La bella luna, grande, luminosa e tonda, ogni qualvolta è stanca si adagia mollemente su un campo di fagioli situato proprio a sinistra del semaforo che taglia in due Berhi Street.
Si apre a metà e insinua tra gli uomini i suoi invisibili tentacoli con cui sbircia le loro cose e le loro menti, non perché sia curiosa o invadente, ma perché le cole e le menti umane sono per lei molto stravaganti e la fanno rigongolare dal ridere.
Sappiate che quando la luna ride, perde ogni romanticismo: s'alluna tutta d'argento vivo e ballonzola come la grossa pancia di un oste solleticato dalle dita dell'amante, poi s'improfuma tutta ed espande il suo odore di luna nell'aria del mondo.
Ieri sera ha sbirciato le abitudini e i pensieri del signor Prott che insegna matematica a tuo figlio.
La luna ha così scoperto che, seppure non lo dia a vedere, quel povero uomo è molto infelice, perché nonostante faccia l'insegnante, il suo più grande desiderio è sempre stato quello di fare l'idraulico.
Per temperare questo suo grande dolore teneva nascosto nel doppio fondo della sua borsa un kit completo di tubicini, valvole, bulloni, rubinetti, miscelatori, guarnizioni e piatti doccia.
Mentre spiegava, scambiava spesso una radice quadrata per un water, i numeri per getti d'acqua, la cattedra per un lavabo malconcio e il gesso per un'incrostazione di calcare. Ecco perché l'altra volta, quando gli hai chiesto come va tuo figlio in matematica, lui ti ha risposto: "E' un cesso, è come chiuso, non gli va giù niente".
Per reagire al suo sconforto, per rilassarsi e vivere momenti di autentica felicità, ogni fine settimana il professor Prott smontava e rimontava l'intero bagno, suo, della sua fidanzata e pure quello della sua anziana madre. E lo faceva diverse volte al giorno, poiché in quei magici momenti si sentiva felice e divertito quasi quanto la luna che lo stava sbirciando.
E per ben sapere quanto la luna si divertisse in quei giorni vi basi pensare che tutti i suoi tentacoli e la sua superficie aperta a guscio d'uovo si ricoprirono di una sostanza iridescente da cui si distaccarono miliardi e miliardi di bolle argentee che sommersero il mondo intero e soprattutto il campo di fagioli su cui la luna si riposa.
A chi poi li mangiò non capitò nulla di terribile, ma almeno per un istante s'illuminò...
Storia quasi banale
Fu un anno terribile, il più terribile anno della mia vita.
Mio marito dopo essersi invaghito di una turista svedese, acquisì un vigore che non aveva mai visto, nemmeno negli anni del nostro fidanzamento, quando eravamo giovani e felici.
Dalla sera alla mattina, i suoi capelli brizzolati si ritinsero di scuro, tutta la pelle si distese, cancellando quasi del tutto quelle due profonde rughe di espressione che come parentesi tonde gli incorniciavano la bocca. Perfino il pelo del suo petto si ridisegnò in una forma che mi ricordava quella di un cuore.
Avevo da tempo notato questi e certi altri cambiamenti, ma li attribuivo a un processo naturale, quasi una seconda giovinezza che in molte persone anticipa la fase dell'evidente invecchiamento.
Una mattina di fine agosto mi lasciò dicendomi che sapevo di vecchio e non ero capace di far altro che stare ai fornelli, pulire stirargli le camicie e fare il mio mestiere: la maestra.
Mi disse che aveva bisogno di vivere e si caricò in macchina le sue cose e quanto poteva servirgli per la sua nuova casa. Fu per questo che portò con sé il nostro cane Gjgjo, le ante delle finestre, i pensili della cucina, il mio cuscino, due termosifoni, la porta d'ingresso e i tubi dell'impianto idraulico.
Fu per me un anno terribile, quell'anno.
Le mie amiche cercarono di consolarmi, ma considerando il poco successo, pensarono di dedicarsi al loro look e ai loro mariti, acceso mutui e prestiti per pagarsi saune, massaggi e lifting; due di loro fecero anche un corso avanzato di petting e roba del genere per poter sbaragliare eventuali concorrenti.
Agosto passò e nei mesi a venire, a causa della mia pessima forma psicofisica, fui costretta a lasciar e il mio lavoro e quanto era stata per anni la mia routine. L'unica cosa che continuavo a fare era portare fuori il cane del mio vicino di casa, il signor Footlaar. Mi ero assunta questo impegno anni prima, quando il signor Footlaar cadendo da una scala fu costretto a riposo per due mesi, con entrambe le gambe ingessate.
Dopo che si ristabilì, quasi per inerzia, continuai a portargli fuori il cane e a tenere le chiavi del suo appartamento. A lui probabilmente andava bene così e a me anche.
Il signor Footlaar era sulla sessantina e aveva viaggiato molto, lo si vedeva dalle foto attaccate alle pareti del suo appartamento, foto con case di forma strana, foto di giraffe e coccodrilli, foto in cui cavalcava cammelli, elefanti nani e cavalli.
Proprio a quel mio vicino di casa devo molto, perché dopo la fuga delle mie amiche fu l'unico essere umano a darmi incessante e tenero conforto e a scaldarmi nell'anima e soprattutto nel corpo, dato che senza termosifoni e impianto idraulico l'inverno di quel pessimo anno fu per me davvero uno dei più gelidi. E se non fosse stato per il calore di Footlaar, sarei davvero congelata.
Di mio marito non seppi mai niente, finché dopo molti mesi incontrai una conoscente comune che mi disse che la svedese l'aveva lasciato dicendogli che sapeva di vecchio, di pantofole e di camomilla, mentre lei aveva bisogno di sentirsi viva ed era così partita per un lungo viaggio in treno che da Parigi passava poi per Mosca e Istanbul, fino ad approdare a Pechino. Questo era tutto vero, dato che dopo qualche giorno ritrovai appoggiati nel mio giardino, in Attesa di essere raccolti, due termosifoni, la porta d'ingresso, i pensili della cucina, i tubi del mio impianto idraulico, il mio ex marito e Gjgjo a cui diedi un osso e dissi di non invecchiare mai.
Dissi poi a mio marito che andasse pure a rincorrere svedesi, perché io amavo il mio vicino di casa e il suo cane; con loro sarei presto partita per l'Africa. Aggiunsi che se lui non mi avesse divelto porte e termo non avrei avuto motivo di andare così spesso dal signor Footlaak a scaldarmi. Gli ricordai che nulla è per caso e che il caso ha intenti più precisi di quelli che noi possiamo immaginare.
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