La Mummia della tradizione egizia viene rappresentata nella cinematografia con nuovi caratteri e stereotipi - Seconda Parte

di Gianluca Turconi

L'Egittomania del XX secolo diffuse e trasformò la tradizione delle mummie egizie, rendendole adatte al palato del grande pubblico di massa nel periodo in cui nacque la cinematografia commerciale. Dal terrore psicologico degli inizi ai film d'azione moderni, scopriamo cosa ha reso la Mummia un personaggio fondamentale dell'immaginario horror.

Sebbene le mummie egizie siano molto antiche ed altri esemplari provenienti da altre parti del mondo lo siano ancora di più, la loro entrata nell'immaginario horror e la conseguente trasformazione in minacce soprannaturali sono relativamente recenti, avvenute solo nel XX secolo.

Locandina del film "La mummia" del 1932, immagine in pubblico dominio, fonte Wikipedia, utente Crisco 1492

Locandina del film "La mummia" del 1932.

Nonostante già Edgar Allan Poe avesse scritto a proposito delle mummie nel suo Some Words with a Mummy (1845) e sir Arthur Conan Doyle se ne fosse servito nel romanzo breve La mummia, fu nei primi tre decenni del secolo scorso che si sviluppò un interesse di massa per ciò che riguardava l'Antico Egitto e in particolare i suoi rituali di sepoltura, creando la cosiddetta "Egittomania".

Le ragioni dello sviluppo di tale fenomeno sono molte, ma possono essere riassunte nella concomitanza di alcuni aspetti sociologici del periodo.

Innanzi tutto, l'inizio del XX secolo segna la nascita del turismo di massa. La ricchezza crescente della classe media permise la diffusione dei viaggi verso mete più lontane ed esotiche. E sicuramente i resti lasciatici dall'antica civiltà egizia rappresentarono un'attrattiva di grande richiamo per le vacanze in Egitto.

L'aumento dell'Egittomania causato dalla diffusione dei viaggi nelle terre bagnate dal Nilo si coniugò col crescente interesse per la cultura antica di quel paese, impregnata di mistero e ricerca dell'immortalità, temi di grande fascino per l'uomo medio.

Si sviluppò così un vero movimento popolare che diffuse elementi di richiamo egizio nella cultura e nell'arte in tutte le sue forme: pittura, architettura, musica, letteratura e nella nascente cinematografia.

Nel 1903 Bram Stoker, famoso autore di Dracula, pubblicò presso l'editore londinese William Heinemann il suo romanzo The Jewel of Seven Stars, in cui si parlava di una Regina mummificata, che ebbe un contrastato successo. La critica e parte del pubblico rimasero colpite dal finale sanguinoso a cui l'autore dovette rinunciare nella riedizione del romanzo, avvenuta nel 1912. Solo nel 2008, grazie all'uscita della versione originale nella collana Penguin Classics dell'omonimo editore, si poté rileggere quel finale che tanto aveva scioccato i contemporanei di Stoker.

Nel 1922 accadde un fatto che decretò il definitivo successo dell'Egittomania. In quell'anno, la spedizione archeologica finanziata da Lord Carnavon e guidata da Howard Carter scoprì la tomba del faraone Tutankhamon, risalente al XIV secolo a.C. Lo splendore dei tesori in essa contenuti catturò l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale ingigantendo un interesse già molto forte.

Non fosse bastato l'aspetto scientifico ad attrarre il pubblico, intervenne anche la "Maledizione del Faraone". Con questo nome è conosciuta l'incredibile serie di coincidenze che, nei dieci anni successivi alla scoperta della tomba, portarono alla morte diversi membri della spedizione. La stampa si adoperò molto per vendere copie dei propri giornali che richiamassero questa maledizione come conseguenza diretta degli incantesimi di protezione incisi sulla tomba o bara dei defunti nell'Antico Egitto.

La frivolezza dei anni '20, seguiti all'orrore della Prima Guerra Mondiale, concentrò questo potenziato interesse nel mercato dell'intrattenimento professionale, nel quale si stava facendo largo con grande forza la cinematografia. Prima si creò un genere più comune di film che si richiamavano all'Egittomania solo nelle ambientazioni, ma tra la fine di quel decennio e l'inizio del successivo, si formò anche un sottogenere sfociante nell'horror classico con le mummie come protagoniste.

La pellicola che segnò quell'epoca fu La mummia, uscita nel 1932. Questo film fu una riuscita combinazione di affarismo commerciale e ricerca artistica cinematografica.

Da una parte, il produttore Carl Laemmle Jr., reduce dall'eclatante successo di pubblico di altre due pietre miliari del cinema horror riguardanti Dracula e Frankenstein, usciti l'anno precedente, era alla ricerca di un nuovo soggetto che si potesse innestare nello stesso filone dei "non morti". La scelta delle mummie fu semplice in quanto diretta conseguenza della notorietà raggiunta dalla "Maledizione del Faraone" riferita alla spedizione Carnavon.

Dall'altra parte, tanto la regia di Karl Freund quanto la recitazione di Boris Karloff , trasformarono il film in un classico senza tempo.

Freund possedeva un background artistico legato all'espressionismo tedesco e ne mutuò il tipico terrore psicologico per infonderlo ne La mummia. La trama del film non era complessa: Imhotep, un importante sacerdote egizio, fu condannato a morte e mummificato a causa dell'amore per la figlia del Faraone; il suo ritorno dalla morte in tempi moderni e il tentativo di riconquistare la carnalità umana causavano scontri e lotte spettacolari. I temi principali dell'amore e della ricerca dell'immortalità furono uniti dal regista a una scenografia molto simbolica, dove il movimento delle ombre e l'orrore delle scene, solo annunciato e non mostrato, innescava negli spettatori un senso di claustrofobico terrore che decretò il successo del film.

L'attore Boris Karloff, già protagonista in Frankenstein, aggiunse una recitazione lenta, molto simbolica, che avrebbe rappresentato la pietra di paragone per coloro che si fossero cimentati nel ruolo di mummia nei decenni successivi. Bisogna comunque sottolineare il fatto che a differenza di quanto sarebbe accaduto nei film successivi, Karloff recitò solo per pochi minuti avvolto da bende, per indossare nel resto del film costumi meno impegnativi dal punto di vista del make-up.

Lo stereotipo della mummia muta, dall'andatura ondeggiate e ricoperta da bende si formò solamente nei film successivi prodotti dalla Universal, e intitolati La tomba della mummia, La mano della mummia, Il fantasma della mummia, La maledizione della mummia. Il personaggio protagonista di queste nuove pellicole non era il bello e dannato Imhotep, ma il quasi immortale Kharis che, oltre a non essere più toccato dal dolore terreno, non poteva essere fermato con le comuni armi.

Per la data d'uscita de The Mummy's Hand (1940), diretto da Christy Cabbane, la Mummia aveva ormai affiancato Dracula e Frankenstein nel gruppo degli "Universal monsters", i mostri della casa di produzione Universal. Oltre a mutare lo stereotipo della mummia come personaggio dell'immaginario horror, le successive produzioni dei primi anni '40 (Il fantasma della mummia, La maledizione della mummia) abbandonarono anche quel terrore psicologico che aveva reso famoso il lavoro originario di Karl Freund per avvicinarsi più al genere thriller, con maggiore azione, eroine da salvare ed eroi senza paura.

Anche i concetti di morte e immortalità espressi in questi film cambiarono radicalmente. La morte tornò a essere temuta, come sempre lo era stata, perché poteva venire in qualche modo ingannata raggiungendo l'immortalità delle mummie, ma quella vita senza fine non era altro che un pallido riflesso della precedente e non si avvicinava minimamente al radioso futuro che la maggior parte delle religioni contemporanee predicano.

Ciononostante, la Mummia non perse il suo appeal sul pubblico, al contrario rafforzò il proprio carattere esotico e misterioso. Come Dracula e Frankenstein, la Mummia aveva origine straniere, accentuava quindi l'innata paura dello straniero, e come quei due personaggi tornava dal mondo dei morti senza chiedere alcun permesso ai vivi, sfruttando il terrore umano per ciò che vi potrebbe essere dopo la morte. Il bendaggio, l'andatura ondeggiante e l'impossibilità di essere uccisa in maniera tradizionale accentuavano tali caratteristiche.

Esse rimasero talmente impresse nel pubblico che anche trent'anni dopo il primo film sulla Mummia, furono riprese e poste alla base de The Mummy e Curse of the Mummy's Tomb prodotti dalla britannica Hammer.

Ci vollero quasi altri quarant'anni e il succedersi di più generazioni di spettatori, prima che la Universal si avventurasse nei due remake intitolati La Mummia (1999) e La Mummia - Il Ritorno (2001) in un tentativo di rispolverare le origini. Sebbene la trama fosse più simile a quella presente nel film del 1932, con il potente stregone Imhotep pronto a tornare dalla morte nel tentativo di riconquistare le proprie sembianze umane, i film furono concepiti sulla falsariga delle produzioni degli anni quaranta, quindi come film d'azione e non horror. Inoltre, dopo l'enorme successo riscosso dalle avventure archeologiche di Indiana Jones, fu impossibile discostarsi dalla figura di un protagonista maschile guascone, scherzosamente donnaiolo e, in definitiva, più adatto a commedie.

Questa nuova miscela non dispiacque però agli spettatori moderni, tanto che nel 2008 arrivò anche un secondo sequel denominato La mummia - La tomba dell'Imperatore Dragone, la cui ambientazione cinese, legata all'esercito di terracotta dell'imperatore Qin Shi Huang, stravolgeva completamente storia e tradizione della Mummia cinematografica che, con molta probabilità, si sarà rivoltata nella sua tomba immaginaria per tale irriverente sacrilegio.

Fonti e letture consigliate

Gaines, John, A History of Classic Monsters: Mummies, fonte web;

Pullman, Gary L., Everyday Horrors: Mummies, fonte web;

El-Dorry, Menna, The Mummy in Movies, fonte web;

Hawass, Zahi e Janot Francis Royal Mummies, White Star Publisher;

Brunas, Michael, Brunas John e Weaver Tom, Universal horrors: the studio's classic films, 1931-1946. Jefferson, N.C.: McFarland, c1990;

Lant, Antonia, "The Curse of Pharaoh" in Bernstein, Matthew and Gaylyn Studlar, Visions of the East: Orientalism In Film. New Brunswick, N.J.: Rutgers University Press, 1997.

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