Storie vere di fantasmi napoletani, quinta parte: figure leggendarie. Anche l'area partenopea, come ogni luogo dove lo spiritismo è accentuato, ha la sua buona parte di spiriti, streghe e altre figure mitiche popolari che possono portare fortuna o sventura a chi le incontra. 'O Munaciello, la Bella 'Mbriana e la Janara rientrano in questa categoria e nessuno che si possa definire napoletano non ne ha sentito parlare almeno una volta nella propria vita.
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'O Munaciello
Il personaggio esoterico più noto, più temuto, ma anche più amato dal popolo napoletano. Spiritello simpatico, bizzarro e piuttosto imprevedibile. 'O Munaciello. Ma qual è la sua storia? Chi era davvero "lu munaciello"? Com'è nata la sua leggenda? Una prima ipotesi attribuisce al munaciello il ruolo di gestore degli antichi pozzi d'acqua. Riusciva ad avere facile accesso nelle case passando attraverso i cunicoli che servivano a calare il secchio. I dispetti probabilmente li faceva dato che i proprietari del pozzo non provvedevano a pagarlo per i suoi servizi. Ma non è che una delle due ipotesi relative a tale personaggio. La seguente è quella più accreditata.
La Storia
Una storia d'amore. Ma anche una storia di tristezza, di dolore, di sofferenza. La storia del munaciello. La nascita di questa leggenda è legata a un amore osteggiato. Napoli, 1445. Sotto il regno di Alfonso V Il Magnanimo di Aragona (1385 - 1458). Due giovani, Stefano Mariconda, un umile garzone di bottega, e Caterinella Trezza, figlia di un ricco mercante di stoffe, s'incontrano e s'innamorano.
I due amanti, a causa dell'opposizione delle rispettive famiglie, erano soliti incontrarsi durante la notte su un terrazzo appartato e buio del quartiere Mercanti. Per raggiungere quel terrazzo, Stefano era costretto ad attraversare strade solitarie e pericolose.
Ma una notte, mentre cercava di raggiungere l'amata, il buon Stefano fu ucciso. Udita la notizia, Caterinella, pazza di dolore, scappò di casa e chiese ospitalità presso un monastero. Pochi mesi dopo, la giovane diede alla luce un bimbo deforme. Con il trascorrere degli anni, il piccolo divenne simile a un nano e, poiché la mamma era solita fargli indossare un piccolo saio cucito dalle suore del monastero, il popolino cominciò a chiamarlo "lu munaciello".
Il bambino era deriso da tutti, soprattutto dai parenti materni. Mai alcun sorriso toccò le sue labbra, ma solo tanta tristezza, tanta malinconia. Ben presto si diffuse l'idea che il munaciello avesse in sé qualcosa di magico, di sovrannaturale. Quando lo si incontrava, la gente si segnava e mormorava parole di scongiuro.
Si diffuse soprattutto una particolare credenza: se il munaciello portava il cappuccio rosso, dono della madre, buone notizie erano in arrivo; se il cappuccio stesso era nero, tremende sciagure erano in agguato. Al munaciello vennero attribuite tutte le disgrazie di quegli anni e contro di lui si commisero persino le cattiverie più atroci. Fino a quando, una notte, il munaciello scomparve, forse ucciso da un membro della famiglia Trezza. Ma la storia non si conclude con la sua morte. Il munaciello, ancora oggi, si aggirerebbe lì dov'è vissuto, lì dove ha sofferto, allo scopo di vendicarsi delle angherie subite. Molti giurano di averlo visto e di aver subito i suoi scherzi e i suoi dispetti. I napoletani gli attribuiscono piccoli incidenti domestici, nonché i propri vizi e le proprie debolezze. Uno spiritello bizzarro, un piccolo diavolo che s'insedia nelle case dei napoletani, temuto e rispettato.
Il Munaciello Teatrale
Antonio Petito (1822 - 1876), celebre attore e commediografo napoletano, colui soprattutto che, meglio di chiunque altro, abbia saputo impersonare, diffondere e tramandare la maschera di Pulcinella, tra gli altri, ha realizzato anche un lavoro, dal titolo "'O Munaciello", dedicato proprio all'irrequieto spirito, lavoro dal quale l'attore e regista Tato Russo ha tratto una propria rielaborazione nel 1995 circa: "Il lavoro - spiega Russo, sovrintendente e direttore artistico del Teatro Bellini di Napoli - risale a circa una decina d'anni fa. Partì con il Festival di Benevento, luogo di streghe, e secondo me, quella sera del debutto, di streghe ce ne dovettero essere parecchie, dato che lo spettacolo iniziò non prima delle undici. L'allora direttore artistico commissionò il lavoro, affascinato dall'idea di questo "munaciello" ambientato proprio "sott'o noce 'e Beneviento".
Si tratta infatti di un grande personaggio della tradizione esoterica napoletana e quando debuttammo devo dire che ne successero di tutti i colori, a tal punto da farmi credere che "'o munaciello" veramente esistesse, oppure che le azioni di qualcuno volessero sabotare lo spettacolo. Mi chiedo sempre se il "munaciello" sia qualcosa di diverso da qualcuno, di diverso dagli amici che ci circondano, oppure un'anima dispersa nell'universo che magari cerca di comunicare con noi.
Spiritello minore, di quelli che si eliminano facilmente. Spiritello spiritoso, dispettoso, rappresenta tutte le nostre dimenticanze, la tradizione gli lascia fare tutti i dispetti possibili e immaginabili, laddove una persona non si ricorda dove ha messo una cosa, oppure il " munaciello" è quello che ti fa trovare i soldi.
Mia nonna mi raccontava sempre del "munaciello", lei lo aveva visto, aveva la faccia di un fratello che era morto in guerra e un abito bianco, contrariamente alla tradizione, così com'è infatti raffigurato sulla locandina del mio spettacolo. Non perché il "munaciello" abbia comunemente il saio bianco, ma solo perché era mia nonna a descrivermelo così.
Mi raccontava di un "munaciello" bambino che era solito far dispetti, fuori al balcone, a una signora di un palazzo a via Nazionale dove noi abitavamo. Tutta la città è una città esoterica, ma non sono di certo questi gli spiriti maligni della città. Quelli talvolta credo che si trovino più nel cuore della gente che ci circonda".
Il lavoro in questione, definito da molti "un viaggio dal mondo del fantastico a quello del surreale, attraverso gli espedienti della genialità e della naturalezza", pone in evidenza la connessione tra la figura del munaciello e quella di Pulcinella, del quale il ruolo, la storia e i contenuti vengono in tal caso ben delineati. Due simboli della cultura partenopea accostati l'uno all'altro seppur nella loro profonda diversità. Ma Tato Russo non è stato il solo a trattare il tema del munaciello in teatro.
Lo ha fatto, tempo addietro, anche il grande Eduardo De Filippo in una delle sue commedie più famose, "Questi Fantasmi!", da lui scritta e interpretata intorno agli anni '40. La versione televisiva di tale lavoro, per chi non lo sapesse, è ambientata a Palazzo Sansevero, storica residenza dell'enigmatico principe Raimondo de Sangro di Sansevero e uno dei luoghi più discussi a proposito di presenze spiritiche. La storia tratta di un tale Pasquale Lojacono, interpretato proprio da Eduardo, che decide un giorno di prendere in affitto un appartamento a Napoli. Una casa di ben 18 stanze, sulla quale girano voci di presunti fantasmi. Fantasmi che sembrano prenderlo in simpatia.
Non passa giorno infatti senza che Pasquale non trovi qualcosa di nuovo in casa, un mobile, un oggetto, persino soldi, nei cassetti e in particolare nella giacca del pigiama. Ma sua moglie, Maria, non pare affatto contenta di tutto questo. La vera fonte dei loro guadagni è infatti Alfredo, l'amante di Maria, il quale non sopportando la situazione in cui la lascia vivere Pasquale, provvede sia a lei che, di conseguenza, anche a lui. Una sorta quindi di "munaciello" sotto altre sembianze. Abile e geniale Eduardo nel far rimanere impresso nel pubblico il dubbio se Pasquale ignori o finga di ignorare, approfittandone, la realtà dei fatti.
Il Munaciello Cinematografico
Se è per questo, il "munaciello" fa la propria comparsa anche al cinema, grazie al film "'O Re", del 1988, diretto da Luigi Magni. Anche se in tal caso il nostro spiritello assume tutt'altra connotazione. Oltre a impersonare l'anima di un bambino defunto, è anche un bambino che reclama a tutti i costi il diritto di nascere, ma che non è mai nato.
Nel film, il Re Francesco II di Borbone, interpretato da Giancarlo Giannini, noto al popolo come "Franceschiello", in particolare per il suo carattere inetto, debole e indeciso, e la propria consorte, Maria Sofia di Baviera, a cui presta il volto Ornella Muti, si trovano in esilio a Roma, in compagnia del fedele servitore Raffaele, un bravissimo e simpatico Carlo Croccolo.
Perduto il Regno delle Due Sicilie per mano dei Mille di Garibaldi, Maria Sofia tenta in tutti i modi di organizzare un esercito, con a capo il Generale Coviello, interpretato dal compianto Corrado Pani, per riconquistare il trono. L'ex sovrano ha ormai perso ogni fiducia in se stesso, la moglie è invece ossessionata dal desiderio di avere un figlio, un erede al trono che garantisca la successione. Ferito leggermente da una pugnalata durante una festa, Franceschiello è a letto, delirante.
La consorte, approfittando di questo, riesce finalmente a fargli consumare il matrimonio. Il nascituro verrà così al mondo. Ma invece del sospirato erede, Maria Sofia dà alla luce una bambina, che purtroppo morirà dopo appena tre mesi. La visione del "munaciello" alla fine del film restituisce alla ex regina la speranza che un nuovo erede possa un giorno nascere.
Il Munaciello Oggi
In molti lo descrivono come una sorta di nano mostruoso dalle scarpe con fibbie argentate, munito di chierica e berretto. Il munaciello, appunto. Essere dalla doppia personalità che s'intrufola nelle case altrui: se i padroni di casa hanno la fortuna di essere presi in simpatia, il munaciello diviene portatore di buona sorte e prosperità; in caso contrario, meglio evitarlo, a causa dei suoi guai e dei suoi tremendi dispetti.
Può lasciare monete d'oro sul luogo della propria apparizione quasi a ripagare qualcuno, a patto che il fortunato di turno non riveli mai ad anima viva la reale provenienza della fonte dei suoi guadagni; perché in tal caso ogni fortuna cesserebbe di colpo e il malcapitato, anziché monete d'oro, rischierebbe di ritrovarsi escrementi di capra.
In genere i destinatari dei suoi doni sono avvenenti fanciulle ripagate dello spavento nell'incontrarlo, oppure ignare vittime di determinate confidenze "palpatorie" che il malandrino spiritello sarebbe solito concedersi. Molti però anche i casi di persone comuni beneficiarie dei doni del munaciello. La gente, ancora oggi, non ha perso affatto la speranza di rivederlo. E di riavere i suoi favori. Il popolino che vive nell'attesa di vedere d'incanto risollevata la propria miseria con un nobile dono, un gentile omaggio, un cospicuo atto di bontà.
I vecchi che vivono di ricordi lo aspettano ancora nel buio tetro e solitario dei vicoli napoletani. E se una nonna, una vecchia zia, dovessero smarrire per caso un paio d'occhiali o qualche altro oggetto per casa, non esiterebbero, a distanza di tanto tempo, ad attribuirgli ancora la colpa. Sempre lui, 'O Munaciello. Per un ultimo dispetto. O magari per un ultimo barlume di felicità.
Il Munaciello di Sant'Eframo
Una testimonianza capitataci a tale proposito ha dell'incredibile. Nella zona di Sant'Eframo Vecchio, posta sulla sommità di via Carlo De Marco, nei pressi del Monastero, vi è una casa piuttosto temuta. Si dice infatti che sia abitata da un "munaciello" alquanto particolare: "Mio nipote - racconta il sign. L.N. - capo-reparto all'acquedotto di Napoli, si trovò per lavoro a passare per quell'abitazione, dovendo infatti andare a misurare l'acqua. Gli aprì una persona bassa, piccola di statura: "Cosa volete?", gli fece. "Devo vedere il contatore dell'acqua", rispose mio nipote. Passarono circa trenta secondi, quell'omino diventò un gigante!
Mio nipote fugge ancora oggi dalla paura. A parte che a me, io che sono stato sempre un appassionato di argomenti del genere, non ha voluto mai raccontarlo a nessuno. Qualcuno potrebbe pensare a un caso di suggestione, eppure mio nipote non è il tipo da lasciarsi suggestionare così facilmente...".
Il Munaciello di Secondigliano
"Quando avevo circa dieci anni - racconta la signora T.C. - mi ricordo che abitavamo a corso Secondigliano. All'inizio del corso, sulla destra, c'era un palazzo molto antico dove abitava una mia amica, la quale mi diceva: "Vieni pure a casa mia, ma stai attenta perché qui c'è il munaciello!". Io non ci credevo, ridendoci anzi sopra. Ma un giorno, a casa sua, vidi qualcosa. Un omino bassissimo, indosso un saio marrone, una cintura alla vita, camminava sul terrazzo. Successivamente lo vidi anche in bagno, seduto sul water.
Io e le altre mie amiche, spaventate, attraversammo di corsa il corridoio e ce ne scappammo per le scale. La gente diceva che si trattava soltanto di fantasticherie, di suggestione. Ma dopo tanti anni, seppi da una mia zia, che abitava in quella zona, che sotto a quel palazzo si era messo un gommista, che ogni mattina trovava tutte le gomme delle macchine fuori al negozio, in mezzo alla strada che rotolavano. Il munaciello, a quanto pare, non voleva che quel negozio stesse proprio sotto al suo palazzo..."
Il Munaciello di Via Tribunali
In via Tribunali si dice che vi sia una casa infestata da un munaciello dal carattere piuttosto irascibile. Un po' di tempo fa, la casa in questione fu presa in affitto da un giovane studente di filosofia, non accortosi, ingenuamente, né del fatto di averla presa per pochi soldi né dello stupore degli abitanti del quartiere. Il munaciello lo lasciò tranquillo per appena un paio di mesi, giusto il tempo di farlo ambientare, scaduti i quali iniziò a far sentire la sua presenza. Rumori improvvisi, oggetti che cadevano, provviste sparite dalle dispense e quant'altro.
Lo studente, credendo si trattasse dei topi, non se ne curò, limitandosi a comprare un gatto. Indispettito da tale indifferenza, il munaciello lasciò cadere la mensola della cucina con tutti i piatti e le porcellane. Senza scomporsi più di tanto, lo studente attribuì la colpa alla scarsa robustezza dei chiodi. Roso dall'arrogante strafottenza del giovane, il munaciello cominciò allora a suonare il campanello di casa a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Ma lo studente diede la colpa ai bambini del posto. Non dandosi affatto per vinto, il munaciello, una notte, diede sfogo a tutta la sua frustrazione. Pentole, piatti, coperchi e quant'altro gli capitasse tra le mani, creando così un baccano tale da farsi sentire persino a chilometri di distanza. Lo studente, imperterrito, continuò a dormire. Fino a che il rumore di un mestolo sbattuto contro la caldaia di rame del bucato non lo fece svegliare di soprassalto. "Che razza di quartiere - fece - mica è ora di far musica!".
Umiliato ulteriormente, il munaciello si presentò al giovane in tutto il suo aspetto, credendo finalmente di averla spuntata. Ahimè per lui, il giovane pensò di aver fatto un sogno. Stanco, provato, il munaciello riconobbe la sconfitta, strappando comunque al giovane la promessa di non rivelare mai nulla di quanto avesse appena visto. "Vedrai - disse - che non te ne pentirai!". Difatti il giovane, da allora in poi, non solo visse tranquillo, ma col tempo divenne pure ricco e famoso.
E a tale proposito. Pare che la fama del munaciello quale essere infestatore di case, a Napoli, abbia iniziato a fare il suo corso già a partire dal '500. Nel "Pragmatica de Locto et Conduco", una raccolta di leggi che regolavano gli affitti, risalente al 1578, un intero articolo citava infatti la possibilità da parte dell'affittuario di lasciare la casa, senza pagare l'affitto, qualora fosse comparso il munaciello.
Il Munaciello di Piazza Garibaldi
Da una vecchia cronaca. Moltissimi anni fa, in un appartamento in Piazza Garibaldi, abitava una giovane vedova coi figli. La donna viveva una vita di stenti, ma nella sua casa alloggiava anche un ospite particolare, "'o munaciello", che lei trattava sempre con rispetto e cortesia. Commosso dalle lacrime della donna e soddisfatto per le attenzioni ricevute, lo spiritello decise di darle una mano.
La donna cominciò quindi a trovare soldi nei punti più disparati dell'appartamento. Suo fratello, senza perder tempo, corse subito a giocare i numeri al lotto: 14 i soldi, 15 la meraviglia, 1 il fantasma. Centrò un terno secco sulla ruota di Napoli e con il ricavato della grossa vincita acquistò un fabbricato sito a Corso Umberto (dove attualmente ha sede una farmacia), adibito ad albergo e i cui proventi servirono al sostentamento suo, della sorella e dei nipoti.
La Leggenda della Bella 'Mbriana
Il personaggio indicato come 'A Bella 'Mbriana, non è altri che uno spirito benigno. Una creatura misteriosa, una presenza gentile e benevola. Una sorta quindi di anti-munaciello. Tale presenza in casa è portatrice di benessere e salute. Molti la descrivono come una donna molto bella e ben vestita, una giovane donna dal viso dolce e sereno, una figura chiara e solare, tant'è vero che 'Mbriana deriva appunto dal latino meridiana, vale a dire "l'ora più luminosa del giorno".
Testimonianza dell'affetto dei napoletani verso questa figura è il fatto che a Napoli il cognome Imbriani derivi appunto da 'Mbriana. In casa, particolare da non trascurare, bisogna sempre lasciarle una sedia libera, altrimenti potrebbe andar via, con tutte le conseguenze derivanti dalla mancata ospitalità.
Porta fortuna a quelli che ama, ma è dispettosa con chi offende la casa posta sotto la sua protezione. Non bisogna mai lamentarsi se una casa è troppo piccola o buia e mai farle giungere all'orecchio propositi di trasloco: la Bella 'Mbriana potrebbe risentirsene e vendicarsi.
Alla sua figura è legato il geco, animaletto simile a una lucertola che, nelle sere d'estate, dà la caccia agli insetti vicino alle lampade. Proprio per il suo legame con la Bella 'Mbriana, i napoletani lo considerano una sorta di portafortuna, guardandosi quindi bene dal cacciarlo via o dal disturbarlo.
La Bella Chiara
Chi pensa che la Bella 'Mbriana sia semplicemente un personaggio estratto di peso dalla fantasia partenopea, resterà sorpreso da quanto dichiarato da Vincenzo Pagnani, proprietario del locale "Brandi" sito in via Chiaia: "Questo - racconta - è stato sempre un locale protagonista di stranezze e avvenimenti vari. Un locale antichissimo, datato 1780. A quei tempi accadevano tante cose. Negli anni passati, tutto il coro del Teatro San Carlo frequentava questo locale. Ricordo ancora un episodio avvenuto durante gli anni '50.
Alcuni clienti scesero giù, in cantina, per recarsi alla toilette, laggiù è tutto un labirinto. Una signora di Trieste, tale Ferrara, disse di aver visto la Bella 'Mbriana. Si diffuse una tale voce per il San Carlo, che una lunga fila di persone accorse per vedere il posto dove la Ferrara disse di aver visto questa bella signora. Personalmente non l'ho mai vista, ma a volte ho sentito dei rumori, aperture di porte. Mio zio, Pasquale Brandi, mi raccontò tante altre situazioni avvenute in questo posto, costruito in un palazzo vecchio di circa seicento anni.
Nelle salette di sopra, per esempio, nel 1925-26 circa, si suicidò un uomo che voleva somigliare a Mussolini, scrisse di volersi uccidere in quanto non poteva essere come lui. Raccontò anche, se è per questo, episodi raccapriccianti inerenti teschi di morte, pugnali, scene di violenza risalenti al periodo dei movimenti carbonari. Era particolarmente predisposto a tali cose, tramandandole poi a me. La storia di queste mura, infatti, la conosco più io di chiunque altro.
C'è poi un episodio personale, un episodio di vita, che nulla c'entra comunque con la Bella 'Mbriana. Io ho un problema grande, una grave patologia per cui dovrei subire un trapianto e non posso averlo perché ho il diabete. Con la forza del cuore ho lavorato finora al 25%. Sono molto devoto alla Madonna del Carmine. Quando si entra nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Piazza Mercato, vi è un Cristo bellissimo. Un giorno lo pregai chiedendogli di abbracciarmi. Mi abbracciò.
Per il momento ho rinunciato al trapianto, non ho più affanno, non sento più l'angoscia, la crisi di prima. Sarà stato quell'abbraccio a Gesù...Tornando alla Bella 'Mbriana, qui dentro esiste qualcosa, anche se io non l'ho mai vista. Arriva sempre un attimo prima degli altri, prevede i pericoli, ma se qualcuno la fa arrabbiare guai a lui! Il suo nome è Chiara. La chiamai così dopo che trovai, per terra, un biglietto su cui vi era scritto proprio tale nome".
'A Janara (o Strega)
La Strega di Vico Pensiero
"Povero pensiero me fu arrobbato, pe no le fare le spese me l'ha tornato". Recita così la lapide posta, secondo una leggenda popolare, a vico Pensiero da un giovane innamorato. Una strega di diciassette anni, dai lunghi capelli neri e dagli occhi incantevoli, lo aveva attratto con un dolce sorriso e tenere parole. Si concesse a lui con il trasporto e la devozione di una sposa. E quando non vi fu nemmeno più un frammento d'anima da conquistare ancora, quando nella mente di quell'uomo non vi fu spazio che per il suo splendido viso, il corpo sinuoso, il dolce nome di quella piccola seduttrice, lei si stancò.
Le streghe non conoscono i sentimenti, ignorano le emozioni. Ma l'incantesimo non poteva essere sciolto. Per anni lo sventurato giovane vagò lungo quelle strade che un tempo lo avevano visto felice e innamorato. Poi la decisione d'incidere su quella lapide il suo ultimo, disperato grido di dolore. Di scolpire nella pietra i tormenti della sua anima.
L'iscrizione di vico Pensiero, per secoli, mise in guardia cittadini e forestieri e suonò da monito per chiunque volesse un giorno innamorarsi o si fosse già innamorato. Poi, nel 1890, la stradina fu abbattuta per consentire i lavori di risanamento della zona e la lapide fu donata all'Archivio di Stato, dove tuttora è conservata.
Il Pescatore e la Notte delle Sette Streghe
Il seguente è un racconto popolare, piuttosto conosciuto, ambientato a Meta, paese sulla costiera sorrentina. Diverso tempo fa vi viveva un giovane pescatore di nome Franco, conosciuto da tutti affettuosamente come Ciccio. Moro, piccolo di statura, non bellissimo ma molto simpatico. Spesso girava di casa in casa a cantare e non vi era festa alla quale non prendesse parte. Faceva il pescatore e, munito della sua barca di mogano, si recava ogni mattina all'alba a lavorare.
Giunta la sera, riportava a riva la barca, la ricopriva e, fischiettando, tornava a casa. Una mattina andò alla spiaggia di Alimuri, dove la sera prima aveva posato la barca, ma con grande stupore non la trovò. Girò in lungo e in largo, salvo poi ritrovarla finalmente a circa 200 metri di distanza dal luogo in cui l'aveva lasciata la sera precedente.
Lì per lì pensò che si fosse trattato dello scherzo di qualche buontempone. Ma il fatto accadde ancora per tre giorni consecutivi. Franco pensò quindi di acciuffare il burlone che ogni notte, a sua insaputa, utilizzava la sua imbarcazione. Una sera decise così di nascondersi proprio sotto la sua barca. Era una notte buia e fitta. Il cielo era cosparso di stelle splendenti nella volta celeste. I versi di una civetta a fare da sfondo. Il rumore del mare che riempiva l'aria. Tutt'intorno un silenzio di tomba e un'aria spettrale. La notte trascorreva lentamente. A mezzanotte, scoccati i rintocchi della piccola cappella di Santa Lucia, si udirono dei rumori. Franco vide sette ombre in lontananza.
Strane figure che parevano tanto appartenere alle cosiddette janare, ovvero quelle streghe alle quali in paese nessuno aveva mai voluto dar credito. Un brivido di paura scosse il corpo del pescatore, che iniziò quindi a sudare rannicchiandosi impaurito sotto la sua barca. Come le streghe si avvicinarono, ebbe modo di osservarle da vicino. Erano vestite con sottane bianche lunghe fino alle caviglie, unghie altrettanto lunghe e capelli spettinati.
La capo-strega, la più brutta di tutte, una volta salita sulla barca, impartì l'ordine di partire: "Ralle, ralle, mastu Giuseppe, invece e' seje simme sette". Ma la barca non si spostava, dato che soltanto un numero dispari di persone imbarcate su di essa riusciva a farla muovere: erano invece in otto, considerando anche Franco lì sotto nascosto. Una delle streghe però se ne accorse, riferendolo alla capo-strega.
Indignata per l'osservazione, quest'ultima ribadì il fatto che fossero in sette. Ma la strega volle insistere, mostrandole persino il nascondiglio in cui si era rifugiato Franco. Scoperto, il povero pescatore fu pestato a sangue coi remi della barca; le botte furono talmente dure da lasciarlo storpio.
Abbandonato dalle sghignazzanti streghe sulla spiaggia, Franco le vide volare letteralmente via con la sua barca. Il giorno dopo, un amico lo ritrovò su quella spiaggia quasi senza vita. Lo caricò così su un carretto, lo riportò immediatamente a casa e lo mise a letto.
Col passare del tempo, Franco confidò all'amico l'increscioso accaduto. Ma quando gli abitanti del paese lo vennero a sapere, vi risero sopra. Nonostante la generale incredulità, Franco riuscì a dimostrare a tutti come il fatto fosse realmente accaduto, mostrando loro infatti un ramo di palma trovato sulla barca. Da allora in poi, la gente lo chiamò "Ciccio 'o stuorto".
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