Le conclusioni sulle reazioni umane al terrore e all'orrore: odio, conversione o autismofobia?
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- Seconda parte
- Terza parte
- Parte conclusiva (questa pagina)
"Onde io imparai sin da allora, che la vicendevole paura era quella che governava il mondo."
(V. Alfieri, Vita)
Quarto passo: perché si prova paura?
Nell'ultima parte del terzo saggio abbiamo compreso come le persone reagiscano in modo differente allo stesso evento perturbante. Abbiamo anche visto come il loro atteggiamento di fronte alla dicotomia terrore/orrore possa cambiare nel romanzo pagina dopo pagina. Ci siamo resi conto, in conclusione, che è il diverso panorama cognitivo a determinare un opposto tipo di reazione. Alla fine, è chiaro quanto sia importante la caratterizzazione degli individui che si trovano di fronte all'episodio pauroso. Ci tenevo a dire che questi particolari non emergono dal nulla o da applicazioni teoriche, ma credo si possano giustificare attraverso un punto di vista scientifico. Proprio per questo, mi piace riassumere il significato di paura in maniera meno empirica, esprimendo i tre concetti principali da cui essa dipende:
- Il cervello dell'individuo, ossia la propria biologia. La paura è legata a caratteristiche fisiche e biologiche, anche se con questo non dobbiamo ridurre tutto a quello che viene chiamato "riduzionismo biologico". Voglio dire, non è una questione di sole molecole.
- La personalità di base, quella che viene strutturata nei primi anni di vita, in particolare (secondo lo psichiatra Vittorino Andreoli) nel periodo da 0 a 3 anni. E' il momento in cui la nostra personalità viene organizzata, prende una propria forma, delle linee fondamentali. E' da questo momento e dalle esperienze che collezioniamo che si comincia a formare una persona fiduciosa o sfiduciata, introversa o estroversa. Per esempio, un estroverso ha meno paura di chi invece si chiude in se stesso (il timido non affronta le situazioni perché non ha alcuna intenzione di aggredire la realtà). Mi sembra un elemento importante per determinare come e in quale modo il personaggio affronti il perturbante: avere bene in mente le caratteristiche psicologiche di chi stiamo per mettere in scena è un primo passo verso il realismo.
- L'ambiente,
soprattutto l'ambiente psicologico: c'è sempre e per chiunque un
ambiente che spaventa e un ambiente in cui ci troviamo a nostro agio,
una persona che non ci sta simpatica e un'altra con cui stiamo bene.
Ambiente, dunque, inteso come relazione.
Ecco dunque i tre elementi che giustificano scientificamente quanto detto fino ad ora.
Che Theodora, Luke, Eleanor, tanto per citare l'esempio dell'ultima volta (quello del romanzo L'incubo di Hill House di Shirley Jackson), si siano comportati in maniera diversa di fronte agli avvenimenti angoscianti della storia non è quindi un capriccio dell'autrice. La vita, e in particolare la vita infantile, caratterizza la persona e la fa agire in un determinato modo. Vorrei concludere con una frase della psicologa Anna Oliverio Ferraris che rispondeva così alla domanda: la paura è contagiosa?
"La paura è molto contagiosa, perché noi siamo degli animali gregari che vivono in gruppo e se qualcuno individua una minaccia, la trasmette agli altri attraverso segnali specifici. Scatta l'allarme che, spesso, anziché venire elaborato al fine di trovare una soluzione adeguata per fronteggiarlo, si trasforma in panico incontrollabile. In caso di incendio all'interno di uno spazio dove siano radunate moltissime persone, come uno stadio, una sala cinematografica o un teatro, coloro che si trovano in prossimità delle uscita di sicurezza si precipitano fuori, mettendo in agitazione coloro che invece sono collocati più in dietro. Se in questi casi ci si limita alla reazione istintiva, allora assistiamo alla tragedia di chi viene calpestato e così via, se, invece, pensiamo alla strategia migliore, che è quella di aspettare che i primi escano rapidamente dalla sala e che gli altri aspettino qualche secondo, la tragedia sarebbe evitata."
La paura è contagiosa ma si reagisce diversamente. A questo punto credo di essere pronto per questa domanda: perché rispondiamo alla paura?
PRIMA DEFINIZIONE: l'istinto.
Una risposta è quella dell'istinto. Guardate cosa dice E.A. Poe nel racconto Una discesa nel Maelstrom:
"Per parte mia, come ebbi ammainato la vela di trinchetto, mi appiattii sulla coperta con i piedi puntati contro la stretta falchetta di prua afferrando con le mani un anello alla base dell'albero di trinchetto. E' stato l'istinto a farmi agire così - cioè nel miglior modo possibile - perché ero troppo frastornato per riflettere."
Henri Bergson nell'Introduzione alla metafisica distingue tra istinto e intelligenza. L'una e l'altra determinano la reazione degli esseri viventi in risposta alle sollecitazioni dell'ambiente: ma si differenziano in quanto l'istinto é la capacità di avvalersi di strumenti già organizzati, mentre l'intelligenza comporta la capacità di costruzione di strumenti artificiali che facciano fronte alla mancanza di quelli naturali. Come dire che l'istinto è predeterminato. Vediamo invece questa definizione della psicologa Anna Oliverio Ferraris:
"La paura è sempre istintiva, poi si colora in base a fattori culturali. Naturalmente ogni epoca ha le sue paure. Ecco, tutto quello che sfugge al nostro controllo genera paura ed alcune paure sono più diffuse di altre proprio per la sensazione di non poter controllarle."
Nella parte finale dell'ultimo saggio, non a caso, avevo citato il discorso del professor Montague quando dice che la paura è la rinuncia alla logica, l'abbandono di ogni schema razionale. L'abbandono della propria razionalità si ritrova pienamente nelle parole di Poe: ero troppo frastornato per riflettere.
SECONDA DEFINIZIONE: l'amigdala
Un atro modo per parlare di come e perché l'uomo risponda al perturbante ci viene dalle più semplici definizioni sull'origine della paura. In questo modo ci colleghiamo al punto iniziale della biologia e del cervello dell'uomo:
- La paura può essere di natura innata (stimoli fisici come il dolore o il rumore; persone sconosciute che non si sa come affrontare; situazioni di pericolo come buio, altezza, freddo, abbandono di persone care; la vicinanza di persone o animali aggressivi)
- La paura
può essere appresa (stimoli che derivano da
esperienze dirette del
passato e che si sono dimostrate pericolose: in questo caso parliamo di
condizionamento, che trasforma ogni stimolo neutro in uno stimolo
fobico). La paura appresa tira in ballo anche in discorso mnemonico: il
luogo o la persona che ci hanno spaventati vengono memorizzati per la
volta successiva.
Queste due paure, innata e appresa, sono controllate da un gene specifico chiamato Stathmina o Oncoproteina 18 che si trova nell'amigdala, un organo chiave nella regione temporale del cervello che ha a che fare con la paura e l'ansia. Il gene fu scoperto dal genetista Gleb Shumyatsky della Rutgers University del New Jersey e aprì la porta a numerosi e importanti studi sulla paura di tipo patologico, con buona pace di migliaia e migliaia di topi da laboratorio. Si ritorna così al punto in cui parlavamo del cervello e della nostra biologia: c'è qualcosa che in parte predetermina, tutto il resto viene assimilato attraverso la personalità che si forma anno dopo anno e attraverso l'ambiente in cui si vive. Fu lo studioso americano Joseph LeDoux a dimostrare che l'amigdala fosse il cuore del sistema emozionale, rompendo una tradizione secolare: ecco, inoltre, quello che dice la studiosa Emma Trenti Paroli:
Cartesio riteneva situate nel cervello solo le funzioni superiori dell'uomo, come la moralità, la ragione, il linguaggio, e provenienti dal basso del corpo, quindi meno degne di attenzione, le emozioni, alla pari degli istinti che l'uomo ha in comune con gli animali. Ma per Joseph LeDoux tutto dipende da un malinteso di fondo: "Si tende a confondere emozioni e sentimenti. Le emozioni sono funzioni biologiche che si sono evolute per permettere agli animali di sopravvivere in un ambiente ostile e di riprodursi. I sentimenti invece sono il prodotto della coscienza, etichette soggettive che l'uomo attribuisce alle emozioni inconsce". Occorre perciò evitare i sentimenti, che sono impossibili da studiare oggettivamente e invece concentrarsi sulle emozioni e sulla loro base biologica, i cui circuiti neurali sono tangibili quanto quelli dei meccanismi sensoriali.
Ora, si capisce quello che avevamo detto sulla differenza tra istinto e intelligenza, dove istinto può essere accostato alla paura innata (poiché si avvale di strumenti già organizzati, come aveva detto Bergson), mentre l'intelligenza può essere accostata alla paura appresa (che si costruisce con strumenti artificiali).
Posso osare questo primo riepilogo?
- La persona è sola e si trova di fronte ad un evento pauroso (mostro).
- Dentro di sé scatta un meccanismo che lo blocca.
- Il meccanismo scatta per: paura innata (il mostro è una creatura aggressiva). E' uno scatto istintivo, che si avvale di strumenti preorganizzati.
- Il meccanismo scatta per: paura
appresa (la persona aveva avuto modo di conoscere i mostri). E' uno
scatto d'intelligenza, perché artificiale, dovuto all'esperienza.
TERZA DEFINIZIONE: l'ignoranza
Una causa della paura potrebbe anche essere l'ignoranza. È il caso di chi, trovandosi di fronte ad una situazione complessa e soprattutto perturbante, non ha elementi per risolverla, perché sin da piccolo non gli sono stati insegnati dagli educatori (genitori, maestri, ecc...). Ecco che subentrano le superstizioni. Per esempio, Malinowski, a proposito di una popolazione di pescatori, racconta che quando essi andavano a pescare in laguna adottavano appropriate tecniche di pesca, mentre, prima di andare in alto mare, facevano dei riti magici. Questo accadeva perché non avevano una tecnica in grado di fronteggiare quel tipo di ambiente e dunque contavano sul fato, sulla superstizione. È qui che entra in gioco l'ignoranza. Il potere, per esempio, si regge sulla paura e sulla superstizione e dunque sull'ignoranza ("Siamo abituati a pensare alla superstizione come a un male assoluto, ingannevole di per sé e pericoloso nelle sue conseguenze. Che essa abbia portato gravi danni nel mondo è impossibile negarlo", James George Frazer). Tant'è vero che durante la nostra vita impariamo un assunto importante: maggiore è la conoscenza, minore è la paura. Man mano che si va avanti si impara qualcosa e l'esperienza è formativa sebbene traumatizzante. Non avviene così per i ragni? Non tutti sono velenosi, ma l'ignoranza ci fa gridare di paura ogni volta che ne incontriamo uno… e magari era innocuo. Al precedente riepilogo aggiungiamo un ulteriore punto:
- Il
meccanismo scatta per: ignoranza (la persona non sapeva niente dei
mostri).
QUARTA DEFINIZIONE: spirito di conservazione
Ovviamente non siamo molto distanti dall'istinto, ma con qualche interessante differenza in più. Prima di tutto vorrei introdurre il termine di vittima: diciamo che tutte le persone che si trovano in una situazione di orrore/terrore sono vittime di qualcosa che è altro da loro. Durante il convegno Dalla parte della vittima, tenutosi una trentina di anni fa a Milano, uno zoologo raccontava che in Kenia era stato aggredito da un leone e ferito seriamente da una zampata e da un morso (di cui si era accorto al termine dell'aggressione): in base a questa sua esperienza, affermava che le prede della belva non avvertono il dolore a causa della paralisi provocata dall'improvviso spavento. Da questo punto di partenza, uguale tanto per gli animali che per gli uomini, lo zoologo disse che la situazione psichica è tuttavia pluriforme.
La vittima umana, cioè, rientra in due categorie ben distinte:
1. La vittima di un arbitrio prevedibile
In questo caso si è coscienti del proprio ruolo di vittime. L'esempio è quello del regime tirannico, dispotico: l'hitlerismo derivava la propria legittimazione direttamente dall'identificarsi delle masse in un ego collettivo. Le vittime di questo regime erano considerate estranee non solo perché indicate come tali, ma perché esse stesse erano coscienti della loro diversità. Inoltre, per spiegare questa estraneità, avevano motivazioni chiare e plausibili ed è per questo che il loro rischio era calcolabile: ciò le predestinava al martirio. Questo vale per nazismo, fascismo, bolscevismo e per tutto ciò che provoca dispotismo. E' l'arbitrio del regime assoluto che trova la propria legittimazione nell'esistenza di un essere Superiore. Un altro esempio, letterario e forse più stupido ma molto chiaro, è il seguente: nel romanzo di Stephen King Christine la macchina infernale, il giovane e fragile Arnie Cunningham viene scherzato e maltrattato da una ghenga di bulli capitanati dal violento Buddy Repperton (lui era un fagiolo del secondo anno, un fagiolo grande, grosso e cattivo). Buddy è l'espressione dell'essere superiore, la cui violenza lo legittima e al tempo stesso è causa del suo declino (a scuola e con gli amici). Arnie è il goffo emarginato che ha principi diversi e non crede al modo di fare dell'amico bullo: è predestinato al martirio, è cosciente dell'essere vittima di qualcosa in cui non si riconosce. Nel prosieguo della storia, più Arnie entra in contrapposizione con Buddy, più è in grado di calcolare il rischio in cui incorrerà.
2. La vittima del caso
Questa situazione, visto che abbiamo tirato in ballo un esempio storico, potrebbe qualificare l'atto terroristico. Insomma, qualcosa che imponga alla persona il ruolo di vittima in modo improvviso. Nessuno, insomma, si aspettava quello che gli sta succedendo. Mi vengono in mente a questo proposito tutti i romanzi dell'orrore dove appaiono facce nel buio, oppure mani che spuntano da terra (avete mai visto l'ultima scena del film di Carrie girato da Brian de Palma con Sissy Spacek?) e così via. Ricorderò sempre, e questo perché avevo otto anni quando lo lessi, il libro I pirati fantasma di William Hodgson e il primo spavento del marinaio della Mortzestus: "Arrivai alla porta di babordo che dava sul castello di prua e, stavo per entrare, quando qualcosa mi spinse a voltarmi indietro. Lo feci, e un tremito mi scosse tutto. A poppa, nella scia ondeggiante della luna che illuminava il ponte e l'albero maestro, c'era una figura scura, indistinta. Devo ammettere che mi sentivo più che sorpreso: ero terrorizzato." Insomma, non se l'aspettava.
E' questo secondo punto che ci introduce alla nostra domanda. In particolare, ci pone di fronte alla prima vera risposta: l'uomo reagisce alla paura per motivi di conservazione. Spiego meglio questo concetto.
La paralisi causata dallo spavento dimostra l'esistenza di uno spirito di conservazione (o di sopravvivenza) che entra subito in funzione. La priorità di rimanere in vita è lampante, è una reazione reattiva e involontaria, un comportamento che Andreoli catalogherebbe come infantile: è l'esempio del bambino che chiede protezione.
Potremmo riassumere così: la persona subisce un evento pauroso e scatta lo spirito di sopravvivenza.
- La persona ha bisogno di protezione: si attiva la solidarietà delle altre persone (il bambino piange e i genitori si prendono cura di lui; il bimbo smette di disperarsi);
- La persona ha bisogno di protezione:
se non c'è solidarietà, si instaura la vendetta
(il bambino continua a
piangere o pesta i piedi o compie qualche atto scorretto).
La
vendetta dipende dalla società e dalle sue regole:
- E' possibile quando l'ordine pubblico è debole per garantire la giustizia (Il papà è una persona debole che non punisce il figlio)
- Non è possibile quando il diritto della società è rigido e lo vieta. (Il papà lo mena)
A questo proposito, lo scrittore tedesco romantico Heinrich von Kleist nel 1810 parlava di vendetta nella sua novella storica Michael Kohlhaas, oggi nota a qualcuna come Sindrome di M. Kohlhaas. A ogni modo, la mancanza di vendetta può portare a due comportamenti diversi:
- Un sentimento d'impotenza, sfiducia, depressione. E' una sorta di sentimento d'abbandono con il rischio di un ripiegamento su se stessi: viene chiamato autismofobia, ossia il panico dell'isolamento, la perdita dell'ambiente abituale. Ecco perché, dopo l'incontro con il fenomeno di orrore o di terrore, le persone restano in stato di choc o hanno traumi e così via;
- Se l'autore della paura offre alle sue vittime di solidarizzare con loro, esse, trovandosi costretti, fanno uso di quell'offerta. Avviene una identificazione con l'aggressore: parliamo allora di odio oppure di conversione.
Ora, è forse possibile paragonare la dicotomia terrore/orrore alla dicotomia autismofobia/odio? Le caratteristiche sono simili: la prima annichilisce, la seconda comporta una reazione. Questa digressione mi era parsa interessante, per questo l'ho proposta di seguito. Si potrebbe persino azzardare questo assunto conclusivo di tutti e quattro i saggi:
- Il soggetto ha incontrato l'evento pauroso e ha reagito risolvendolo (TERRORE = PAURA PRIMARIA = ODIO/CONVERSIONE);
- Il soggetto ha incontrato l'evento pauroso, e ha reagito tentando di risolverlo ma perdendo la sua battaglia e rimanendo in uno stato inerme, di sconfitta (ORRORE = PAURA SECONDARIA = AUTISMOFOBIA).
Consentitemi di fare questo riepilogo conclusivo:
- La persona è sola e si trova di fronte a un evento pauroso (mostro);
- Dentro di sé scatta un meccanismo che lo blocca: è lo spirito di conservazione;(Il meccanismo è dovuto a quanto detto prima (paura innata; appresa; ignoranza);
- A quel punto, il suo inconscio chiede protezione;
- La protezione arriva (qualcuno gli dà una mano);
- La protezione non arriva: nel suo inconscio scatta la vendetta;
- L'uomo si vendica perché le condizioni (o la società) glielo consentono (inteso che contrasta l'evento pauroso). Siamo nel campo del terrore e della paura primaria;
- L'uomo non può vendicarsi perché le condizioni (o la società) non glielo permettono: quindi annichilisce (autismofobia) oppure si allea con l'evento pauroso (il mostro) se questi glielo chiede (odio/conversione). E' il campo dell'orrore, della paura secondaria.
Mi sembra di essere riuscito nell'intento di spiegare questi complessi passaggi.
Nella prossima trattazione vorrei proseguire il discorso più scientifico dell'amigdala e del gene della paura con queste domande: la paura serve? Si può eliminare o curare? Insomma, gli uomini possono trasformarsi in topi Knock-out?
Fonti e letture consigliate:
V. Andreoli, I miei matti – Ricordi e storie
di un medico della mente, ed. Rizzoli, Milano 2004.
A. O. Ferraris, Psicologia della paura, ed. Bollati
Boringhieri, Coll. Saggi psicologici, Torino 1998 (più
un’interessante intervista sul sito dell’Enciclopedia Multimediale
delle Scienze Filosofiche, Rai Educational, archivio 2002 del programma
televisivo Il Grillo, puntata realizzata con gli studenti del
liceo "Cartesio"; di Giugliano).
H. Bergson, V. Mathieu (a cura di), Introduzione alla metafisica,
Coll. Universale Laterza: 707, ed. Laterza, Roma – Bari 1994.
H. von Kleist (traduzione di G. Bemporad, con uno scritto di T. Mann), Michael
Kohlhaas: da una antica cronaca, ed. SE, Coll. Tascabili Classici:
1, Milano 1997.
B. Malinowski, Argonauti del Pacifico Occidentale: riti magici e
vita quotidiana nella società primitiva, ed. Bollati
Boringhieri, Coll. Gli archi, Milano 2004.
G. Gulotta, M. Vagaggini (a cura di), Dalla parte della vittima,
ed. Giuffrè, Coll. Collana di psicologia giuridica e criminale,
vol. 8°, Milano 1981.
S. Jackson, L'incubo di Hill House, Adelphi Edizioni, Milano
2004.
S. King, Christine la macchina infernale, ed. Mondadori, Coll.
Oscar, Milano 1988.
W. H. Hodgson, I pirati fantasma, ed. Newton, Coll. Il
Fantastico Economico Classico, Roma 1994.
E. A. Poe, Tutti i racconti del mistero, dell'incubo e del terrore,
ed. Newton & Compton, Roma 2004.
(Filmografia: Brian de Palma, Carrie lo sguardo di Satana, USA,
1976, con Sissy Spacek)
E. T. Paroli, Nella piccola mandorla impera il terrore,
articolo contenuto nella rivista Tempo Medico (n° 551 del 5 marzo
1997), consultabile anche su Internet.
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