Ricordate "Sense 8"?
La serie TV delle sorelle Wachowski, prodotta da Netflix e scritta assieme a J. Michael Straczynski?
Sì, proprio quella che elogiai con tutto me stesso nella recensione alla prima stagione, e che vi consigliai per la sua natura diversa rispetto al "solito minestrone"; la stessa in cui ho avvertito per la prima volta una rilevanza anche artistica, evento rarissimo nelle serie TV, perché non cercava mai la via facile, ma affermava invece, prepotentemente, il suo essere "diversa".
Ebbene, se ricordate, allora dissi che le molte critiche negative ricevute dalla serie (così come per il film "Cloud Atlas", sempre delle sorelle Wachowski, simile per struttura a "Sense 8") mi sembravano immotivate e sciocche.
Ora, con mia grande tristezza, posso affermare che quelle critiche non erano soltanto sciocche, ma anche dannose.
Dico questo perché è uscita da poco, sempre su Netflix, la seconda stagione di "Sense 8", e questa, che doveva essere la buona notizia dell'articolo, si è andata purtroppo a sommare alla brutta notizia che mai avrei voluto ricevere: "Sense 8" è stata cancellata.
Non ci sarà una terza stagione.
Saprete già che il web ha tentato una piccola rivolta (con tanto di mozione popolare) per far cambiare idea a chi di dovere, ma senza risultati.
Io però non credo che il problema sia nel non sapere come sarebbe continuata la storia dei "sensate" (o non solo in questo), ma in particolare nella scelta di chiudere proprio uno dei pochi prodotti innovativi sulla piazza (se non l'unico).
La seconda stagione non è stata affatto male. Non ha raggiunto il livello artistico della prima, questo devo dirlo, ma la trama vera e propria (mi viene da dire, la "trama avvincente") ha subito una netta impennata. Insomma, a dirla tutta, questa seconda parte ha teso molto più in direzione del pubblico, poiché, a differenza della prima, la trama fantascientifica ha avuto il sopravvento su quella dei singoli personaggi (e se ciò serviva per far sopravvivere la baracca, tanto meglio).
Eppure non è bastato.
Perché è inutile girarci intorno: il motivo per cui la serie è stata chiusa è che costava troppo (circa sette milioni di dollari ogni puntata) e non era guardata da una quantità sufficiente di pubblico.
Ed è per questo che non me la prendo con Netflix (o, almeno, non troppo: non sono neanche loro degli agnellini, sia chiaro). Dopotutto un canale televisivo rimane un'azienda che deve guardare alla convenienza di un prodotto: non trasmette programmi per beneficenza.
E va bene.
Me la prendo invece con coloro (tantissimi sul web) che due anni fa commentarono la prima stagione con aria di sufficienza, sostenendo che era troppo contorta, o noiosa, o "stramba".
Possibile che tanti critici (o presunti tali) non riuscirono a coglierne la qualità? E se le cose stanno così, se davvero non la apprezzarono, perché invece adesso tutti si disperano?
C'è qualcosa che non torna.
Io ho una mia teoria, forse sbagliata, ma ve la dico lo stesso, perché bisogna pur trovare una spiegazione.
Credo che in questi anni il "morbo di internet" si stia diffondendo anche tra coloro che, in teoria, dovrebbero esserne i medici, i guaritori, i nemici del suddetto morbo: appunto, i critici (blogger, critici veri, giornalisti, ecc.).
Intendo dire con questo che ho una sensazione sempre più pressante: il modo di fare del ragazzino qualsiasi che scrive convulsamente su Facebook "tutto fa schifo" si sta spandendo a macchia d'olio negli interstizi e sta raggiungendo coloro che ragazzini non sono affatto, e men che meno "qualsiasi"; dire che "tutto fa schifo" (lo si può dire con più eleganza, con ironia tagliente, senza usare termini bruschi, ma il succo resta quello) dà un'illusione di forza, fa apparire tutti come critici giusti (appunto perché criticano, senza pensare che si può fare anche una critica positiva).
E allora mi chiedo: cosa, al giorno d'oggi, non "fa schifo" alla critica del web?
Risposta: soltanto ciò che è diventato un classico, cioè che è indiscutibile.
Il fatto curioso, però, è che nell'era di internet il tempo scorre a una velocità supersonica, perciò i "critici criticanti" corrono a dire che qualcosa "fa schifo" il primo secondo dopo averla vista; ma poi, a distanza di soli due anni, vedono quello stesso prodotto già come un classico (appunto perché il tempo scorre tanto veloce: due anni su internet sono forse vent'anni e più di tempo comune).
Ed ecco, insomma, l'assurda conclusione: gli stessi che allora avevano scrutato "Sense 8" con supponenza, vedendovi qualcosa di rivoltante o, nel migliore dei casi, indifferente, oggi si strappano le vesti per difenderla, senza però rendersi conto che, se è stata cancellata, la colpa è anche (e soprattutto) loro.
E poi c'è chi invece rimane nella propria posizione (almeno è coerente) e dice: "Sense 8" non mi è mai piaciuta.
Ognuno è libero di avere i propri gusti, naturalmente, ma vi chiederei allora, di nuovo, di riflettere. Il pubblico di Netflix (perché di questo pubblico si parla) è lo stesso che si sbraccia per "Stranger Things" o "13 Reasons Why", serie sicuramente interessanti, ben girate, carine e tutto quello che volete... ma serie che rimangono la riproposizione di canoni cinematografici già triti e ritriti, che non aggiungono nulla nel mare magnum televisivo.
Ditemi: perché quelle sì, vanno bene e sono apprezzate, mentre il nuovo e autentico esperimento "Sense 8" no?
Di nuovo: io vedo solo una spiegazione.
Tra il "classicheggiante" e il nuovo, si rifugge il nuovo per partito preso, come farebbe una nonna dinanzi a un pezzo rock.
C'è però il piccolo problema che, poi, a distanza di soli due anni, quella "canzone rock" sia già diventata un classico.
In conclusione, temo di sapere come andrà a finire.
"Twin Peaks" di David Lynch, serie che a suo tempo naufragò miseramente (con tanto di fischi al film prequel "Fuoco cammina con me" a Cannes), è stata poi consacrata dal tempo come un classico indiscutibile (per fortuna) e, proprio in questi giorni, esce la terza stagione a distanza di ben venticinque anni.
E ora, guarda un po', tutti esultano!
Come se a far sospendere "Twin Peaks" in passato fossero stati solo i cattivissimi produttori televisivi.
Ma, è bene ripeterlo: i produttori televisivi saranno attaccati al denaro quanto vi pare, ma non sono pazzi. Producono ciò che vende.
Se hanno un prodotto molto apprezzato, non lo chiuderanno facilmente.
E se lo chiudono, è solo perché non è stato visto abbastanza.
Punto.
Insomma: di chi è la colpa?
Dei diabolici produttori?
Oppure del pubblico e della critica che prima ignorano (o, addirittura, si disgustano per) qualcosa, e poi, a distanza di soli due anni, si disperano per la cancellazione di quello stesso "qualcosa" che hanno respinto?
Spero soltanto di non dover aspettare venticinque anni anche per la terza stagione di "Sense 8".
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