilmente a fuggire. Comunque, sotto la guida di energici ufficiali come il generale Matthew Ridgway dell'82a Divisione, il generale Maxwell Taylor della 101a Divisione Americana e il generale inglese Richard Gale della 6a Divisione Britannica, 2500 soldati americani su 13200 e 3000 soldati britannici su 4800 furono immediatamente riuniti per portare a termine i compiti assegnati.
A St. Lo, il generale tedesco Marcks, il cui compleanno ironicamente era proprio il 6 giugno, si convinse che l'attacco alleato alla Normandia non fosse un'azione di disturbo in vista dell'invasione a Calais. Ordinò la mobilitazione delle difese costiere della Wehrmacht, ma era già troppo tardi. La disorganizzazione che caratterizzava gli alleati non era nulla se confrontata con ciò che accadeva nella Wehrmacht. Le postazioni di artiglieria furono paralizzate dal bombardamento aereo a cui alcune poterono sopravvivere unicamente per l'imprecisione degli attaccanti. In questo contesto si inserisce un'azione militare davvero entusiasmante per quanto fu azzardata e rischiosa. Gli alleati erano a conoscenza dell'esistenza di una batteria di cannoni da 150 mm presso la località di Merville. La potenza di quell'unità era tale che se fosse sopravvissuta all'attacco notturno avrebbe minacciato seriamente l'avvicinamento della flotta d'invasione. L'attacco fu condotto frontalmente da 150 uomini del 9° battaglione della 6a Divisione aviotrasportata britannica, un quinto di quanto si fosse prospettato inizialmente, a causa dell'enorme dispersione dei paracadutisti. Il tenente colonnello Otway, che comandava l'unità, ordinò un assalto nello stile della prima guerra mondiale, contro postazioni fortificate e mitragliatrici urlanti. Nel lungo tragitto che passava attraverso due reticolati di filo spinato e un campo minato, metà dei 150 giovani assalitori persero la vita, ma solo il 10% dei difensori avrebbe visto l'alba quel giorno. Un simile sacrificio fu, in effetti, inutile, perché una volta conquistata la batteria ci si rese contò che i cannoni erano solo da 75 mm e non avrebbero mai potuto minacciare la zona Sword.
Il comando tedesco aveva ormai compreso che le azioni dei paracadutisti alleati non erano un bluff. Ogni permesso fu annullato e ci si preparò per controbattere le mosse del nemico. Il generale tedesco Dollman, responsabile della zona di Le Mans, ordinò che si procedesse all'annientamento della sacca di S.te Mère Eglise attraverso una manovra a tenaglia da Nord e da Sud. Il generale Speidel, responsabile delle truppe corazzate nella zona orientale del fronte d'invasione, ordinò a sua volta che le sponde dell'Orne fossero riprese a ogni costo. Però questi non erano altro che disposizioni valide sulla carta. Il possente bombardamento alleato aveva inciso in maniera profonda sulle comunicazioni tedesche e il "bonus" dei maquis si ebbe proprio in questo settore nevralgico dell'organizzazione militare del Reich. Centinaia di tralicci telefonici e telegrafici furono distrutti dai partigiani francesi e anche i binari di comunicazione della ferrovia verso l'interno della Francia furono divelti o resi inutilizzabili. Von Rundstedt conosceva in maniera molto approssimativa ciò che stava accadendo, ma sapeva che l'unica soluzione per vincere era rispondere all'attacco in maniera tempestiva e con tutte le forze corazzate lasciate in riserva. Esse erano la "Panzer Lehr", alcuni reparti della quale erano stati dirottati sul fronte russo nei giorni precedenti l'invasione e la 12a divisione corazzata SS. Il Fuehrer era stato categorico: esse si sarebbero mosse solo dietro suo esplicito ordine. Nell'indecisione su quale condotta tenere, si aspettarono le 6 della mattina e poi si chiamò Berchtesgaden, la residenza di Hitler. A compiere l'ingrato compito fu il capo di stato maggiore tedesco, Generale Blumentritt. Dall'altra parte del telefono cominciò una farsa senza precedenti. Prima l'attendente Warlimont poi Jodl si rifiutarono decisamente di comunicare al Fuehrer il pericolo che correva la Normandia. La ragione era una sola: Hitler dormiva e nessuno aveva il coraggio di svegliarlo. Von Rundstedt rimase sgomento di fronte a tale conclusione, ma non fece altro che confermare il suo precedente ordine di preallarme alle divisioni corazzate di riserva. Gli eventi avrebbero stabilito se il sonno del piccolo caporale austriaco avrebbero segnato il destino della Germania.
Fonti e letture consigliate:
"D-Day, June 6, 1944: The climactic battle of World War
II" di Stephen E. Ambrose, Ambrose-Tubbs, Inc;
"La Seconda Guerra Mondiale" di Raymond Cartier;
"La seconda guerra mondiale" a cura di Cesare Salmaggi e
Alfredo Pallavisini, Arnoldo Mondadori Editore.
- Parte prima: la preparazione tedesca
- Parte seconda: la preparazione alleata
- Parte terza: gli ultimi frenetici giorni e l'attacco dei paracadutisti alleati (questa pagina)
- Parte quarta: lo sbarco della fanteria anglo-americana e le operazioni del D-Day
Copyright © 2006-2024 Gianluca Turconi - Tutti i diritti riservati.