Molte persone amano raccontare storie.
Alcune lo fanno nelle discussioni tra amici, altre nei trasferimenti in treno con perfetti sconosciuti, altre ancora, grazie all'accesso a determinati media, davanti a milioni di persone in ascolto alla televisione o sul web.
Gli argomenti raccontati sono i più vari, da presunte avventure galanti a vicende di cronaca di vari colori, passando per leggende metropolitane o misteri antichi e moderni.
E' un modo per esprimere la propria personalità, qualunque essa sia.
Ciò è possibile perché accanto a questa prima categoria che potremmo denominare di cantastorie, vi è una nutrita schiera di persone che è pronta ad ascoltare, nonostante non siano né protagonisti né creatori del racconto, se la storia cattura l'attenzione.
Questo rapporto particolare esiste sicuramente tra autore e lettore di narrativa fantastica.
L'accordo tacito tra loro è semplice: il lettore è pronto a credere all'impossibile - in verità lo desidera, è una delle motivazioni che lo spinge a leggere narrativa fantastica - purché l'autore sappia presentare tale elemento in maniera accattivante e credibile, almeno in base alle regulae universi che lo stesso si è date nella propria opera.
Nella fantascienza, l'impossibile viene gestito attraverso la plausibilità. Se ci imbattiamo in alieni, navi spaziali, macchine del tempo o addirittura l'invisibilità, ogni cosa è solo a uno o più passi dalla scienza e tecnologia moderne, basta scoprire la strada giusta da seguire per arrivarvi.
Nel genere fantasy, invece, l'impossibile finisce con l'essere gestito tramite l'implausibile. Ci si imbatte in creature fantastiche o nell'invivibilità di cui si è appena scritto? Allora esse vengono giustificate tramite il sovrannaturale e la magia che non devono essere né spiegati né compresi, solamente apprezzati nella loro esistenza. E' una resa volontaria del lettore davanti all'ignoto.
In quale modo è gestito l'elemento impossibile nel science fantasy?
Mi auguro che prima ancora di concentrarsi su come viene approcciato l'impossibile in questo sottogenere letterario, ci sia stato qualche lettore che si sia chiesto cosa sia in realtà il science fantasy.
Volendo tralasciare qualunque definizione dettagliata, sempre difficoltosa e spesso fuorviante in ambito letterario, si può dire che il science fantasy sia una terra di confine tra fantascienza e fantasy tradizionale dove scienza e sovrannaturale si dividono la scena, mischiando plausibile e implausibile nella nostra o in altra realtà.
Quel senso di meraviglia e sbalordimento tipico della narrativa fantastica viene inizialmente preso in carico dalla scienza e dalla tecnologia che ci conducono fino a un determinato punto nella narrazione, per poi lasciare spazio al sovrannaturale e alla magia o intrecciarsi a essi per condurci verso esperienze e luoghi in cui i singoli elementi da soli non ci avrebbero portato.
Diventa così normale passare dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale sulla Gran Bretagna al Regno di Narnia attraversando un semplice armadio, come accade nel primo volume delle omonime Cronache. Oppure seguire il deragliamento della vita di un piccolo trafficante di droga nei Caraibi, trascinato altrove a forza di scienza, come avviene ne Gli Dei del Pozzo.
Il science fantasy letterario ha avuto precursori illustri in Una principessa di Marte, meglio conosciuto come John Carter di Edgar Rice Burroughs, ma con maggiori o minori aperture verso il sovrannaturale può essere trovato nel fumetto classico Flash Gordon di Alex Raymond o nel recente fortunato serial televisivo Lost ideato da J.J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber. Gli esempi potrebbero essere molti.
Tuttavia, il momento di passaggio tra possibile e impossibile è solo uno dei molti punti di scontro tra scienza e sovrannaturale nel science fantasy. Un altro, fondamentale, è quello della caratterizzazione del mondo fantastico in cui i due elementi andranno a convivere.
Tutti gli autori di narrativa fantastica possiedono quel pizzico di megalomania che li fa divenire costruttori di mondi o addirittura di universi. In tutta sincerità, non credo che nessuno tra loro rinuncerebbe mai a ricomporre in maniera maniacale i vari tasselli del proprio immaginario, tra razze, culture e creature differenti.
E' parte del divertimento, sia per chi scrive sia per chi legge.
Ne Gli Dei del Pozzo si è scelto di servirsi di un mondo reale, dotato di una propria storia e una propria tradizione, rivisitandolo a poco a poco fino a stravolgerlo dalle fondamenta.
La scelta è caduta sui secoli bui dell'alto Medio Evo, a cavallo tra l'VIII e il IX secolo dopo Cristo, in un tempo in cui Cristianesimo, Paganesimo e Islam lottavano ancora per la supremazia nell'Europa Occidentale, e i rudimenti della metallurgia e della tecnica della guerra allora presenti lasciavano sempre spazio a eroi epici, come nella tradizione letteraria della Canzone di Orlando nell'epopea carolingia, anche se non erano paladini senza macchia nella loro scintillante armatura, tipici del basso Medio Evo e di tanta narrativa fantasy tradizionale, ma barbuti e a volte rozzi guerrieri franchi o sassoni.
La bellezza del periodo, almeno per chi apprezza i contenuti del science fantasy, non consiste solamente nella commistione tra religione, superstizione e tradizione popolare esistente in quei secoli, che rendeva Dei, Demoni e la Fine del Mondo parte integrante dell'esistenza di ogni uomo, ma pure negli incredibili e spesso sottovalutati scambi e contaminazioni culturali dei popoli coinvolti.
Da una parte vi erano le molte popolazioni vichinghe e germaniche che dal settentrione europeo scendevano verso il meridione portandosi appresso una fiera aggressività e le divinità norrene degli Odino e dei Thor tradotti nelle diverse lingue d'appartenenza. Dall'altra, l'Islam giovane e culturalmente vivace degli Arabi e dei Berberi impegnati nella conquista di al-Andalus, l'attuale Penisola Iberica. Nel mezzo, il nascente impero carolingio caratterizzato da una Chiesa Cristiana fortemente tradizionalista e in piena espansione.
In una tempesta perfetta come questa, in cui fede e potenza delle armi facevano da padrone, l'introduzione di un elemento estraneo della nostra civiltà attuale, impensato e incontrollabile, avrebbe potuto distruggere ogni convinzione e ogni credenza.
Oppure sarebbe potuto accadere l'inverso.
La capacità di assimilazione e rielaborazione delle culture medievali era tale da poter digerire anche elementi straordinari e sovrannaturali inserendoli nella propria ortodossia, come avvenuto, con la giusta lentezza e le distinzioni del caso, con il paganesimo e il culto cristiano dei santi.
Nel science fantasy, la gestione del rapporto tra ordinarietà dell'attualità moderna e straordinarietà che si inserisce nel mondo o ne crea uno totalmente nuovo, è con molta probabilità il fulcro della narrativa di genere.
Si giostra molto su questa dualità, ne Gli Dei del Pozzo, e qualunque sia l'approccio preferito dal lettore alle due tematiche indicate, è certo che il mondo del Pozzo è feroce e duro quanto e forse più del suo vero corrispettivo medievale.
Si deve lottare per sopravvivere in quella realtà e a volte non basta essere preparati e valorosi per riuscirci, esattamente come accade nella nostra vita quotidiana. Alla contrapposizione classica tra Bene e Male con i rispettivi eroi e antieroi, si preferiscono valutare nell'opera le molte sfumature intermedie tra i due poli.
Fatta questa premessa, sarà più semplice comprendere perché il politicamente corretto non sarà per forza la prima scelta nelle azioni e nei dialoghi dei protagonisti.
In definitiva è proprio nel tentativo di descrivere la quotidianità in un periodo specifico dell'alto Medio Evo, con eroi storici e letterari molto ben conosciuti come l'Orlando e l'Oliviero della Chanson alle prese con personaggi moderni e avvenimenti assolutamente sovrannaturali, a rafforzare lo spirito del science fantasy presente ne Gli Dei del Pozzo.
Si viaggia a vista nella terra di confine a cui si accennava prima, imbattendosi di continuo nell'impossibile, nel plausibile e nella realtà storica finendo con non saperli più distinguere con certezza.
Infatti, la più grande soddisfazione che possa avere un autore di questo genere di letteratura fantastica consiste nel fatto che i lettori si pongano continue domande che li spingano alla prosecuzione della lettura, oltre al piacere che possano trarre dalla trama e dalla narrazione in sé, ovviamente.
Domande del tipo: quella specifica tecnologia riportata in questo capitolo esiste realmente ai nostri giorni? E quell'altra esisteva già ai tempi in cui è ambientata la storia? I rituali arcani citati sono frutto d'invenzione o fanno parte del vero patrimonio religioso dei popoli descritti? E ancora: qualcosa di simile al mondo del Pozzo potrebbe davvero nascondersi tra le pieghe della ricerca scientifica attuale? Infine, la più importante fra tutte in un romanzo science fantasy che si rispetti: riusciranno i nostri prodi eroi a compiere l'impresa a cui sono votati e a riportare a casa la pelle e l'anima?
Per le altre domande lascio la ricerca della risposta nelle mani di coloro che vorranno leggere il romanzo, ma per quest'ultima mi riservo di rispondere un enigmatico "forse", dal momento che Gli Dei del Pozzo è solo il primo volume di un ciclo di romanzi in cui la morte non sempre è il termine definitivo dell'esistenza sulla Terra come invece l'esperienza umana ci insegna.
Copyright © 2006-2024 Gianluca Turconi - Tutti i diritti riservati.