La politica e le campagne militari di Mussolini che portarono l'Italia a entrare nella Seconda Guerra Mondiale: gli attacchi e le operazioni in Francia, Libia, Etiopia e Grecia.
Le vittorie iniziali della Germania di Adolf Hitler nella Seconda Guerra Mondiale illusero Benito Mussolini di poter ottenere importanti vantaggi con la partecipazione a un conflitto breve.
La mattina del 10 Giugno 1940 Galeazzo Ciano, genero di Mussolini nonché Ministro degli Esteri del governo fascista, consegnava la dichiarazione di guerra agli ambasciatori di Francia e Gran Bretagna. Alle ore diciotto dello stesso giorno, dal balcone di Palazzo Venezia, di fronte a una folla entusiasta, il Duce in persona annunciava ufficialmente quanto era ormai stato stabilito:
"...Uomini e donne d'Italia, dell'Impero e del Regno d'Albania! Ascoltate! Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L'ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e della Francia... La parola d'ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa trasvola e accende i cuori dalle Alpi all'Oceano Indiano: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all'Italia, all'Europa, al mondo. Popolo italiano! Corri alle armi, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!"
Il significato di tali parole era chiaro a tutti: l'Italia entrava in guerra a fianco della Germania hitleriana, contro la Francia e l'Inghilterra. La guerra scoppiata nel Settembre precedente, con l'invasione nazista della Polonia, si allargava ulteriormente. Molti erano stati i dubbi e i tormenti della classe dirigente italiana, forti anche le perplessità dei vertici militari. Lo stesso Mussolini visse lunghe e dolorose lacerazioni, ma alla fine cedette e scelse l'opzione bellica; a spingerlo, non solo le minacce più o meno velate dell'alleato Hitler, ma anche i trionfi della macchina da guerra tedesca, capace in poche settimane di occupare Polonia, Norvegia e Danimarca, e di sferrare un attacco inarrestabile sul fronte occidentale; attacco che stava portando rapidamente la Francia al disastro. Il Duce era convinto che la guerra fosse già alle ultime battute e che essa avrebbe portato, in breve tempo, a una pace generalizzata. Questo calcolo rafforzò ulteriormente la sua convinzione della necessità di un diretto contributo italiano al conflitto, pena lo scadimento dell'Italia a potenza "vassalla" in un'Europa ridisegnata dai nazisti vincitori. In un promemoria, Mussolini stendeva e pianificava tale decisiva convinzione, introducendo il concetto di "guerra parallela": l'Italia avrebbe combattuto insieme ai Tedeschi, ma perseguendo obiettivi autonomi. Lo scopo era crearsi una sfera egemonica in Africa e nel Mediterraneo; sfera poi da far riconoscere al futuro tavolo di negoziato.
In realtà, questo disegno era campato per aria, costruito su basi assolutamente inesistenti. La guerra non era affatto al termine; i successi hitleriani, per quanto strabilianti, erano tutt'altro che decisivi. Il calcolo meschino ed erroneo del Duce, ovvero ottenere grossi vantaggi sacrificando qualche povero soldato, avrebbe portato il regime fascista al crollo violento e totale; l'Italia al disastro e alla guerra civile; più di mezzo milione di italiani alla morte. Ma sarebbe sbagliato credere che fu la stolida ambizione di un uomo solo, Mussolini, a condurre il paese alla tragedia; gravissime furono infatti le responsabilità del re Vittorio Emanuele III, di Ciano e di quasi tutti i gerarchi fascisti, dei capi militari. Essi erano consapevoli della realtà, conoscevano le carenze dell'esercito e delle altre forze armate, la loro impreparazione alla guerra, ma evitarono accuratamente di contrastare il Duce nelle sue astrazioni; anch'essi erano convinti della guerra breve, della vittoria tedesca e della obbligatorietà di qualche "sacrificio necessario" per ottenere gloria e vantaggi materiali. Il loro utilitaristico silenzio contribuì a rendere ancora più drammatiche le vicende successive.
Il disastroso attacco alla Francia
Dopo la dichiarazione di guerra, le forze armate italiane tennero sostanzialmente un atteggiamento prudente e attendista, seguendo alla lettera le prime direttive mussoliniane. Sul fronte occidentale, ovvero la linea di confine con la Francia sulle Alpi, l'iniziativa fu presa con grande ritardo. Solo il 21 Giugno, infatti, confidando nella sconfitta ormai totale dello stato transalpino, Mussolini ordinò alle divisioni presenti in Piemonte e Liguria di attaccare la Costa Azzurra. L'obiettivo era occupare una lunga striscia di territorio sino a Nizza. Ma la meschina convinzione del Duce di "una comoda passeggiata" si risolse in un pasticcio tragico e imbarazzante: l'esercito francese, difatti, era sì a pezzi ma ancora capace di letali zampate, specie contro lo sgangherato e impreparato esercito nostrano.
Comunque, il 21 Giugno partì l'offensiva; come già detto, sulla carta la vittoria sembrava rapida e scontata, ma l'attacco delle divisioni italiane, mal comandate e scollegate tra loro, fu lento e scriteriato. Così, pur in inferiorità numerica, i Francesi ebbero buon gioco a difendersi. Solo dopo molti sforzi si riuscì a passare la frontiera di S. Luigi e giungere a Mentone. In soli quattro giorni di combattimento effettivo, i soldati italiani subirono perdite gravissime (oltre 600 morti e più di 2000 feriti), ottenendo risultati minimi. L'effetto militare dell'offensiva contro la Francia fu quindi scarso e sanguinoso; peggio ancora fu quello politico. L'aver attaccato i Francesi nel momento in cui essi stavano crollando sotto l'assalto dei Panzer hitleriani fu visto come un gesto disonorevole, addirittura maramaldesco. Inoltre, anche l'illusione mussoliniana di ottenere forti vantaggi territoriali imponendo una pace punitiva al governo transalpino venne presto smentita. Hitler, in realtà, aveva tutt'altre intenzioni, non intendeva affatto umiliare il nemico vinto, poiché sperava di poterlo portare nel proprio campo in funzione anti-inglese (cosa che in effetti avvenne parzialmente con il governo collaborazionista di Vichy).
Con l'armistizio del 24 Giugno, l'Italia ottenne dalla Francia solo la smilitarizzazione di un ristretto territorio in Europa e in Africa, oltre la possibilità di usare il porto di Gibuti nella Somalia francese. La facile avventura si era trasformata in una cocente umiliazione e, a poco a poco, in un gioco pericoloso da cui era impossibile staccarsi. Il disegno della "guerra parallela" cominciava a mostrare le sue crepe. Le tragedie successive l'avrebbero fatto crollare totalmente.
La Marina sotto tiro. Le difficoltà in Libia. La perdita dell'Etiopia.
Lunga fila di prigionieri italiani in marcia verso Sidi El Barrani. La catastrofica campagna di Libia del 1940-41 mise a nudo tutte le pecche dell'esercito italiano nella Seconda Guerra Mondiale.
Approfittando delle incertezze dei vertici politici e militari italiani, gli Inglesi presero l'iniziativa. Già il 14 Giugno si verificarono sporadici bombardamenti aerei su diverse città, tra cui Genova e Torino. Si ebbero così le prime vittime tra la popolazione civile, terrorizzata e attonita di fronte a queste azioni inattese. Tali incursioni mostrarono inoltre le gravi carenze del sistema italiano di contraerea, antiquato e disorganizzato.
Intanto il 9 Luglio successivo, la Regia Marina subì una cocente sconfitta al largo di Punta Stilo. Dopo tale battaglia, la flotta britannica era in grado di avvicinarsi alle nostre coste e bombardarle senza alcuna difficoltà. In pochi mesi, Napoli venne sottoposta a pesantissime incursioni, divenendo città martire e simbolo inequivocabile delle astruse ambizioni del Duce e della classe dirigente fascista. Per cercare di rimediare a queste difficoltà, Mussolini ordinò al maresciallo Graziani, governatore della Libia (N.d.a. aveva sostituito il grande aviatore Italo Balbo, morto in un misterioso incidente il 28 Giugno 1940 di fronte alla piazzaforte militare di Tobruch), di passare all'offensiva e invadere l'Egitto.
Dopo molte titubanze, Graziani obbedì, ma la sua avanzata si fermò a Sidi El Barrani, piccolo villaggio poco oltre il confine libico-egiziano. Gli Inglesi, impegnati su altri fronti (N.d.a. era in pieno corso la Battaglia d'Inghilterra, con la minaccia di un'invasione tedesca dell'isola), aspettarono a reagire a quel timido tentativo, tuttavia quando lo fecero, la situazione per le forze italiane divenne subito insostenibile. Il 9 Dicembre 1940 un violentissimo attacco spazzò via Graziani da Sidi El Barrani e, nel giro di poche settimane, fu persa l'intera Cirenaica. Di fatto, la 10a armata italiana andò incontro a un disastro di immani proporzioni: nella precipitosa ritirata, essa perse ingenti quantità di materiali; inoltre, 130mila uomini furono presi prigionieri dai soldati di Sua Maestà Britannica. Mussolini liquidò Graziani insieme all'altrettanto inetto Italo Gariboldi, e fu costretto a chiedere aiuto all'alleato tedesco. Nel Febbraio 1941 l'arrivo a Tripoli del generale Erwin Rommel e di due divisioni corazzate tedesche segnava la nascita dell'Afrikakorps. E la morte di un altro scenario geografico per i sogni mussoliniani: la Germania faceva il suo ingresso prepotente nel Mediterraneo e non se ne sarebbe più andata se non con la monumentale offensiva anglo-americana del 1943. L'Italia vedeva rimpicciolirsi il proprio spazio d'autonoma egemonia, diventando sempre più succube dell'alleato nazista.
Il Febbraio 1941 vide anche un'altra disfatta italiana, con la perdita definitiva delle colonie nel Corno d'Africa. In poche settimane, l'esercito inglese occupò Somalia ed Eritrea, liberando anche l'Etiopia grazie all'aiuto determinante della resistenza indigena. Hailé Selassié fu riportato sul trono e mostrò subito grande magnanimità, proteggendo i coloni italiani dalla vendetta dei suoi compatrioti, colpiti negli anni precedenti da violenze e torti inauditi. Le ultime truppe regie ad arrendersi in Africa orientale furono quelle della roccaforte dell'Amba Alagi, comandate dal duca Amedeo d'Aosta, il 17 Maggio 1941, dopo settimane di resistenza strenua e coraggiosa. Gli Inglesi, colpiti da tanto valore militare, concessero al duca il grande onore della resa armi in pugno. In uno scenario inumano e crudele come quello della Seconda Guerra Mondiale, fu uno dei pochi, grandi atti di cavalleria e nobiltà tra le forze nemiche.
La disfatta libica e la perdita delle colonie africane furono autentici macigni, e cominciarono a spezzare la fiducia degli Italiani nel regime. Le folli ambizioni del Duce e la vanagloria egoista di gerarchi e Casa Reale stavano portando l'Italia al dramma più nero. Ma prima un'ulteriore catastrofe era avvenuta, la quale seppellì per sempre l'astrazione della "guerra parallela" e condannò l'Italia e il fascismo a un triste destino. Questa catastrofe fu l'attacco alla Grecia.
La guerra di Grecia
L'errore più grossolano e gravido di conseguenze di Mussolini nel disastroso biennio 1940-41 fu proprio la decisione di attaccare la Grecia. Fu una decisione presa con leggerezza incredibile, senza motivazioni strategiche o militari, ma per semplice smania di prestigio personale. Anche qui il Duce, come nel caso della Francia, pensava a una "passeggiata" che avrebbe procurato facile gloria e pingue bottino. Anche in questo caso i fatti avrebbero smentito tragicamente le sue presunzioni.
L'Albania divenne la base di partenza per l'offensiva del Regio Esercito e ciò fece entrare pesantemente in gioco il genero di Mussolini, Galeazzo Ciano. Questi considerava il paese delle aquile come proprio feudo personale e appoggiò caldamente il progetto del suocero, convinto che esso gli avrebbe portato nuovi meriti e nuove ricchezze. L'egoismo e l'opportunismo di Ciano fecero più danno delle ambizioni del Duce: persino la preparazione logistica e strategica dell'impresa fu fatta con un pressappochismo spaventoso, badando solo agli aspetti puramente propagandistici. Non si valutarono a sufficienza le zone dove si sarebbe dovuto sferrare l'attacco; ci si fidò delle chiacchiere astruse e senza senso di Ciano che blaterava di un governo greco corrotto e instabile, facile quindi da abbattere; non si sottoposero a vaglio critico le informazioni raccolte sulle capacità difensive dello stato ellenico.
La campagna italiana in Grecia nella Seconda Guerra Mondiale fu un conflitto d'altri tempi, in cui più delle armi da guerra, furono importanti la determinazione dei soldati e la resistenza dei loro muli, entrambe migliori nell'esercito greco.
In aggiunta, per passare dalla padella nella brace, ogni decisione fu affrettata per impedire decisivi interventi di Hitler, il quale aveva già fatto sapere di essere contrario a qualsiasi operazione militare nei Balcani che avrebbe offerto agli Inglesi l'occasione di intervenire massicciamente nell'area, mettendo in pericolo i campi petroliferi della Romania necessari all'imminente attacco all'URSS. Ma il Duce voleva farla pagare all'alleato che aveva messo in piedi lo scoppio della guerra e le sue successive conquiste senza consultare minimamente il governo italiano, perciò fece di testa sua, cambiando completamente il panorama generale del conflitto. L'aggressione italiana alla Grecia provocò infatti una serie di eventi a catena: mise in movimento l'intera situazione dell'Europa sud-orientale, permise agli Inglesi di installarsi a Creta e in altre importanti località dell'Egeo (da cui poi furono cacciati con grande fatica), contribuì a un mutamento importante nella politica jugoslava che costrinse la Germania a un intervento violento e indesiderato. E, soprattutto, fece rinviare di cinque decisive settimane la già prevista operazione Barbarossa contro l'Unione Sovietica. Ma, al di là del quadro storico, non bisogna dimenticare che le conseguenze peggiori dello scriteriato comportamento mussoliniano furono pagate dai nostri poveri soldati.
Il 28 Ottobre 1940 partì ufficialmente la campagna militare: le truppe italiane avanzarono lentamente, attestandosi poi su posizioni difensive nell'entroterra dell'Epiro. A questo punto, scattò l'inaspettata ed efficacissima reazione greca. Nei primi giorni di Novembre l'esercito ellenico travolse e aggirò la maggior parte delle divisioni italiane, riuscendo a penetrare addirittura in territorio albanese. La situazione precipitò ulteriormente in Dicembre, quando i Greci inflissero gravissime perdite agli alpini della Julia, riuscendo in breve a occupare pure Argirocastro. Ora gli Italiani rischiavano di essere addirittura ricacciati in mare, perdendo l'intera Albania e, fatto ancora più grave, mettevano in pericolo lo stesso territorio metropolitano. I comandi greco e inglese, pur mantenendo sempre un atteggiamento prudente ed equilibrato, cominciarono a vagliare la possibilità di uno sbarco in Puglia, idea tutt'altro che velleitaria in quel frangente.
Il tracollo del Regio Esercito ebbe pesantissime ripercussioni sia sul piano interno sia su quello internazionale. Anzitutto, come già detto precedentemente, sancì la fine definitiva della "guerra parallela". L'Italia fascista vide cadere inesorabilmente ogni illusione imperiale o egemonica e, quel che è peggio, divenne praticamente schiava della Germania nazista. Hitler, furioso per i disastri dell'alleato, mise alle strette il Duce e gli impose una dipendenza politica-militare sempre più umiliante. Truppe tedesche cominciarono a essere inviate in Italia, ufficialmente come supporto alle operazioni militari nostrane nel Mediterraneo e nei Balcani; in realtà, per controllare gli Italiani "inaffidabili e inetti". Ormai l'Italia era imbarcata appieno sul funereo carrozzone hitleriano e non avrebbe avuto più modo di staccarsene, con le tragedie catastrofiche che conosciamo. Mussolini aveva cercato, con le proprie ambizioni illusorie e boriose, di ingrandire al massimo la potenza italiana e di farla riconoscere a livello mondiale; paradossalmente, aveva invece finito per sminuirla e condannarla all'inevitabile collasso. Con il disastro greco, il regime fascista mise pure in cantiere le basi della sua rovina: la popolazione, posta di fronte alla crudezza del dramma, cominciò a sfuggire alla facile propaganda e a valutare in maniera autonoma la situazione. Iniziarono le prime critiche al Duce e al governo. In capo a un paio d'anni, quei primi fenomeni di protesta sarebbero diventati un fiume in piena, capace di far crollare l'assetto politico-istituzionale del paese, con gravissime conseguenze. Nell'inverno 1940-41 il fascismo iniziava la rovinosa parabola della decadenza.
Vale la pena, per cronaca, raccontare la conclusione della guerra di Grecia. A prezzo di pesanti sacrifici, le truppe italiane riuscirono a stabilizzare il fronte. Iniziò una logorante e sanguinosa guerra di trincea che si protrasse sino ai primi giorni del Marzo 1941. Allora, lo Stato Maggiore italiano lanciò una controffensiva nella zona del fiume Vojussa, però dagli scarsi risultati. In Aprile la Germania attaccò e travolse la Jugoslavia, volgendo poi la propria potenza bellica in aiuto dell'alleato in difficoltà. In poche settimane, anche Atene dovette capitolare alle armate naziste, padrone dell'intera penisola balcanica. Ma era, appunto, l'ennesima vittoria di Hitler; lo smacco per il governo di Roma, ormai prigioniero del dittatore tedesco e della sua sorte, fu totale. L'Impero non esisteva più e l'astro fascista si avviava a una terribile eutanasia, trascinando con sé l'Italia intera.
E' questo il prologo vero dell'8 Settembre 1943.
Fonti e letture consigliate
"Storia dell'Italia contemporanea. Dalla crisi del fascismo alla crisi della Repubblica, 1939-1998", a cura di Giorgio Vecchio, ed. Monduzzi, Bologna 1999 (pag. 7-28)L'autore cita come testi di riferimento del proprio lavoro i seguenti libri:
G.Bocca, "Storia d'Italia nella guerra fascista. 1940-43", Mondadori, Milano 1996
G. Ciano, "Diario 1937-1943", a cura di Renzo De Felice, Rizzoli, Milano 1980
Renzo De Felice, "Mussolini l'alleato. L'Italia in guerra 1940-43. 1. Dalla guerra breve alla guerra lunga", Einaudi, Torino 1990
A.Del Boca, "Gli Italiani in Africa Orientale. La caduta dell'Impero", Laterza, Roma-Bari 1986
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